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Si può essere risarciti per il furto subito all’interno di una palestra? Certamente sì, perché la struttura rientra nella disciplina del contratto di albergo, ma è bene sapere che l’entità del risarcimento dipende da dove l’oggetto sottratto è stato custodito ed è sempre preferibile, tanto più se di valore, optare per le cassette di sicurezza generalmente situate accanto alla reception piuttosto che per gli armadietti negli spogliatoi. Perché, se era stato consegnato agli addetti, la struttura dovrà risponderne integralmente, viceversa solo in misura parziale se non addirittura in nessun modo, nel caso emerga chiara la colpa da parte del proprietario.

La questione dei furti perpetrati in palestre o piscine ai danni di utenti che stanno praticano l’attività sportiva è all’ordine del giorno, per questo è estremamente utile la sentenza n. 8865/21 pronunciata dal Tribunale di Milano, X sezione civile, su uno degli innumerevoli casi sul genere.

Il cliente di una palestra derubato di un prezioso orologio chiede i danni alla struttura

Il cliente per l’appunto di una palestra aveva citato in giudizio il titolare per accertarne la responsabilità contrattuale o extracontrattuale e ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali quantificati in ben 60mila euro, ossia il valore di un prezioso orologio che gli era stato sottratto dall’armadietto dello spogliatoio in cui lo aveva riposto, nel dicembre 2017, poco prima di svolgere, all’interno del centro, attività sportiva. Il malcapitato, rientrato nello spogliatoio, aveva riscontrato che il suo armadietto, pur avendolo chiuso con codice segreto, era stato aperto da ignoti che avevano sottratto il suo zaino con all’interno, appunto, l’orologio.

Il derubato aveva immediatamente allertato gli addetti della reception, i quali avevano riscontrato come nelle ultime ore un tizio non iscritto alla palestra avesse effettuato l’accesso,  identificandosi con una patente di guida intestata a un’altra persona e riuscendo a passare nonostante la foto del documento fosse totalmente diversa dalle fattezze di colui che lo esibiva.

L’utente, non avendo ricevuto alcun riscontro dalla sua richiesta danni extragiudiziale, ha quindi intentato un’azione civile affinché l’attività fosse chiamata a rispondere dei danni derivanti dalla illecita sottrazione dell’orologio riposto all’interno dell’armadietto e, come precisato, debitamente chiuso, e questo in forza del fatto che le obbligazioni contrattuali assunte dall’impresa comprendevano anche il godimento “di tutte le attrezzature che si trovano nella palestra stessa compresi gli armadietti”, con il conseguente obbligo anche di custodire i beni degli avventori e per l’effetto di restituirli al termine dell’attività sportiva.

L’utente si appella alla disciplina del contratto d’albergo

Il cliente della palestra ha quindi invocato l’applicazione della disciplina del contratto di albergo, ha lamentato il fatto che le cassette messe a disposizione per la custodia dei beni personali potevano essere facilmente aperte da chiunque e con un qualsiasi arnese, che erano nulli tutti i patti di esclusione o limitazione della responsabilità del gestore e che, in definitiva, sussistevano tutti i presupposti di cui all’art. 2043 c.c., atteso che “i gestori della palestra non effettuavano tutti i controlli del caso e permettevano l’ingresso ad un soggetto non iscritto in palestra presentatosi, altresì, con un documento non riconducibile a quest’ultimo”.

 

L’impianto contesta le pretese addebitando il furto alla condotta avventata dell’avventore

La palestra si è costituita in giudizio contestando la fondatezza delle pretese avversarie sia nell’an che nel quantum. In particolare, la società che gestiva l’attività ha contestato la propria responsabilità in virtù della clausola di esonero della responsabilità pattuita tra le parti, ha eccepito la mancanza di prova del fatto storico da parte del derubato, nonché del quantum della pretesa. E al riguardo, ha richiamato il disposto dell’art. 1783 c.c., secondo cui “la responsabilità di cui al presente articolo è limitata al valore di quanto sia deteriorato, distrutto o sottratto, sino all’equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per la giornata”, rilevando pertanto come il valore del risarcimento, non avrebbe in ogni caso potuto superare la soglia dei settemila euro.

Inoltre, l’impresa ha sostenuto come non sussista alcuna forma di responsabilità in capo all’albergatore tutte le volte che il deterioramento, la distruzione o la sottrazione siano dovuti al cliente, addebitando al ricorrente una condotta, avventata e superficiale, non solo per l’aver portato con sé in palestra un bene di rilevante entità, ma anche per “essersi inspiegabilmente rifiutato di utilizzare le cassette di sicurezza installate proprio con la precipua finalità di custodire i bene degli utenti”. Secondo la tesi difensiva, il cliente derubato, pur avendo notato negli spogliatoi un personaggio dall’aspetto sospetto, si era fatto vedere da quest’ultimo mentre si toglieva l’orologio dal polso mettendolo nello zaino e di qui nell’armadietto, e si sarebbe addirittura fatto vedere mentre inseriva il codice segreto. La palestra infine ha ricordato che l’art. 1784 c.c. prevede che l’albergatore possa addirittura rifiutarsi di ricevere in custodia quegli oggetti che “abbiano un valore eccessivo” e concluso sostenendo che gli addetti avevano adottato nella fattispecie in esame tutte le premure necessarie.

 

I chiarimenti dei giudici: corretto il richiamo al contratto d’albergo

Alla fine i giudici hanno respinto la pretesa della persona derubata. Il Tribunale ha innanzitutto ritenuto corretto il richiamo da parte di quest’ultimo alla responsabilità contrattuale della società e agli artt. 1783 e seguenti c.c.: i principi sulla responsabilità dell’albergatore ex art. 1783 e ss. c.c. sono applicabili anche ad altre strutture, tra cui le palestre, poiché anche in tali fattispecie l’utente, per fruire appieno dei servizi, abbandona provvisoriamente la custodia di alcuni oggetti personali” recita la sentenza, aggiungendo anche che l’art. 1786 c.c., nell’estendere la normativa relativa al contratto di deposito in albergo agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili, integra una disposizione “chiaramente esemplificativa e deve intendersi ampliata fino a considerarvi compresa, in genere, ogni attività imprenditoriale di tal natura da implicare, avuto riguardo all’uso, la necessità di liberare il cliente dalla cura di custodire direttamente le cose che porta con se, alfine di agevolare il godimento del servizio”.

Pertanto, assodato che si possono comparare le strutture sportive all’albergo ed alle altre strutture ricettive di cui all’art. 1786 c.c., “nella fattispecie devono trovare applicazione le norme che regolano il deposito in struttura alberghieraproseguono i giudici, chiarendo poi che “il contratto concluso col titolare di un impianto sportivo è di natura complessa, implicando in capo al predetto gestore, l’obbligo principale, di far utilizzare agli avventori le attrezzature sportive, le docce e gli spogliatoi nonché quello accessorio di far loro utilizzare gli armadietti atti a riporre gli abiti ed i cassetti ove custodire gli oggetti personali, fino al termine dell’esercizio dell’attività sportiva. Specularmente il cliente si obbliga al pagamento dei servizi principale e accessori resigli, sia con un abbonamento, sia con un singolo ingresso giornaliero”.

 

Diversamente dall’albergatore, il gestore risponde integralmente solo delle “cose consegnate”

I giudici a questo punto spiegano che tra le norme che regolano il deposito in albergo, applicabili alla fattispecie ai sensi dell’art. 1786 c.c., figurano l’art. 1783 c.c., che disciplina la responsabilità per le cose portate in albergo, e l’art. 1784 c.c. quella per le cose consegnate. “Al pari dell’albergatore, il gestore della palestra risponde ex art. 1783 c.c., per ogni deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate nell’impianto o presso la struttura da parte dei clienti e custoditi negli armadietti nei limiti di dieci volte il valore del prezzo giornaliero di ingresso, mentre risponde illimitatamente ai sensi dell’art. 1784 c.c. in caso di affidamento di beni in custodia” prosegue la sentenza, aggiungendo che la responsabilità dell’albergatore per le cose dei clienti sorge infatti “per il solo fatto della introduzione, da parte del cliente stesso, delle cose nell’albergo, indipendentemente da qualsiasi consegna, poiché essa inerisce direttamente al contenuto del contratto alberghiero, dovendo essere riferita all’obbligo accessorio dell’albergatore di garantire alla clientela, contro eventuali perdite, danni e furti, la sicurezza delle cose portate in albergo”.

I giudici meneghini, però, precisano anche che malgrado, l’estensione operata dall’art. 1786 c.c. ad altre categorie di imprenditori della disciplina della responsabilità “ex recepto” dell’albergatore, “per quest’ultimo l’obbligo di sorveglianza per la tutela delle cose portate in albergo dal cliente e non consegnate in custodia, è più esteso (anche in senso spaziale) di quello, analogo, incombente al gestore di un impianto sportivo, attese le differenze strutturali delle due imprese e quelle di natura qualitativa, quantitativa e temporale dei servizi rispettivamente offerti”.

E per le cose non consegnate, la sua responsabilità è limitata a quelle di cui bisogna liberarsi

Ne consegue quindi che per le strutture sportive bisogna operare dei distinguo perché, “mentre per l’albergatore sussiste la responsabilità per tutte le cose portate dal cliente all’interno della struttura, per il gestore di un impianto sportivo tale responsabilità, per le cose non consegnategli in custodia, è limitata solo a quelle di cui è opportuno liberarsi per il miglior godimento della prestazione”.

Dunque, la prima differenza riguarda l’estensione degli oggetti per i quali si può richiedere il risarcimento. E non solo, vi è anche una gradualità per il “quantum risarcitorio”, come rammentano i giudici. Il gestore della palestra risponde: ex art. 1783 c.c., nei limiti di dieci volte il prezzo di ingresso giornaliero non di tutte le cose portate in palestra, ma solo di quelle di cui è opportuno liberarsi per il miglior godimento della prestazione; ex art. 1784 illimitatamente delle cose da lui prese in custodia, salva la facoltà di rifiutarsi di prenderle in custodia, soltanto ove si tratti di cose pericolose o di valore eccessivo o d natura ingombrante;  ex art. 1785 bis c.c. illimitatamente ove la distruzione o la sottrazione dipendano da colpa sua o dei suoi familiari o addetti. Ai sensi dell’art. 1785 c.c., poi, l’albergatore (e anche il gestore) non risponde “quando la sottrazione o il deterioramento sono dovuti al cliente (…) a forza maggiore, alla natura della cosa”.

Ragion per cui, in assenza della consegna in custodia di un bene di valore, il gestore potrà rispondere solo ex art. 1783 c.c. delle cose introdotte e di cui l’avventore debba liberarsi per lo svolgimento dell’attività sportiva, salva la colpa del gestore o dei suoi addetti ex art. 1785 bis c.c.

 

Nel caso di specie l’orologio rientrava nelle cose di cui liberarsi per svolgere l’attività

Applicando biondi questi principi al caso in esame, il Tribunale conviene sul fatto che l’orologio da polso rientri tra i beni di cui il cliente dell’impianto era costretto a disfarsi per poter usufruire delle strutture della palestra. “In proposito è stato evidenziato dalla giurisprudenza di merito che è obbligo del gestore di una palestra, ovvero di strutture analoghe, offrire al cliente un servizio di custodia degli effetti personali che il cliente quotidianamente porta con sé, poiché si tratta di servizio accessorio necessario per la corretta esecuzione della prestazione principale, cioè il godimento degli attrezzi nel caso della palestra e delle piscine e degli altri impianti nel caso del centro benessere”.  Infatti, nella palestra in questione erano pacificamente presenti sia armadietti con chiusura a codice presso l’area non sorvegliata degli spogliatoi, sia cassette di sicurezza adiacenti alla reception e facilmente controllabili dagli addetti di quest’ultima per la loro posizione.

Ora, se, com’è risultato incontestato,  gli avventori erano a conoscenza della presenza di cassette di sicurezza per il deposito di beni di valore ed erano stati invitati dal personale ad utilizzarle, è altrettanto vero, proseguono i giudici, “che non risulta che il cliente abbia assunto uno specifico obbligo sul punto, stante la completa assenza di ogni riferimento alla cassetta di sicurezza nel contratto sottoscritto inter partes”: in altri termini, l’utilizzo di queste cassette non poteva ritenersi obbligatorio per le parti in assenza di specifiche previsioni normative.

Tuttavia, viene al dunque la sentenza, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, “in tema di responsabilità per le cose portate in albergo, se il cliente non ha l’obbligo di affidare in custodia all’albergatore gli oggetti di valore di sua proprietà, mancando una specifica previsione normativa in tal senso, tuttavia, se non si avvale di tale facoltà e le cose vengano sottratte, egli può ottenere il ristoro non del danno integrale ma solamente entro il limite massimo stabilito dall’art. 1783 comma 3 c.c., salvo che non provi la colpa dell’albergatore o degli altri soggetti a lui legati da rapporto di parentela o di collaborazione, ai sensi dell’art. 1785 bis c.c.

 

La decisione di riporlo solo nell’armadietto comporta una limitazione dell’obbligo risarcitorio

In buona sostanze, non è corretto qualificare quale comportamento omissivo la scelta dell’avventore di non avvalersi delle casseforti predisposte dalla struttura, “poiché egli non poteva dirsi tenuto dalla legge o dagli usi a denunciare al personale del centro il possesso dell’orologio da polso per cui è causa”, ma al contempo occorre però tenere presente che “la decisione del cliente di riporre oggetti di valore e denaro contante all’interno dell’armadietto comporta una limitazione dell’obbligo risarcitorio posto a carico della struttura. Infatti, mentre quest’ultima deve dirsi responsabile per l’intero valore sottratto o distrutto nel caso in cui i beni siano stati oggetto di specifica consegna in custodia al personale ai sensi dell’art. 1784 c.c., laddove il cliente abbia preferito usufruire dei soli armadietti si applicherà, a meno di dimostrare la colpa del gestore, il limite previsto dall’art. 1783 comma 3 c.c. ed il risarcimento sarà eventualmente dovuto per un valore pari, al massimo, a cento volte il prezzo del biglietto d’ingresso”.

Pertanto, “avuto riguardo alla natura dell’oggetto depositato ed al fatto che lo stesso fosse stato riposto all’interno di un armadietto, chiuso con codice di sicurezza, si deve escludere che la fattispecie sia riconducibile alla responsabilità di cui all’art. 1784 c.c. per cose prese in custodia. Infatti, negli spogliatoi gli addetti della palestra non avrebbero potuto svolgere appieno la propria vigilanza, pena la violazione della privacy dei clienti”.

Insomma, avendo lo sportivo deciso di riporre i propri oggetti personali nell’armadietto posto nello spogliatoio maschile, anziché consegnarli direttamente agli addetti, deve trovare applicazione, in difetto di un obbligo normativo e contrattuale di deposito nelle apposite cassette, l’art. 1783 c.c.

 

Inoltre, i giudici ravvisano una condotta colposa del proprietario e rigettano la domanda

I  giudici, infine, si soffermano anche sulla colpa della struttura lamentata  dal derubato, il quale aveva imputato il furto a una persona che aveva fruito quel giorno dei servizi della palestra; in particolare, come detto, aveva dedotto che la colpa sarebbe stata integrata dall’aver consentito l’ingresso a un tale che non aveva stipulato un abbonamento e senza effettuare gli opportuni controlli in termini di raffronto tra la foto del documento di identità e il viso della persona. “Queste circostanze, tuttavia – spiega la sentenza – non si reputano idonee ad integrare una colpa della convenuta”, dal momento che era consentito l’ingresso in palestra anche per singoli giorni, tramite la richiesta di un pass giornaliero anche da parte di avventori “esterni”, “circostanza che doveva essere perfettamente nota all’attore, essendo riportate tutte le modalità di iscrizione alla palestra tramite le varie opzioni di abbonamento anche nel contratto da lui prodotto unitamente all’atto di citazione”. E in ogni caso, “anche ove gli addetti avessero svolto un controllo approssimativo e pertanto negligente, non può ritenersi provato che detta eventuale omissione colposa del gestore della palestra possa ritenersi in nesso di causa con la sottrazione subita dall’attore.

Al contrario, tutte le circostanze del caso e, in particolare, “la consapevolezza di avere introdotto un effetto personale avente valore molto ingente, che avrebbe sicuramente reso estremamente opportuna la custodia presso le cassette di sicurezza site in prossimità della reception, ove per la struttura stessa degli ambienti avrebbe potuto essere vigilato dagli addetti della stessa, oltre alla percepita precarietà della chiusura dell’armadietto per riporre i beni portati dall’esterno, unitamente soprattutto all’avvertita presenza di una persona che aveva con ogni probabilità notato un oggetto di tale valore ed il luogo in cui l’orologio era stato riposto e anche forse, a detta dello stesso attore, il codice di apertura-chiusura dell’armadietto, inducono a ritenere integrata una colpa del cliente, tale escludere ex art. 1785 n. 1) c.c. una responsabilità della società convenuta”.

Per le stesse ragioni, “stante l’assenza della prova di una colpa da parte della convenuta, i giudici hanno ritenuto infondata anche la domanda ex art. 2043 c.c., respingendo quindi tutte le domande risarcitorie.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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