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Farà discutere la sentenza n. 26290/23 depositata il 19 giugno 2023 con cui la Cassazione ha cassato la sentenza di condanna per omicidio stradale, che pur sembrava “ovvia”, pronunciata dai giudici di merito nei confronti di una automobilista che, dopo un’uscita di strada, aveva causato la morte della madre che trasportava in auto.

 

Automobilista condannata per omicidio stradale per un’uscita di strada fatale alla madre

La macchina condotta dall’imputata, percorrendo una Statale, aveva sbandato all’imbocco di una curva a destra, aveva invaso la corsia opposta e si era ribaltata a causa delle rocce presenti a bordo strada: una serie di urti e impatti violentissimi in seguito ai quali la passeggera del veicolo che, tragedia nella tragedia, era la mamma della conducente, non era sopravvissuta, spirando all’ospedale dopo dieci giorni di agonia per i gravissimi politraumi riportati. La guidatrice, indagata per omicidio stradale, era stata rinviata a giudizio e condannata anche in appello alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione.

La donna, tuttavia, tramite il proprio legale, ha proposto ricorso anche per Cassazione, sostenendo, in estrema sintesi, che il giudice del merito avrebbe enunciato un giudizio ex post e in astratto quando aveva osservato che la conducente viaggiava a ridosso dei limiti ma a una velocità che “evidentemente” non le aveva consentito di mantenere il controllo del veicolo. Secondo la tesi difensiva, può essere ricondotto alla responsabilità dell’agente soltanto l’evento che è collegato sul piano causale alla violazione della specifica regola cautelare.

 

Per affermare la responsabilità di un conducente va prima accertata la norma cautelare violata

E la Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso, premettendo innanzitutto che la fattispecie va inquadrata nel sistema normativo della causalità della colpa. Gli Ermellini spiegano che, per affermare la responsabilità penale del conducente, il giudice non può limitarsi ad accertare il nesso causale tra la condotta e l’incidente, ma deve anche verificare qual è il rischio che la norma cautelare violata punta a evitare: è quindi impossibile ritenere colpevole il guidatore senza prima individuare la regola cautelare trasgredita e chiarire perché l’evento sia imputabile dal punto di vista soggettivo alla persona al volante, valutando cioè come questa regola si pone rispetto all’area di rischio considerata. La violazione risulta rilevante, per i giudici del Palazzaccio, soltanto se rende concreto il rischio che la regola stessa intendeva prevenire. Occorre, in ultima analisi, il nesso anche tra la regola violata e l’incidente, oltre al collegamento materiale tra condotta e sinistro.

Né è sufficiente, ad avviso della Suprema Corte, il fatto che nello specifico mancasse la prova della presenza di una pietra che si sarebbe distaccata da una serie di massi sulla carreggiata e che l’imputata e il suo legale invocavano a giustificazione dell’uscita di strada. L’errore dei giudici di merito sta nel fatto di non aver detto nulla nella sentenza d’appello sull’elemento psicologico del reato, cioè se l’evento fosse prevedibile e quale sarebbe stata la condotta alternativa esigibile dalla conducente e anche quale sarebbe dovuta essere la corretta velocità da tenere. Di qui la decisone di cassare la sentenza e di rinviare la causa alla Corte d’appello in questione, in diversa composizione, che dovrà rivalutare il caso tenendo presente queste indicazioni.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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