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In materia di inquinamento acustico, la mancata misurazione del rumore di fondo, nella fascia oraria cui si riferiscono le contestazioni, impedisce di dimostrare l’intollerabilità delle immissioni sonore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, II sezione civile, con la recente sentenza n. 1025 del 17 gennaio 2018.

Il caso. Due cittadini di Busto Arsizio avevano citato in giudizio una grossa tintoria del posto a causa delle immissioni rumorose prodotte durante le ore notturne. Il giudice di primo grado del Tribunale di Busto, acclarando la loro intollerabilità, aveva condannato l’impresa a ricondurre i rumori nei valori di legge, oltre che a risarcire il danno. In sede di gravame, tuttavia, la sentenza era stata riformata, in quanto il giudice di appello aveva ritenuto che la prova dell’evento di danno non fosse stata raggiunta. Si è dunque approdati in Cassazione. E la Suprema Corte ha confermato il percorso delibativo seguito dal giudice di secondo grado. Va sottolineato che il vaglio ha investito unicamente le motivazioni sottese alla decisione, in quanto la valutazione sulla tollerabilità (o meno) delle immissioni rumorose rientra in un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità.

Gli Ermellini hanno rigettato le censure proposte dai cittadini ricorrenti e confermato quanto deciso in appello, poiché il giudicante si era motivatamente discostato dalle conclusioni del CTU, censurando le modalità di misurazione da questi adottate. Il perito, infatti, aveva applicato «il criterio differenziale tra il rumore ambientale e il rumore residuo», ritenendo che l’attività dell’azienda debordasse dai limiti di legge così come statuiti dal D.P.C.M. del 01.03.1991 (recante disposizioni sui “limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”).

Per comprendere l’iter decisionale della Corte occorre specificare cosa si intenda per rumore ambientale, residuo e di fondo. Il primo è quello prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in un dato luogo e durante un determinato tempo: è costituito dall’insieme del rumore residuo e da quello prodotto dalle specifiche sorgenti disturbanti (All. A, art. 4 D.P.C.M. 01.03.1991). Il rumore residuo è quello che si rileva quando si escludono le specifiche sorgenti disturbanti: per la sua misurazione si seguono le medesime modalità impiegate per la misura del rumore ambientale (All. A, art. 3 D.P.C.M. 01.03.1991). Il rumore di fondo è la fascia rumorosa costante nella quale si verificano le immissioni ritenute moleste (Cass. 17 febbraio 2014 n. 3714).

Nel caso di specie, il periodo di disturbo lamentato dai ricorrenti era concentrato tra le cinque e le sette del mattino, fascia oraria che, secondo la comune esperienza, è caratterizzata dalla ripresa della maggior parte delle attività umane dopo la pausa notturna. Eppure il CTU non aveva misurato il rumore di fondo nel periodo esaminato, falsando quindi la misurazione relativa ai “limiti differenziali”.

Ma cosa si intende con questa espressione? Il Leq è il livello equivalente, cioè il parametro indicatore dell’immissione di rumore nelle abitazioni e nell’ambiente esterno: si tratta di un valore medio, inidoneo a valutare la sorgente disturbante. Il limite assoluto riguarda i limiti massimi stabiliti per legge in base alla zona. Per limite differenziale si intende invece la differenza tra il rumore di fondo e la sorgente disturbante, mutevole a seconda che ci si trovi di giorno o di notte (D.P.C.M. 14 novembre 1997 recante “la determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”)

La Suprema Corte ha rilevato come, nella fattispecie, la misurazione del rumore di fondo non fosse avvenuta nel periodo di tempo a cui si riferivano le contestazioni. Tale circostanza è di particolare rilievo, giacché la fascia oraria in oggetto, come detto, è caratterizzata dal risveglio delle “attività antropiche”, pertanto ne consegue che il rumore sia superiore rispetto alla fascia notturna. Quindi, se il rumore di fondo è più alto, muta anche il valore del limite differenziale, che ben potrebbe non superare le soglie di legge. Infatti, nel periodo che va dalle 4.52 del mattino alle 5.01, il livello equivalente (Leq) aumenta di ben 7.60 punti. Pertanto, è plausibile ritenere che nelle ore successive esso possa alzarsi ulteriormente, rendendo diversi anche i livelli differenziali e assoluti rilevati. In altre parole, occorre tenere conto del rumore di fondo esistente al momento della misurazione per valutare la sussistenza (o meno) della violazione dei limiti legali, assoluti e differenziali.

Il criterio differenziale, come dice il nome stesso, si basa sulla differenza tra il livello di rumore ambientale ed livello di rumore residuo e trova il proprio ubi consistam normativo nel D.P.C.M. 14 novembre 1997. Il criterio comparativo, invece, è di creazione giurisprudenziale e considera intollerabili le immissioni che superino il rumore di fondo di oltre 3 decibel. «Posto che per valutare il limite di tollerabilità delle immissioni sonore occorre tener conto della rumorosità di fondo della zona in relazione alla reattività dell’uomo medio, rettamente il giudice di merito ritiene eccedenti il limite normale le immissioni che superano di 3 decibel la rumorosità di fondo» (Cass. 6 gennaio 1978, n. 38). Tale principio è stato recentemente ribadito anche da una pronuncia a Sezioni Unite (Cass. S.U. 27 febbraio 2013 n. 4848). Di regola, nei rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti che esercitano attività produttive, commerciali, etc, trova applicazione la disciplina normativa di cui sopra ed il criterio differenziale; mentre nei rapporti inter-privatisci si ricorre all’art. 844 c.c. ed al metodo comparativo.

Ai sensi di quest’ultimo articolo sono considerate illecite le immissioni intollerabili, di qualsiasi natura, comprese quelle sonore. Ebbene, la legge ed i regolamenti individuano indici e livelli predeterminati il cui superamento produce una violazione. Tuttavia, non sempre il mancato rispetto del limite di legge comporta per ciò solo l’intollerabilità dell’immissione. Per converso, alcune immissioni, pur non oltrepassando la soglia, superano comunque il livello di tollerabilità di cui all’art. 844 c.c. A tal proposito, si precisa che «il superamento dei livelli massimi di tollerabilità determinati da leggi e regolamenti integrano senz’altro gli estremi di un illecito anche se l’eventuale non superamento non può considerarsi senz’altro lecito, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità essere effettuato alla stregua dei principi stabiliti dall’art. 844 c.c.» (Cass. Ord. 18 gennaio 2017 n. 1069). La suddetta valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che deve valutare caso per caso (Cass. 25 gennaio 2006, n. 1418). Egli è tenuto a considerare la situazione concreta, la vicinanza dei luoghi, gli effetti dannosi sulla salute. Non deve porre alla base del giudizio esclusivamente i rilievi tecnici e fonometrici. Infatti, in qualche decisione di merito, è stata ammessa anche la prova testimoniale. I rumori ben possono cadere sotto la diretta percezione dei testi e, pertanto, non si tratta di giudizi valutativi (Tribunale Brescia, sentenza del 26 settembre 2017 n. 2621).

La Suprema Corte, riassumendo, ha confermato la decisione appellata, precisando come la valutazione sull’intollerabilità delle immissioni sia insindacabile in sede di legittimità e ricordando che il giudice, in qualità di peritus peritorum, può discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, purché motivi ragionevolmente la propria decisione. Nel caso in questione, come già ricordato, la mancata misurazione del rumore di fondo nel periodo di interesse ha reso la perizia inidonea ad accertare se vi fosse stato un effettivo sforamento dei limiti di legge.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Danni Ambientali

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