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Anche la sofferenza e il patema d’animo provati dal proprietario di un animale d’affezione per la sua perdita o per la compromissione del suo stato di salute dovute a condotta colposa altrui sono meritevoli di risarcimento.

Particolarmente interessante in tema di “animal law” è una recente sentenza, la n. 1362/2023, del 3 novembre 2023, pronunciata dal Tribunale di Pisa.

La via crucis di un cane cucciolo affetto da displasia sulle anche e sottoposto a più interventi

La vicenda. Un cane corso cucciolo di tre mesi affetto da una grave displasia su entrambe le anche era stato sottoposto ad un intervento chirurgico di duplice osteotomia pelvica presso due strutture veterinarie diverse. Immediatamente dopo ciascuno dei due interventi, tuttavia, l’animale aveva presentato una serie di preoccupanti criticità. I proprietari quindi si erano rivolti ad una terza e infine ad una quarta clinica veterinaria dove il cucciolo era stato operato per la rimozione di entrambe le placche. Sottoposto ad una nuova risonanza, era stato infine accertato un irreparabile danno nella parte finale della colonna vertebrale provocato da un batterio che aveva intaccato e compromesso gli ultimi tre dischi invertebrali.

I padroni citano il veterinario e le cliniche dov’erano state effettuate le prime due operazioni

I padroni del cucciolo hanno quindi chiesto danni patrimoniali e non (questi ultimi con liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.) alle due strutture dove era stata eseguita la duplice osteotomia pelvica. Ciascuna delle quali ha chiamato a manleva la rispettiva compagnia di assicurazione, e al veterinario che aveva eseguito entrambi gli interventi, che a sua volta ha chiamato in causa la propria assicurazione per essere manlevato nella ipotesi di condanna. Trattandosi di un contratto d’opera professionale hanno trovano applicazione gli artt. 1176 cc. e 2236 cc.

La consulenza tecnica conferma gli errori nel praticare la duplice osteotomia pelvica

Decisiva la consulenza tecnica d’ufficio disposta dai giudici, la quale ha evidenziato che gli interventi eseguiti non avevano portato alla risoluzione delle problematiche rilevate. Anzi, già la scelta di effettuare la duplice osteotomia pelvica era stata un’opzione con margini di rischio di inefficacia terapeutica in quanto il cane, al momento delle operazioni peritali, riportava una displasia dell’anca di grado E, ossia il massimo con indicazione elettiva di intervento protesico.

Sempre secondo la Ctu si sarebbe potuto prudentemente desistere dall’effettuare interventi preventivi, salvo poi valutare il decorso della patologia ai fini di attuazione dell’ipotesi curativa consistente nell’intervento di protesi d’anca. Ed è stato accertato altresì un maggiore grado di incidenza pregiudizievole dovuta all’infezione da stafilococco.

Le responsabilità per la malpratice veterinaria è stata infine ascritta dal Tribunale, oltre che al veterinario che aveva eseguito i due interventi, alla clinica dov’era stato eseguito il primo e che peraltro aveva aperto la porta al batterio che poi aveva progredito in una grave infezione provocando condizioni patologiche aggiuntive.

 

I giudici liquidano il danno patrimoniale ai proprietari e anche il danno non patrimoniale per la sofferenza provata per il calvario del loro cucciolo

Il tribunale ha pertanto riconosciuto ai proprietari del cucciolo il danno patrimoniale comprensivo degli esborsi per esami diagnostici, visite specialistiche, farmaci, viaggi e pernotti per portare il cane presso le due strutture ove è stato ricoverato, per un totale forfettario di 12.127 euro.

Ma i giudici hanno affrontato e risposto affermativamente anche alla più delicata questione della risarcibilità del danno non patrimoniale da lesione o perdita di un animale da affezione domestico, danno consistente nella sofferenza e nel patema d’animo subiti dal proprietario a causa di fatti illeciti realizzati da terzi o di condotte colpose integrate dal veterinario, come nel caso di specie.

Il tutto alla base della considerazione che il rapporto d’affezione con l’animale domestico, secondo i giudici pisani, assume un valore sociale tale da elevarlo al rango di diritto inviolabile della persona umana ai sensi degli artt. 2, 32 e 42 Cost., non potendo non essere qualificato come espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art.2 della Costituzione.

Pertanto, secondo il Tribunale, l’interesse non patrimoniale sotteso a tale legame d’affezione, ove leso in violazione di obbligazione contrattuale, assurge al rango di interesse giuridicamente rilevante e come tale risarcibile. I giudici al riguardo del caso specifico hanno evinto il profondo legame esistente tra il cagnolino e i suoi padroni da tutte le azioni compiute da questi ultimi in un lungo periodo temporale per apprestargli le migliori cure possibili, ritenendole dimostrazioni convincenti che la domanda risarcitoria dei danni non patrimoniali andava ritenuta fondata e meritevole di accoglimento.

Quanto alla difficile quantificazione (stimata in via equitativa in 1.500 euro per ciascuno dei due proprietari attori) il Tribunale pisano ha riconosciuto che il grado di afflizione e patimento subìti dai padroni dell’animale, oltre da tutte le azioni, anche notevolmente onerose, realizzate per assicurargli le cure necessarie, potesse essere ricavato anche dalla circostanza dell’aver dovuto assistere inermi alle varie peripezie sanitarie subite dal proprio cane.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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