Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Tutti a processo gli imputati per la morte bianca di Laila El Harim il gup di Modena accoglie le richieste di rinvio a giudizio del pm

El Harim

Il datore di lavoro dell’operaia rimasta schiacciata all’interno di una fustellatrice alla Bombonette, il delegato alla sicurezza e la ditta dovranno comparire in aula il 17 gennaio 

Tutti a processo per la morte di Laila El Harim. Oggi, giovedì 13 ottobre 2022, in Tribunale a Modena, si è tenuto il prosieguo dell’attesa udienza preliminare del procedimento penale per la tragica morte bianca dell’operaia quarantenne di origine marocchina, ma in Italia da oltre vent’anni, residente a Bastiglia, rimasta incastrata e schiacciata in una fustellatrice alla Bombonette di Camposanto, grossa azienda attiva nel settore packaging, il 3 agosto 2021: l’ennesimo infortunio mortale sul lavoro aveva avuto vasta eco, la donna era stata ricordata dalle più alte cariche dello Stato e il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, aveva avviato anche un’indagine ministeriale parallela all’inchiesta dell’autorità giudiziaria.

Dopo una breve camera di consiglio il Gup, dott.ssa Barbara Malvasi, accogliendo in toto le richieste del Pubblico Ministero che ha ereditato il fascicolo, la dott.ssa Claudia Natalini (il precedente Sostituto procuratore titolare, la dott.ssa Maria Angela Sighicelli, è andata in pensione), ha rinviato a giudizio tutti e tre gli indagati e ora formalmente imputati, ossia Fiano Setti, 86 anni, di Camposanto, fondatore e legale rappresentante della ditta nonché datore di lavoro, il nipote Jacopo Setti, 31 anni, di Finale Emilia, in qualità di delegato alla Sicurezza, e la stessa Bombonette srl in quanto soggetto giuridico. 

L’ipotesi di reato contestata è l’omicidio colposo in concorso con l’aggravante di essere stato commesso con la violazione delle norme antinfortunistiche. Ai due imprenditori si imputano gravi violazioni: in sintesi, di non aver minimamente considerato il rischio di contatto dei lavoratori con gli organi in movimento durante l’uso delle fustellatrici; di più, per un risparmio sui tempi di lavorazione, e quindi per trarne profitto, di aver fatto installare nel macchinario, al posto della prevista protezione statica fissa, dei “pareggiatori” regolabili manualmente, consentendone così l’avvio anche in presenza di un operatore al suo interno; di non aver fatto seguire alla dipendente il corso di formazione di legge non addestrandola all’utilizzo di quella macchina così pericolosa e di cui lei stessa aveva fatto presente più volte i rischi.  

I loro difensori, che per ora non hanno richiesto riti alternativi per i loro assistiti, hanno chiesto il non luogo a procedere esponendo una serie di argomentazioni, che però il Gup non ha giudicato accoglibili: i due imprenditori e l’azienda dovranno comparire in aula il 17 gennaio 2023 avanti il presidente del Tribunale, dott. Pasquale Liccardo, per quella che sarà però solo un’udienza cosiddetta “filtro” e di smistamento nel corso della quale sarà definito il calendario delle udienze del dibattimento vero e proprio. 

Nella precedente udienza del 16 giugno il giudice aveva accolto tutte le richieste dell’avv. Dario Eugeni, del Foro di Bologna, che assiste i genitori, i fratelli e le sorelle della vittima unitamente a Studio3A-Valore Spa, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, a cui tutta la famiglia di origine di Laila si è rivolta attraverso la consulente legale Sara Donati. Allora erano state ammesse sia la costituzione di parte civile nei confronti di tutti e tre gli imputati sia la citazione del responsabile civile, ossia la compagnia di assicurazione dell’impresa, Allianz, ma nel frattempo i congiunti della vittima sono stati tutti risarciti: il rinvio, allora, era stato concesso proprio per consentire ai legali degli imputati di esaminare gli atti di costituzione e le relative istanze. 

L’avv. Eugeni quest’oggi ha conseguentemente revocato la costituzione di parte civile e ritirato l’istanza di citazione del responsabile civile, “ma anche se la legge ci impedisce di stare e di incidere nel processo – commentano i familiari –, ciò non toglie che continueremo a seguirlo da vicino nella speranza che vengano riconosciute e perseguite tutte le pesanti responsabilità dei datori di lavoro, che sia fatta giustizia e che Laila, e con lei tutti noi, possa ottenere almeno un briciolo di tutto quello che si merita. Per noi è come se fosse successo ieri”.

Impresa friulana condannata dal giudice a risarcire due sorelle di Mira, con 20mila euro ciascuna, per aver perso le ceneri della mamma

Le sorelle Cagnin a Tempo e Denaro

Dopo sette anni di battaglia le due donne hanno visto accolte le loro ragioni dal Tribunale di Venezia, che ha riconosciuto la lesione del “diritto inviolabile al culto per i defunti

L’urna c’era, i resti della cara estinta sono stati colpevolmente persi e dispersi e ora l’impresa responsabile dovrà risarcire le congiunte del grave danno morale arrecato loro. Con una sentenza che farà rumore, depositata il 6 settembre, e che rende giustizia a una battaglia lunga quasi sette anni, il giudice della seconda sezione civile del Tribunale di Venezia, dott. Alessandro Cabianca, ha condannato una società cooperativa di Palmanova (Ud), la Art.co Servizi, che all’epoca aveva in appalto dal Comune di Mira la gestione dei cimiteri, a rifondere 20mila euro ciascuna a due sorelle miresi, Annalisa e Renata Cagnin, per aver negligentemente e irrimediabilmente smarrito le ceneri della loro mamma. Il “fattaccio”, che allora aveva fatto scalpore finendo nei media nazionali, è accaduto il 29 dicembre 2015 in occasione dell’esumazione della salma del padre delle signore Cagnin, Gino, sepolto nel cimitero di Gambarare e nella cui tomba a terra, protetta da un pozzetto, vi era anche l’urna coi resti della moglie, Livia Bottacin, scomparsa nel 2011 e cremata: urna che le figlie, volendo riunire da subito i genitori in attesa di spostarli entrambi nell’ossario, erano state autorizzate a riporre provvisoriamente lì. Il giorno e all’ora stabiliti per le operazioni Annalisa Cagnin e il marito si erano recati nel camposanto per assistere alle operazioni, ma al loro arrivo gli operai di Art.co avevano già rimosso la lapide, aperto la tomba e scavato la terra con una ruspa, raggiunto e aperto la cassa del padre e recuperato i resti, pronti per essere consegnati ai parenti. Quando però la figlia ha chiesto di avere anche l’urna con le ceneri della madre, gli addetti sono caduti dalle nuvole, sostenendo di non aver visto nulla, sebbene la teca, a forma di pallone ovale, fosse di una certa grandezza e avesse il talloncino del nome sopra, mostrando che la terra era stata scavata e rivoltata e asserendo che ormai era impossibile ritrovarvi qualcosa. Uno degli aspetti della vicenda che più ha amareggiato le due sorelle è che l’azienda ha messo ripetutamente in dubbio la presenza della teca. 

I disperati tentativi della figlie, rivoltesi più volte agli uffici municipali di Mira, di ritrovare le ceneri sono risultati vani: l’urna è stata chiaramente distrutta dalla pala dello scavatore e le ceneri disperse nel terreno. A quel punto le due signore, per fare piena luce sui fatti e le responsabilità e per ottenere giustizia, tramite il responsabile della sede di Dolo Riccardo Vizzi, si sono affidate a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini, che ha profuso ogni sforzo per ottenere delle spiegazioni e poi un’assunzione di responsabilità da parte del Comune e della impresa appaltatrice, che si rimpallavano la colpa tra loro, ma anche qui inutilmente: è arrivata solo qualche scusa. Studio3A tuttavia non si è dato per vinto e, nella certezza che le proprie assistite avessero tutte le ragioni del mondo, ha ritenuto di andare fino in fondo e le due donne hanno citato in causa avanti il Tribunale di Venezia sia l’Amministrazione comunale di Mira sia Art.co Servizi, patrocinate dall’avv. Alessandro Menin del Foro di Venezia. E il giudice, dopo una scrupolosa istruttoria, ha accolto in pieno le argomentazioni delle due signore, del loro legale e di Studio3A. In primis, è stato stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che “al momento in cui sono iniziate le operazioni di esumazione l’urna cineraria della signora Bottacin era presente nella tomba del maritoper citare la sentenza, circostanza ampiamente dimostrata dagli atti, ma anche, tra le varie, dalla testimonianza dell’addetta dell’impresa di onoranze funebri che nel 2011 l’aveva materialmente inserita accanto alla bara del signor Cagnin. Ma soprattutto, a confermarlo c’era la nota stessa del Comune di Mira che, comunicando all’impresa il programma delle esumazioni del 29 dicembre 2015, con riferimento alla salma di Gino Cagnin aveva indicato specificamente ci sono anche le ceneri della moglie Bottacin Livia: specificazione, unita ad altri elementi, sulla base della quale il giudice ha ritenuto che l’Amministrazione andasse esente da colpe, “superando” gli obblighi di responsabilità per custodia e vigilanza del cimitero comunque gravanti su cui essa, indipendentemente dall’affidamento dell’appalto dei servizi cimiteriali. 

Non così invece per l’azienda. Dall’istruttoria è infatti emerso che “i dipendenti di Art.co Servizi hanno agito con grave negligenza, provocando la dispersione dell’urnasentenzia il dott. Cabianca. E’ infatti risultato chiaro che il personale che ha eseguito i lavori “non era a conoscenza della presenza dell’urna cineraria”, dunque non era stato messo al correte della circostanza dai titolari, che pure dovevano saperlo per la nota inviata dal Comune. “Per cui – prosegue il giudice – le operazioni di scavo sono procedute senza considerare questa fondamentale circostanza e si sono svolte senza adottare alcuna cautela”. Anche gli operai, che pure avrebbero dovuto essere esperti del settore, tuttavia, ci hanno messo del loro in quanto, “pur potendosi evincere già dalla tomba la presenza dei resti di un’altra persona (accanto alla lapide del signor Cagnin era stata posta sulla destra una pergamena marmorea con il nome e l’immagine della moglie, ndr), hanno utilizzato uno scavatore con pala meccanica di grosse dimensioni, del tutto incompatibile col fine di preservare l’integrità del pozzetto e dell’urna. E il movimento terra è stato di notevoli dimensioni, per cui la circostanza del mancato reperimento di frammenti del pozzetto e dell’urna nonostante le ricerche esperite appare del tutto compatibile con riferimento al mezzo utilizzato e alla quantità di terra rimossa”.

Affermata la piena responsabilità di Art.co, il giudice ha poi chiarito che “l’interesse sotteso alla tutela delle spoglie umane è individuabile nella pietà per i defunti, e il bene giuridico violato è rappresentato da un legittimo interesse etico-sociale diffuso, proprio di ciascun membro della collettività, in quanto radicato nell’umanità in ogni epoca storica e cultura”, ritenendo pertanto, in linea con quanto affermato dall’avv. Menin, che le due sorelle “abbiano subito la violazione del proprio diritto inviolabile al culto per i defunti, estrinsecazione del sentimento di rispetto e di pietas verso le ceneri della congiunta”. Di qui la condanna dell’impresa friulana a risarcire le due signore per il danno morale patito, attraverso la propria compagnia di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, Reale Mutua, con una somma quantificata in 20mila euro per ciascuna di esse, 40mila in tutto. L’azienda è stata altresì condannata a rifondere loro tutte le spese legali per oltre 7mila euro. “I soldi non ci interessavano, il dato di fatto è che non abbiamo più una tomba dover poter portare i fiori a nostra mamma, e questo danno è incalcolabile – commentano Annalisa e Renata Cagnin – Ciò che ci premeva è che fossero finalmente riconosciute e perseguite le responsabilità di chi ha sbagliato e finalmente, dopo tanti anni, ci siamo riuscite”. 

Non ce l’ha fatta Enrico Pantoni, l’operaio teramano caduto da un trabattello mentre lavorava nella biblioteca della statale di Milano

Enrico Pantoni

Troppo gravi le lesioni riportate il 14 luglio, il 65enne è spirato al Policlinico Maggiore dopo tre giorni di agonia. La Procura indaga il datore di lavoro e dispone l’autopsia

Non ce l’ha fatta Enrico Pantoni, l’operaio di 65 anni residente a Torano Nuovo, in provincia di Teramo, rimasto vittima dell’ennesimo grave infortunio, accaduto mercoledì 14 luglio nella biblioteca Crociera della Statale, in via Festa del Perdono a Milano, dove si trovava appunto per una trasferta di lavoro: è deceduto dopo tre giorni di agonia, sabato 17 luglio, all’ospedale Policlinico Maggiore, dov’era stato condotto in condizioni disperate. Come da prassi, la Procura di Milano ha aperto un procedimento penale iscrivendo nel registro degli indagati il datore di lavoro e ha disposto l’autopsia. Sale dunque a due morti bianche nel giro di un paio d’ore il tragico bilancio di una giornata nera per il capoluogo lombardo: sempre nel pomeriggio dello stesso 14 luglio, a Peschiera Borromeo, aveva perso la vita anche il sessantottenne Gian Pietro Rota, schiacciato dal pianale del suo carro attrezzi mentre stava caricando un furgone. 

Pantoni era dipendente della Cam Impianti srl, impresa di Colonnella, sempre nel Teramano, che opera nel settore degli impianti tecnologici e che aveva in appalto alcuni lavori impiantistici nella biblioteca dell’Università Statale, tra cui quelli per l’ammodernamento della rete dati. L’addetto, che non soffriva di alcuna patologia particolare, stava operando all’interno di una stanza su di un trabattello a circa due metri di altezza quando all’improvviso è caduto rovinando malamente a terra. Soccorso dai sanitari del 118, prontamente allertati, il lavoratore è stato trasportato d’urgenza al Policlinico Maggiore di Milano in stato di coma, ma nello schianto al suolo ha riportato politraumi troppo gravi, tra cui una frattura cranica chiusa con lacerazione cerebrale, e nonostante tutti i tentativi da parte dei medici di salvarlo, sabato 17 luglio è spirato: non ha mai ripreso conoscenza. 

Enrico Pantoni lascia in un dolore immenso la moglie Giuliana, quattro tra fratelli e sorelle e i nipoti a cui era molto legato. I suoi cari, per essere assistiti e per fare piena luce sulle cause e sulle responsabilità dell’incidente, attraverso il consulente legale Mario Masciovecchio, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, in collaborazione con l’Avv. del Foro di Milano Maria Laura Bastia.

Il Pubblico Ministero della Procura Meneghina, dott. Mauro Clerici, infatti, ha subito aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di omicidio colposo a carico del legale rappresentante del Cam Impianti. Il magistrato ha altresì disposto la perizia autoptica per chiarire le cause della morte dell’operaio e, in particolare, se abbia accusato un malore prima della caduta, fermo restando che non sarebbe comunque dovuto precipitare dal trabattello, o se il decesso sia stato dovuto esclusivamente ai traumi del violento impatto al suolo. L’incarico al consulente tecnico indicato dal magistrato sarà conferito lunedì 26 luglio, alle ore 8, presso il civico obitorio di Milano, dove a seguire si svolgerà l’esame: alle operazioni peritali parteciperà anche il dott. Marco Filippo Scaglione, come consulente tecnico medico legale di parte per la famiglia del lavoratore messo a disposizione da Studio3A. Una volta eseguita l’autopsia e ottenuto il nulla osta dall’autorità giudiziaria, i familiari potranno fissare la data dei funerali che si svolgeranno presso la Chiesa Madonna di Lourdes di villa Bizzarri di Torano. 

Lo ricoverano per un banale intervento all’anca, muore per “misteriose” complicanze il giorno dell’operazione: la procura apre un’inchiesta

Morelli

La tragedia si è consumata il primo giugno in ospedale a Eboli, vittima un 69enne  del luogo. I familiari hanno presentato denuncia, il Pm ha disposto anche l’autopsia 

Si era ricoverato per un “normale” intervento all’anca, ma in sala operatoria non c’è mai arrivato: è deceduto nella sua stanza d’ospedale per non meglio precisate “complicanze”. A 69 anni. Riscontrando l’esposto presentato dai familiari, assistiti da Studio3A-Valore S.p.A., il Pubblico Ministero della Procura di Salerno, dott. Morris Saba, ha aperto un procedimento penale per l’ipotesi di reato di omicidio colposo in ambito sanitario, al momento contro ignoti, per il decesso di Rocco Morelli, avvenuto mercoledì primo giugno 2022 nell’ospedale della sua città, Eboli. Il Sostituto Procuratore ha altresì disposto l’autopsia sulla salma, che sarà fondamentale per capire le cause della morte ed accertare eventuali responsabilità da parte dei medici che hanno avuto in cura il sessantanovenne: l’incarico al consulente tecnico sarà conferito domani, mercoledì 8 giugno, alle 8, presso la Cittadella Giudiziaria di Salerno. Alle operazioni peritali parteciperà anche il dott. Mauro Ciavarella, quale medico legale di parte messo a disposizione da Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini a cui i congiunti di Morelli, che lascia la moglie e quattro figli, si sono rivolti per fare piena luce sulla tragica vicenda, attraverso il consulente legale dott. Vincenzo Carotenuto. 

Il paziente godeva di buona salute e non soffriva di particolari patologie, se non di dolori all’anca, ragion per cui i medici del reparto di Ortopedia dell’Ospedale di Eboli avevano deciso di operarlo: Morelli era stato ricoverato il 28 maggio e sottoposto a tutti i controlli pre-operatori, l’intervento chirurgico era stato programmato per mercoledì primo giugno. Come ha riferito per telefono al figlio alle 6 del mattino di quella stessa giornata, che sarebbe stata anche la sua ultima, durante la notte prima dell’operazione, però, il sessantanovenne si era sentito male e aveva vomitato. Il figlio ha quindi chiamato in reparto per capire di quali problematiche soffrisse il padre, ma qui gli hanno risposto rassicurandolo, spiegando che stavano effettuando degli accertamenti per comprendere la natura del malessere e che avevano proceduto a dei lavaggi intestinali contro a nausea. 

Sempre più preoccupato, tuttavia, il figlio alle 12.15 si è presentato in Ortopedia per parlare di persona con qualche medico e ha cominciato a domandare a tutti i sanitari che incrociava delle condizioni del padre, ha insistito per vederlo, sapendo che non si sentiva bene, e ha ripetutamente chiesto agli operatori di andarlo a controllare. Non solo nessuno gli ha risposto, ma lo hanno anche allontanato dal reparto facendo pure intervenire la guardia giurata. Sarà un drammatico caso, sta di fatto che proprio in quel frangente il figlio della vittima ha visto accorrere ed entrare in Ortopedia dei medici con dei defibrillatori: purtroppo, erano proprio per suo padre. Dopo un po’ finalmente i medici di Ortopedia sono usciti e, di fronte alle insistenti domande del figlio e degli altri congiunti precipitatisi in ospedale, hanno confermato i loro presentimenti, comunicando che il loro caro era deceduto a causa di non meglio precisate “complicazioni”: il paziente giaceva ancora nel letto della sua stanza, tutto ricoperto di vomito.

Sconvolti dal dolore per la perdita, non riuscendo a capacitarsi di quella morte improvvisa e inspiegabile, non avendo ottenuto di fatto risposte dai dottori e nutrendo tanti dubbi sulle cure prestate al loro caro dai sanitari, finanche il sospetto che in realtà fossero intervenuti solo quando il figlio era andato a “battere i pugni” di persona, i congiunti della vittima si sono rivolti a Studio3A e hanno presentato denuncia querela presso i carabinieri della stazione di Eboli, chiedendo all’autorità giudiziaria di avviare gli opportuni accertamenti. Hanno quindi fissato i funerali, che si sono già svolti il 2 giugno, ma non hanno proceduto alla sepoltura della salma, che si trova presso l’obitorio del cimitero di Eboli, in attesa di un riscontro da parte della Procura, che ora è arrivato con i provvedimenti conseguenti. 

Dal 15 novembre scatta l’obbligo delle gomme invernali

pneumatici invernali

Il 15 novembre è una data da cerchiare in rosso per gli utenti della strada; come ogni anno, anche per la “stagione” 2021-22 scatta infatti l’obbligo di circolazione con le gomme invernali (quelle marchiate «M+S») o, in alternativa, con le catene a bordo, su gran parte della rete stradale, oltre che autostradale italiana: l’imposizione infatti, oltre che al di fuori dei centri abitati, su richiesta dei Comuni può essere estesa anche all’interno delle zone abitate. Varrà sino al 15 aprile 2022.

 

L’obbligo delle gomme da neve vale per tutti tutti ed è legato in primis alla sicurezza

Il “cambio-gomme” di poteva effettuare già a partire dal 15 ottobre, ma il 15 novembre è la data ultima per mettersi in regola, e devono farlo i conducenti di tutti gli autoveicoli, compresi mezzi pesanti e tir. Solo gli automobilisti che montano sui propri veicoli gomme quattro stagioni (ossia omologati per l’utilizzo invernale con la sigla M+S) sono esenti dal cambio gomme da neve, un provvedimento assunto ormai da anni per una maggiore sicurezza stradale: le “mescole” invernali infatti garantiscono massima aderenza a prescindere dal fondo stradale e dalle sue condizioni, ma assicurano anche migliori prestazioni a basse temperature e minore usura degli pneumatici,  consentendo, di conseguenza, anche un minor consumo di carburante e una riduzione di emissioni inquinanti.

Ovviamente, vanno utilizzati per legge pneumatici omologati. Il codice della strada prevede che “chiunque importa, produce per la commercializzazione sul territorio nazionale ovvero commercializza sistemi, componenti ed entità tecniche senza la prescritta omologazione o approvazione ai sensi dell’articolo 75, comma 3-bis, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 155 a euro 624”.

Le sanzioni

E a proposito di sanzioni, in caso di circolazione senza pneumatici invernali o alternative a bordo, la multa può partire da 85 euro e arrivare a 338 euro, ma si abbassa a 59,50 euro se viene pagata entro 5 giorni. Sulle strade dei Comuni nei quali vige un’ordinanza le sanzioni vanno invece dai 41 euro ai 169 euro, abbassandosi a 28,70 euro se pagata entro 5 giorni.

L’assicurazione va pagata anche se il veicolo resta fermo in garage

auto abbandonata

L’assicurazione per la responsabilità civile dovrà essere pagata anche se il veicolo resta fermo: anche chi lascia l’auto o il proprio mezzo, in generale, ferma nel cortile, nel garage di casa o in una propria area privata, dovrà comunque dotarla di una copertura assicurativa. E non si potrà più sospendere la Rc-auto quando non si utilizza il veicolo

 

La nuova direttiva europea in materie di responsabilità civile

Sono alcune delle novità più rilevanti del testo approvato dal Parlamento Europeo lo scorso mese di ottobre 2021, che andrà a modificare la direttiva Ue del 2009 in materia di responsabilità civile.

Le novità normative sull’assicurazione auto hanno l’obiettivo di garantire una migliore protezione e un trattamento equo ai cittadini che assicurano i propri veicoli, o coinvolti in incidenti. La nuova legislazione sulla RCA mira infatti a proteggere le vittime di sinistri a prescindere dalla circostanza che si verifichino nel loro Paese di residenza o altrove nell’Unione Europea, colmando le lacune esistenti e migliorando l’attuale direttiva.

Assicurazione anche per l’auto ferma, tutela in caso del fallimento della compagnia

Ad esempio, i negoziatori di Parlamento e Consiglio, che avevano concordato il testo in via provvisoria il 22 giugno, hanno inteso tutelare coloro che rimangono coinvolti in un incidente stradale, affinché siano risarciti anche quando la compagnia dovesse andare in bancarotta.

Inoltre, le nuove “attestazioni di sinistralità pregressa” omogenee a livello UE, eviteranno discriminazioni quando un assicurato si sposta da un paese dell’UE all’altro.I cittadini potranno anche comparare più facilmente i prezzi, le tariffe e la copertura offerti dai differenti fornitori, grazie a nuovi strumenti di comparazione gratuiti e indipendenti.

Per garantire lo stesso livello di protezione minima alle vittime di incidenti, nel testo vengono armonizzati gli importi minimi obbligatori di copertura in tutta l’UE, facendo salvi gli importi maggiori di garanzia eventualmente prescritti dagli Stati membri: nel caso di danni alle persone, 6  milioni e 450mila euro per sinistro, indipendentemente dal numero delle persone lese, o un milione e 300mila euro per persona lesa; nel caso di danno alle cose,  un milione e 300mila euro per sinistro, indipendentemente dal numero delle persone lese.

Ancora niente obbligo di assicurazione per i monopattini

Per evitare un eccesso di regolamentazione, l’aggiornamento normativo esclude tuttavia dagli obblighi assicurativi i veicoli con una velocità inferiore ai 14 km/h, come i trattori da giardino e i monopattini per la mobilità cittadina, nonché le biciclette elettriche. Anche i veicoli destinati agli sport motoristici vengono esclusi dalla direttiva. Quindi nessuna copertura viene imposta per monopattini, bici a pedalata assistita e mezzi di micromobilità elettrica, anche se resta la possibilità per i singoli Stati di imporre il vincolo assicurativo, cosa che per ora è sfumata in Italia.

La legge dovrà essere adottata formalmente dal Consiglio e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. Gli Stati membri disporranno di 24 mesi per recepire la direttiva aggiornata nel diritto nazionale.

Cronotachigrafo dei camion per sanzionare l’eccesso di velocità

Cronotachigrafo dei camion

Le registrazioni del cronotachigrafo di cui devono essere dotati per legge i camion possono essere utilizzate anche per elevare contravvenzioni per eccesso di velocità?

La normativa italiana lo prevede, quella europea no, e sulla base di questo contrasto il giudice di Pace di Arezzo ha annullato i verbali elevati nei confronti di un autotrasportatore, sollevando con la sentenza 353/21, depositata in cancelleria il 21 luglio 2021, un caso interpretativo non di poco conto.

 

Camionista multato per eccesso di velocità sulla base delle registrazioni del disco analogico

Il 28 maggio 2020, alle 21.30, sull’autostrada A1, al casello di Monte San Savino, la Polizia Stradale di Arezzo aveva fermato per un controllo un mezzo pesante e, sulla base dei dati registrati nel disco analogico in dotazione al veicolo (il cronotachigrafo appunto), avevano sanzionato il conducente e la società proprietaria per la violazione dell’art. 142, commi 8 e 11, del Codice della Strada, ossia eccesso di velocità compreso tra i 10 e i 40 km/h, irrogando una sanzione pecuniaria di ben 1.241 euro (in caso di camion e altre tipologie le multe sono raddoppiate).

Il camionista aveva quindi presentato ricorso al Prefetto, che tuttavia lo aveva respinto, ritenendolo infondato, ma, non dandosi per vinto, ha impugnato l’ordinanza-ingiunzione prefettizia anche avanti il giudice di Pace di Arezzo, dott. Francesco Fanelli, che gli ha dato ragione.

Va subito premesso che l’ordinamento nazionale, ed in particolare il comma 6 dello stesso art. 142 C.d.S., prevede che, per citare testualmente, “per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova (anche) le registrazioni del cronotachigrafo”.

 

Il Regolamento comunitario non consente di utilizzare il cronotachigrafo per quest’infrazione

Ma il Regolamento Ue 165/2014, obietta il giudice, al contrario proibisce che i dati ricavati dai cronotachigrafi possano essere usati per elevare sanzioni relative al superamento dei limiti di velocità. Non solo. Il magistrato ricorda anche che “un esplicito ammonimento in tal senso è pervenuto all’Italia il 3 novembre 2020 da parte della Commissione europea”.

Il dott. Fanelli si sofferma quindi sul Regolamento 165/2014 relativo agli obblighi e ai requisiti inerenti la costruzione, installazione, uso e prove dei cronotachigrafi, con particolare riferimento all’art 141, quello sulle sanzioni, che prevede che “gli Stati membri stabiliscono, in conformità degli ordinamenti costituzionali nazionali, il regime sanzionatorio applicabile alle violazioni del presente regolamento e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’effettiva applicazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate, dissuasive e non discriminatorie e sono conformi alle categorie di violazioni di cui alla direttiva 2006/22/CE”.

Direttiva che, aggiunge il Giudice di Pace, chiarisce che le violazioni alle norme in questione sono costituite dal “superamento dei tempi limite di guida fissati per un giorno, sei giorni o due settimane; l’inosservanza del periodo minimo previsto per il riposo giornaliero o settimanale; l’inosservanza dei periodi minimi di interruzione; la mancata installazione di un tachigrafo conforme al disposto del regolamento (CEE) n. 3821/85”.

 

Il giudice disapplica la norma nazionale e annulla la multa

Ne consegue che il superamento del limite di velocità non è previsto dalla normativa europea come un’infrazione cui sia possibile risalire – e quindi sanzionare – attraverso l’estrapolazione e la lettura dei dati del cronotachigrafo” tira le fila del ragionamento la sentenza, rimarcando altresì come, nella sua contestazione del novembre 2020, la Commissione Europea avesse anche ammonito l’Italia, affinché adottasse entro due mesi di tempo ogni provvedimento utile ad adeguare la normativa interna a quella comunitaria”.

Stante dunque il chiaro tenore della norma europea e il silenzio delle autorità italiane, che non risulta abbiano fornito risposta alcuna alla Commissione Europea in questo periodo di due mesi”, il Giudice si è visto costretto, allo stato, a “disapplicare il comma 6 dell’art. 142 Cds per il suo parziale contrasto con la sopra richiamata normativa europea”. Con conseguente accoglimento del ricorso relativamente a questo punto e annullamento della sanzione.

Banca poco solerte: il danno morale da ritardo del bonifico

ing banca

A quanti non è capitato di aspettare con ansia l’accredito di un bonifico nel proprio conto corrente, con la somma che non arriva non per colpa di chi lo ha emesso ma per questioni burocratiche o informatiche legate alla banca? Ebbene, se il ritardo è di un certo rilievo e la cifra importante, la banca può essere chiamata a risarcire il proprio cliente anche per il danno morale causato dalla lunga attesa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, I sezione civile, con un’interessante sentenza, la n. 24643/21 depositata il 13 settembre 2021, che può rappresentare un riferimento anche per i non pochi casi simili a quello occorso a un malcapitato correntista a cui era stato accreditato con oltre un mese di ritardo dalla Ing Bank un bonifico di ben 253mila euro che una società di investimenti aveva ordinato in suo favore il 16 dicembre 2013 e che tuttavia era entrato nella sua disponibilità solo il 23 gennaio 2014.

 

Il cliente della banca chiede i danni morali per il patema d’animo da bonifico “lumaca”

A causa di quella lunga attesa l’interessato aveva subito un profondo patema d’animo, aveva passato notti insonni e dovuto persino ricorrere a psicofarmaci. Di qui la sua decisione di citare in causa la banca per il cosiddetto “danno morale” patito. In primo grado il tribunale di Milano aveva rigettato la sua domanda risarcitoria, ma in secondo la Corte d’Appello meneghina, con sentenza del 2018, aveva parzialmente accolto le sue istanze riconoscendogli un risarcimento di cinquemila euro per il danno non patrimoniale, escludendo peraltro la sussistenza anche di un danno biologico per la patologia nevrotica, ritenuta non dimostrata.

Contro quest’ultima decisione ha infine proposto ricorso per Cassazione Ing Bank lamentando la violazione, da parte della Corte territoriale, del principio secondo cui per presumere il fatto ignoto (il “sensibile patema d’animo”) da un fatto noto, la legge richiede l’esistenza di più “presunzioni gravi, precise e concordanti”, mentre nella specie i giudici avevano desunto l’esistenza del danno non patrimoniale da un’unica presunzione, costituita dal fatto che il bonifico aveva ad oggetto una “cospicua somma“, non essendo idoneo a fondare la prova presuntiva il ritardo di un mese nell’accredito.

Per la Suprema Corte, tuttavia, il motivo di doglianza è infondato. “Il danno morale, inteso come sofferenza soggettivaspiegano gli Ermellini -, rappresenta una voce dell’ampia categoria del danno non patrimoniale e ben può derivare da un inadempimento contrattuale che pregiudichi un diritto inviolabile della persona”. Naturalmente, precisa la Suprema Corte, deve trattarsi di un danno da stress o da patema d’animo “la cui risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici”.

Nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., chiariscono quindi i giudici del Palazzccio, “non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità desumibile da regole di esperienza”.

Secondo la Cassazione, la sentenza impugnata aveva accertato, in via presuntiva, l’esistenza del danno lamentato per il paterna d’animo subìto in conseguenza del ritardo, “integrante un incontestato adempimento tardivo, nell’accredito di una cospicua somma di denaro da parte della banca, che aveva provocato al correntista notti insonni e la necessità di assumere psicofarmaci. Si tratta di una valutazione di tipo presuntivo insindacabile dal giudice di legittimità” prosegue la Cassazione, sottolineando anche, quanto alla sussistenza degli elementi posti a base della presunzione e alla loro rispondenza ai requisiti di cui all’art. 2729, comma 1, c.c., “che il giudice può anche fondare su una sola presunzione, purché grave e precisa, l’unica fonte del proprio convincimento”.

Dunque, ricorso rigettato e risarcimento per il danno morale al cliente della banca confermato.

No under 18 e drive-formazione: nuove regole per i monopattini

I monopattini causano incidenti mortali, urge un intervento legislativo.

Spicca al riguardo la richiesta al Parlamento da parte dalla Regione Lombardia, che propone cambiamenti importanti come l’obbligo di assicurazione e del casco e la limitazione della conduzione del mezzo ai soli maggiorenni, eventualità che sta facendo molto discutere e ovviamente avversata dalle società di produzione dei monopattini elettrici, come Heinz, che parla di “regole che esistono già” e propone, per contro, un intervento a livello formativo nelle scuole: una “campagna di educazione civica” per soddisfare gli interessi di tutti.

 

Incidenti in monopattino e provvedimenti

Sono 140mila i monopattini che corrono sulle strade italiane, causando più di un incidente al giorno nella sola Milano: nel 2021 sono stati già sei i sinistri mortali. Ecco le ragioni dell’urgenza di un «intervento legislativo» secondo l’assessore regionale alla Sicurezza in Lombardia,  Riccardo De Corato.

Al parlamento è stata dunque presentata una proposta di  legge da parte della stessa Regione, già approvata dalla Giunta regionale, per modificare e migliorare le disposizioni di sicurezza sui monopattini elettrici.

Oltre al sindaco di Milano anche i governatori del Lazio e della Toscana hanno espresso la loro perplessità e hanno chiesto una normativa nazionale che garantisca la sicurezza dei monopattini. “Senza regole nazionali faremo da soli” afferma il sindaco milanese. Come è già successo a Sesto San Giovanni (MI), dove è stata firmata un’ordinanza dal sindaco Roberto di Strano dopo l’incidente del 30 agosto, di un ragazzo di 13 anni che ha perso la vita. Ordinanza che introduce l’obbligo del casco e i limiti di velocità a 20 km/h nelle piste ciclabili e 5 km/h nelle aree pedonali.

 

La proposta lombarda sui monopattini

La Lombardia azzarda una proposta che prevede i seguenti punti:

  • L’obbligo di assicurazione per responsabilità civile
  • la limitazione della conduzione alle sole persone già maggiorenni
  • conseguente divieto per i minori
  • l’estensione a tutti i conducenti dell’obbligo di indossare il casco protettivo (previsto oggi solo per gli under 18)

Due sono i nodi da sciogliere per quanto riguarda la sicurezza sui monopattini: l’obbligo del casco per maggiorenni (già precedentemente citato) e la circolazione notturna. Quest’ultima infatti è una delle cause più frequenti di incidente, in quanto quel tipo di mezzo non è dotato di luci segnaletiche.

I prossimi monopattini saranno dotati di frecce o altre tipi di luci? O sarà compito dell’individuo, che fa uso del veicolo, indossare un giubbotto catarifrangente?

 

Abilitazione alla guida e giusta informazione

La confederazione italiana Confarca, che rappresenta oltre 2.500 scuole guida sul territorio italiano, propone di introdurre un patentino abilitativo per la guida dei monopattini elettrici.

Anche gli operatori di monopattini si riuniranno nell’associazione Assosharing con il ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile e l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) per capirne di più.

A settembre partirà una campagna di educazione civica stradale nelle scuole dedicata alla micro-mobilità proposta da Helbiz, società che si occupa della produzione di monopattini. Si comincerà così, attraverso queste giornate formative,  a dare ai più giovani la giusta informazione per il corretto uso e transito del mezzo anche attraverso un test drive in sicurezza. “Le regole esistono già, vanno rispettate e soprattutto fatte conoscere ai più giovani” ricorda la società preoccupata che per colpa di nuove regolamentazioni possa accusare ulteriori cali di fatturato, visto che solo nel 2019 ha perso 7,7 milioni di dollari, per un totale (tra il 2020 e 2021) di oltre 47 milioni di dollari.

E’ chiaro però che questa campagna di educazione stradale da sola non potrà bastare.

La giustizia è lenta e i costi salgono 

carte dei processi

Tempistiche troppo lunghe, l’Italia si classifica prima tra i Paesi in Europa per “lentezza dei processi”.

Marta Cartabia, Ministro della Giustizia, propone entro i 5 anni del Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di ridurre i tempi di conclusione dei processi, anche perché, grazie alla Legge Pinto, ogni persona che ha subito un danno a causa delle tempistiche troppo dilatate dei processi, potrà e dovrà essere risarcita dallo Stato. Ecco che, secondo il Ministro, coraggio, realismo e coralità potranno essere risorse importanti, assieme all’introduzione nel 2022 dei giovani giuristi dell’ufficio processo.

 

Alcuni dati

Cinque anni, 574 milioni di euro di indennizzi pagati dallo stato: “Ritardi al quadrato. Costi al quadrato” ricorda il Ministro Cartabia, per quanto riguarda le tempistiche della giustizia.  Tra i 47 paesi della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia detiene il primato delle condanne per i tempi troppo lunghi dei processi (1.202 dal 1959). Al secondo posto Turchia, poi Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna.

Tutto ciò porta a considerevoli ripercussioni economiche, soprattutto dall’entrata in vigore, ormai vent’anni fa, il 24 marzo 2001, della Legge Pinto, la quale sancisce che lo Stato Italiano debba pagare un indennizzo ai cittadini che “patiscono una violazione del loro diritto alla ragionevole durata del processo”: un diritto, è bene ricordarlo, riconosciuto tanto dalla Costituzione quanto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ministro aggiunge: “la giustizia ha bisogno di finanziamenti. Ma quei finanziamenti debbono essere investiti per migliorare il servizio, piuttosto che per pagare i danni del disservizio”.

 

Ri-modernizzare il sistema giuridico per sanare il problema tempistico-economico

L’obiettivo è quello di ridurre entro i 5 anni del PNRR i tempi di conclusione dei processi del 25% del processo penale e del 40% del processo civile. Ecco perché Cartabia parla di coraggio, per “invertire la tendenza in atto” e cambiare la giustizia italiana; realismo, perché “non si può prescindere dalla complessità dei problemi” per individuare e risolvere le difficoltà e infine coralità, perché “la giustizia è una realtà complessa e composita (…), occorre creare ponti, condivisione e confronto”.

In questo senso diventa importante un ri-ammordernamento del sistema giudiziario, che avverrà anche grazie all’introduzione, nel primo trimestre del 2022, di 8250 giovani giuristi dell’ufficio processo. Intervenire “sull’organizzazione del lavoro” grazie anche a queste nuove risorse di giovani sarà importante per ridurre il tempo e di conseguenza anche il costo degli indennizzi.

Fermo restando che una delle soluzioni per dare risposte più rapide ai cittadini e, nel contempo, per deflazionare il contenzioso giudiziario, resta sempre la strada stragiudiziale o quella delle modalità alternative di risoluzione delle controversie.

Skip to content