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Anche nella materia della diffamazione a mezzo stampa, e relativamente alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno deve essere liquidato seguendo le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, che prevedano parametri oggettivi. Lo ha stabilito la Cassazione, prima sezione Civile, con l’ordinanza n. 3772/24 depositata il 12 febbraio 2024.

Una causa civile per diffamazione a mezzo stampa che finisce al vaglio della Cassazione

Nodo del contendere un articolo del quotidiano Repubblica che un noto magistrato napoletano oggetto del pezzo, e la figlia, giovane avvocato, a sua volta “tirata in ballo”, sia pur marginalmente, avevano ritenuto lesivo, chiedendo i danni, appunto, per diffamazione, e la causa è finita al vaglio della Suprema Corte, che ha accolto il ricorso proposto dai giornalisti e dall’editore contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli.

La diffamazione nei confronti del giudice era stata esclusa, nell’articolo era stata riconosciuta la verità e la pertinenza, ma erano stati liquidati alla figlia oltre 28mila euro, contro i tremila stabiliti in primo grado, a ristoro del disagio provato dalla giovane professionista per il pezzo che trattava di un presunto scambio di favori tra il padre e un imprenditore.

I giudici del Palazzaccio hanno chiarito che in questi casi per determinare l’entità del risarcimento vanno considerati una serie di parametri oggettivi. Ad esempio va esaminata la natura della condotta, se cioè si tratti di un solo articolo o di una vera e propria campagna stampa; pesa poi la collocazione del pezzo, lo spazio ottenuto e la risonanza mediatica della notizia. E, soprattutto, incidono le conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato, oltre che l’elemento psicologico a carico dell’autore della condotta.

Nel caso di specie la Corte d’appello aveva ritenuto l’illecito di “media gravità”, nonostante l’articolo in realtà non interessasse direttamente l’avvocata, che veniva in rilievo solo marginalmente, e che aveva patito le asserite conseguenze nella sfera privata e non professionale: nel pezzo il suo nome non veniva neppure fatto, la sua identificazione poteva avvenire solo da parte di una ristretta cerchia di persone. Senza contare che all’epoca dei fatti non aveva neppure chiesto una rettifica dopo la pubblicazione.

Insomma, secondo i giudici del Palazzaccio la liquidazione del danno non patrimoniale stabilita dalla Corte d’appello non risultava adeguata alle peculiarità della vicenda e né sorretta da motivazioni corrette, di qui la decisione di cassare la sentenza con rinvio.

 

Per una corretta liquidazione del danno vanno seguiti i criteri delle Tabelle di Milano

Ed è appunto qui che la Suprema Corte, la parte cruciale del pronunciamento, spiega che anche nella materia della diffamazione a mezzo stampa e relativamente alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno va liquidato seguendo le tabelle del tribunale di Milano.

I parametri da considerare in questa peculiare fattispecie di illecito e di danno

Le tabelle prevedono infatti parametri oggettivi e diffusamente adoperati, a cominciare dalla notorietà del diffamante, dalle cariche pubbliche e il ruolo istituzionale o professionale eventualmente ricoperti dal diffamato, dalla natura della condotta diffamatoria, e quindi il tipo di espressione usata o l’attribuzione di un fatto specifico; dall’esistenza di condotte diffamatorie singole, o reiterate in più post, commenti, scritti fino all’orchestrazione di vere e proprie campagne stampa.

E, inoltre, le tabelle considerano la collocazione dell’articolo e lo spazio che la notizia diffamatoria occupa; l’intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione e la sua volontà di danneggiare la vittima; il mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la sua diffusione; la risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie; la natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato; la limitata riconoscibilità del diffamato; la rettifica successiva e/o lo spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato ovvero il loro rifiuto o ancora la cancellazione del post da internet.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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