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I legali rappresentanti di uno stabilimento balneare e della ditta incaricata di certificare la conformità dell’impianto elettrico della struttura colpevoli anche per la Cassazione per il serio infortunio occorso ad un minore rimasto folgorato mentre si asciugava i capelli con il phon, con relativa condanna penale e al risarcimento dei danni.

Così ha deciso la Suprema Corte con la sentenza n. 35123/23 depositata il 21 agosto 2023, nella quale tuttavia gli Ermellini hanno anche chiarito che il reato in questione è quello di lesioni colpose e come non sussista anche l’aggravante del fatto commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Titolare dello stabilimento balneare ed elettricista condannati per l’infortunio a un minore

La vicenda.  Il giudice di Pace di Taranto, con decisione confermata quale giudice di secondo grado dal tribunale cittadino, che aveva rigettato l’appello, aveva condannato il titolare di uno stabilimento balneare e quello della ditta incaricata di certificare la conformità dell’impianto elettrico della struttura per il reato di lesioni colpose ai danni di un minore e, in solido con il responsabile civile, al risarcimento del danno.

Il ragazzo era rimasto folgorato mentre stava utilizzando l’asciugacapelli in una cabina

La famiglia del ragazzo aveva stipulato, per l’intera stagione estiva, un regolare contratto di fornitura dei servizi di cabina e ombrellone all’interno dello stabilimento ma il giovane era rimasto folgorato mentre stata utilizzando, all’interno della cabina, un asciugacapelli e la scarica elettrica gli aveva causato serie lesioni: trauma da elettro-locuzione con ustione di secondo grado profondo al palmo delle mani, come certificato dai sanitari del pronto soccorso.

 

Provato secondo i giudici di merito il malfunzionamento dell’interruttore differenziale

Il tribunale, sulla base delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato ad hoc, aveva concluso che l’incidente era riconducibile al mancato funzionamento dell’interruttore magnetotermico differenziale, non condividendo le tesi difensive degli imputati secondo i quali invece la causa andava ricercata nel malfunzionamento dell’asciugacapelli, anche alla luce delle verifiche effettuate dai carabinieri e dall’impiantista, che avrebbero invece dimostrato il funzionamento dell’interruttore differenziale.

Ma per i giudici tali verifiche erano state successive all’evento e, in ogni caso, non era stato possibile procedere a un accertamento della conformità dell’impianto di messa a terra, non avendo il legale rappresentante dello stabilimento balneare mai fornito la necessaria documentazione, senza contare che l’ultima verifica prima dei fatti era risalente a diversi mesi prima e la scheda redatta era priva di specifiche indicazioni inerenti alle operazioni compiute per valutare il corretto funzionamento e la sicurezza di quell’impianto, contenendo solo un generico riferimento a una prova d’intervento degli interruttori differenziali e a una verifica dell’impianto di messa a terra.

 

Non effettuate le manutenzioni e le verifiche di legge dell’impianto con organismi accreditati

Il tribunale aveva inoltre aggiunto la considerazione che in ogni caso il datore di lavoro è comunque tenuto a effettuare regolari manutenzioni dell’impianto da sottoporre a verifiche quinquennali a mezzo di organismi accreditati, quali Arpav o Asl, del tutto omesse nella specie e non sostituibili con quelle effettuate dall’impiantista scelto, giudicando infine del tutto irrilevanti le condizioni dell’asciugacapelli: lo scopo dell’interruttore differenziale e dell’impianto con messa a terra è infatti proprio quello di interrompere il flusso dell’energia anche in ipotesi di apparecchi malfunzionanti e di altre situazioni anomale in grado di generare eventi lesivi.

Impianto che, in conclusione, non era stato considerato dal Ctu conforme alla normativa vigente, essendo stato solo tardivamente adeguato ad essa e, soprattutto, non sottoposto da chi ne aveva l’obbligo, in quanto legale rappresentante dello stabilimento balneare, alle regolari verifiche da parte di organismi a ciò deputati, con conseguente violazione dell’obbligo di impedire che esso costituisse fonte di pericolo per gli utenti. E del resto il pericolo collegato alla presenza e all’utilizzo delle prese elettriche nelle cabine era del tutto prevedibile, trattandosi di fonti di erogazione dell’energia facilmente accessibili dagli utilizzatori, anche imprudenti.

 

Gli imputati ricorrono in Cassazione contestando le conclusioni circa il malfunzionamento

La società titolare dello stabilimento, quale responsabile civile, nella persona del suo legale rappresentante e imputato, ha tuttavia proposto ricorso anche per Cassazione, e lo stesso ha fatto l’altro imputato. I ricorrenti hanno sostenuto, tra le altre cose, che l’ipotesi del malfunzionamento sarebbe stata suffragata da un accertamento del tutto congetturale, non essendo mai stato dimostrato, a loro dire, che l’interruttore differenziale esistente nella cabina e quello a protezione del gruppo di cabine interessato fossero stati effettivamente non funzionanti, essendo emerso addirittura il contrario.

Eccepita anche l’incompetenza del giudice di pace per fatti legati a violazioni antinfortunistiche

E’ stata inoltre dedotta, ed è uno dei punti che preme di più, la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all’art. 21, c.p.p., avuto riguardo al disposto di cui all’art. 4 D. Lgs. n. 274/2000 che individua la competenza per materia del giudice di pace, escludendola, quanto alle lesioni colpose, per i fatti aggravati dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Rispetto alla imputazione, il giudice dell’appello avrebbe infatti ritenuto, tra le cause dell’evento, anche la violazione dell’art. 4 D.P.R. n. 462/2001 che impone al datore di lavoro di effettuare regolari controlli di manutenzione dell’impianto e verifiche quinquennali, ma anche la violazione dell’art. 86 del D. Lgs. n. 81 del 2008, rilevando la superficialità degli interventi e delle relative annotazioni sul registro, in violazione della normativa sovranazionale.

La difesa, muovendo dal principio che le norme antinfortunistiche sono poste a tutela non solo dei lavoratori, ma anche dei terzi, ne ha inferito l’incompetenza per materia del giudice di pace, precisando altresì che tale eccezione poteva essere sollevata per la prima volta anche in sede di legittimità, purché, al di là di ogni accertamento in fatto, essa si fondi su elementi certi e inequivocabili.

I ricorrenti hanno inoltre lamentato l’omessa valutazione da parte dei giudici di secondo grado di fattori causali alternativi, tra i quali l’imprudenza della persona offesa, essendo stato il phon utilizzato in violazione di espresso divieto, affisso in tutta l’area dello stabilimento balneare.

Per gli Ermellini, tuttavia, i motivi di doglianza sono inammissibili, avendo il tribunale ritenuto in maniera chiara, “alla stregua del compendio probatorio acquisito”, che la causa della folgorazione subita dal minore fosse da ascriversi “al malfunzionamento dell’interruttore magnetotermico differenziale che, nella specie, non ha svolto le funzioni protettive cui è deputato”, evidenziando altresì elementi oggettivi “dai quali ha ritenuto motivatamente dimostrato che le verifiche e i controlli, assegnati alla ditta del coimputato, erano rimasti meramente cartolari, in difetto di attestazioni sulle operazioni in concreto svolte e che, pertanto, non fosse stata garantita alcuna manutenzione dell’impianto. L’adeguamento del quale era avvenuto solo dopo l’evento”.

 

Provata la gestione inadeguata dello stabilimento circa la sicurezza dell’impianto elettrico

A conferma di tale quadro accusatorio, il Tribunale, prosegue la Suprema Corte, “ha scelto, poi, di illustrare ulteriori argomentazioni a sostegno di quella che, con ogni evidenza, è stata ritenuta una gestione inadeguata dello stabilimento, almeno dal punto di vista della sicurezza dell’impianto elettrico: trattasi, tuttavia, di un ragionamento che nulla aggiunge alle conclusioni alle quali era pervenuto l’ausiliario e che i giudici del merito, in maniera conforme nei due gradi di giudizio, hanno recepito in decisione, nei termini sopra riportati”.

Reato correttamente individuato in lesioni colpose non aggravate dalla norma antinfortunistica

Una premessa utile, questa, spiega la Cassazione nel rigettare uno dei motivi di ricorso, per affermare che, nella specie, “si è proceduto per lesioni non aggravate dalla normativa antinfortunistica, tema rimasto estraneo al contraddittorio tra le parti, poiché l’argomento che richiama la normativa infortunistica è stato utilizzato dal Tribunale solo dopo aver ritenuto l’esistenza del rapporto causale tra l’omissione contestata e l’evento e la riconducibilità all’imputata della gestione di quel rischio specifico, rischio prevedibile in ragione della predisposizione di prese elettriche liberamente utilizzabili dagli utenti del servizio, ad onta degli avvisi eventualmente presenti nella struttura”.

Ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, la Suprema Corte rammenta anche che, per potersi dire integrata la circostanza aggravante del “fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio – derivante dallo svolgimento di attività lavorativa – di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio “lavorativo”, non essendo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa”.

E qui gli Ermellini citano la sentenza n. 32899/21 della quarta sezione della Cassazione in cui, in applicazione di tale principio, la Corte aveva escluso la configurabilità della circostanza aggravante in relazione ai reati di omicidio colposo ascritti, quali datori di lavoro, ad esponenti di Trenitalia e Ferrovie dello Stato per le morti “di soggetti terzi estranei all’organizzazione di impresa”, causate dall’incendio derivato dal deragliamento e dal successivo ribaltamento del treno merci che trasportava Gpl, durante l’attraversamento della stazione di Viareggio, determinato dal cedimento di un assile dovuto al suo stato di corrosione, ritenendo le vittime non esposte “al rischio lavorativo”, bensì a quello “attinente alla sicurezza della circolazione ferroviaria”.

In maniera del tutto conforme, anche successivamente, si è affermato che non è configurabile la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui l’incidente sia avvenuto sì “in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa”, ma non con “violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ponendosi il rischio fuori della sfera di gestione del datore di lavoro”: anche qui viene citata una sentenza della quarta sezione, la n. n. 31478/2022, in cui la Corte aveva annullato senza rinvio la decisione di affermazione di responsabilità del titolare di un’azienda per la raccolta di rifiuti urbani in relazione all’investimento di un pedone avvenuto durante la manovra di retromarcia di un mezzo per la raccolta dei rifiuti, omologato mono-operatore e dotato di strumentazione funzionante, ma inidoneo ad assicurare la visuale della zona retrostante.

Alla stregua di tali principi, dunque, è del tutto inconferente la questione prospettata a sostegno dell’allegata incompetenza per materia del giudice di primo grado, non versandosi in ipotesi aggravata dalla violazione delle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, con conseguente assenza di ogni violazione dell’art. 4, D. Lgs. n. 28 agosto 2000, n. 274” ribadiscono i giudici del Palazzaccio, rigettando anche i restanti motivi di doglianza.

Prospettare una sottovalutazione o una omessa considerazione di elementi fattuali ritenuti dirimenti (nella specie, l’abusivo e incauto utilizzo dell’asciugacapelli da parte del minore), così come evidenziare i connotati congetturali del relativo ragionamento esplicativo costituisce impianto tipico di una denuncia di incongruità e contraddittorietà della motivazione, che non avrebbe tenuto conto del fattore interferente prospettato a difesa, ma non certamente violazione della legge penale sostanziale o processuale”. Idem laddove la difesa ha prospettato l’inequivoca sussistenza di fattori causali alternativi, “esclusi motivatamente dai giudici del merito”. In conclusione e risolutivamente, secondo la Suprema Corte, “la motivazione censurata non presenta alcuno degli aspetti critici evidenziati dalla difesa”, con conseguente rigetto del ricorso e conferma della condanna e del risarcimento dovuto al minore.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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