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Uno dei più frequenti motivi di lite all’interno di un condominio è senza dubbio il rumore. Ma perché sia punito penalmente deve interessare un numero indeterminato di persone: a lamentarsi cioè non può essere esclusivamente un singolo condomino, nel qual caso si configura un illecito civile, fonte eventualmente di risarcimento dei danni, ma ex art. 8544 del Codice Civile. A far chiarezza in tema di inquinamento acustico “condominiale” la Cassazione, terza sezione Penale, con la sentenza n. 2071/24 depositata il 17 gennaio 2024.

Residenti di un appartamento condannati per disturbo della quiete

Con sentenza del 7 marzo 2023 il Tribunale di Taranto aveva condannato i residenti di un appartamento alla pena di duecento euro di ammenda ciascuno, ritenendoli responsabili del reato di cui all’art. 659 del codice penale, disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. Avevano infatti provocato all’interno del loro alloggio, dalla fine dell’ottobre 2017 fino al marzo del 2018 nelle prime ore del mattino, emissioni rumorose, eccedenti la normale tollerabilità.

Gli imputati ricorrono in Cassazione obiettando che si erano lamentati solo dall’alloggio di sotto

Gli imputati hanno congiuntamente proposto ricorso per Cassazione, censurando in primis il vizio di violazione di legge riferito all’art. 659 cod. pen., e Gli unici soggetti che avevano lamentato rumori molesti provenienti dalla loro abitazione, infatti, sarebbero stati le due residenti nell’appartamento al piano sottostante al loro. Ma nessun altro condomino aveva mai formulato proteste o denunce al riguardo né avesse reso testimonianza in tal senso nell’istruttoria dibattimentale.

I ricorrenti inoltre eccepivano sul fatto che non era mai stato effettuato alcun accertamento in ordine all’idoneità potenziale della fonte sonora a diffondersi all’interno dello stabile, né alle sue caratteristiche, né era stato verificato se si trattasse di un’emissione costante od occasionale o ricorrente nel tempo, ed in tal caso con quale cadenza, né era mai intervenuta la Polizia Giudiziaria ad effettuare ricognizioni o controlli in loco.

 

Mancava l’interessamento di un numero “indeterminato” di persone

Dunque, gli imputati sostenevano l’inidoneità del disturbo, quand’anche ritenuto tale, ad integrare la fattispecie penalmente rilevante prevista dall’art. 659 cod. pen., per il cui perfezionamento sarebbe stato necessario, trattandosi di un illecito ricompreso fra quelli di natura “vagante”, che venisse leso l’interesse al riposo o a svolgere le proprie occupazioni di una cerchia indeterminata di soggetti, così da arrecare turbamento alla pubblica quiete.

E contestavano pertanto l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui i rumori provenienti dall’appartamento degli imputati sarebbero stati “percepiti anche da altri condomini“, trattandosi di una risultanza mai emersa dall’espletata istruttoria, ribadendo che nessun altro soggetto residente nello stabile era mai stato sentito in dibattimento, né antecedentemente nel corso delle indagini, che nessuna lamentela proveniente da soggetti diversi dalle due denuncianti era stata acquisita agli atti e che neppure risultavano denunce o azioni civili proposte nei confronti degli imputati.

Doglianza ritenuta pienamente fondata dalla Suprema Corte, che con l’occasione fa chiarezza sul punto. “A dispetto della anodina enunciazione, posta a chiusura della pur diffusa motivazione spesa dal Tribunale tarantino, secondo cui i rumori provenienti dall’abitazione degli imputati erano stati percepiti anche da altri condomini – spiega la Cassazione -, tuttavia non emerge da alcun precedente passaggio della sentenza impugnata, contenente la disamina delle acquisite risultanze istruttorie, in qual modo fossero interessati dalla fonte sonora, costituita da rumori dei tacchi delle scarpe, così come da spostamenti di sedie o trascinamento di mobili sul pavimento che avvenivano pressoché quotidianamente, specie nelle primissime ore del mattino, soggetti diversi dalle due condomine residenti nell’appartamento posto al secondo piano, sottostante a quello dei coniugi (omissis)”.

 

Se manca un pregiudizio all’ordine pubblico il reato non è penalmente rilevante

Il bene giuridico tutelato dalla contravvenzione in questione, proseguono i giudici del Palazzaccio, “è costituito, come emerge dallo stesso “nomen” della rubrica, dallo svolgimento delle attività e del riposo delle persone che il legislatore intende presidiare da indiscriminate attività di disturbo, le quali, tuttavia, non possono essere identificate, proprio in ragione del plurale figurante nella norma, in un singolo soggetto, pur infastidito in ragione della prossimità della fonte sonora a quella del suo luogo di lavoro o della sua abitazione, bensì da un numero indeterminato di persone le quali soltanto consentono di individuare, al di là della vastità dell’area interessata dalle emissioni o dall’entità del numero dei soggetti lesi, un pregiudizio inferto all’ordine pubblico nella specifica accezione della pubblica quiete”.

Può trattarsi anche di un “ambito ristretto” un condominio, ma non di un singolo appartamento

Ciò non toglie, puntualizzano gli Ermellini, che possa trattarsi di “soggetti annoverabili in un ambito ristretto, come avviene in un condominio costituito da più palazzine o da più appartamenti ubicati in uno stesso stabile”, ma in tal caso è sempre e comunque necessaria “la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio, configurandosi, altrimenti, soltanto un illecito civile foriero di un eventuale risarcimento del danno e non certamente una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 659 cod. pen.

E va accertata l’idoneità delle emissioni a recare disturbo a un gruppo più vasto di condomini

E se è vero, precisa ulteriormente la Cassazione, che non vale ad escludere la configurabilità del reato la circostanza che solo alcuni dei soggetti potenzialmente lesi dalle emissioni sonore se ne siano lamentati, “occorre ciò nondimeno in tal caso l’accertamento sia dell’idoneità delle stesse ad arrecare disturbo non solamente a un singolo ma a un gruppo più vasto di condomini residenti in appartamenti diversamente ubicati nell’edificio, sia della loro diffusività in concreto, tale da superare i limiti della normale tollerabilità di emissioni provenienti da immobili contigui”.

 

I rumori dei tacchi di scarpe e spostamento di mobili non potevano integrare rilevanza penale

Scendendo ancora più nel dettaglio nel caso in questione, la Suprema Corte evidenzia come il ragionamento probatorio svolto dal giudice di merito si sia sviluppato intorno alle dichiarazioni rese dalla sola condomina abitante nell’appartamento sottostante a quello degli imputati, la quale aveva riferito di rumori provenienti al mattino preso dal piano di sopra che, avuto riguardo alle loro stesse caratteristiche, “erano privi della potenzialità diffusiva idonea ad integrare la rilevanza penale del fatto”.

E’ evidente infatti che il ticchettio dei tacchi delle scarpe, così come lo strusciamento dei mobili sul pavimento, “per quanto foriero di disturbo per gli abitanti al piano inferiore in ragione del piano di calpestio dell’uno coincidente con il soffitto dell’altro, non possano propagarsi oltre l’unità immobiliare del piano inferiore, risultando pertanto insuscettibili di concreta percezione da parte degli altri soggetti residenti nella zona o comunque anche solo di altri condomini abitanti in appartamenti ubicati nel medesimo edificio condominiale”.

La Cassazione conviene inoltre con i ricorrenti sul fatto che le dichiarazioni delle vicine che li accusavano non risultavano accompagnate a quelle di nessun altro condomino dello stabile, “né corroborate da eventuali denunce o lagnanze di altri soggetti ivi residenti, neppure risultando essere stato effettuato alcun accertamento concreto vuoi con l’acquisizione di deposizioni di altri testi aliunde residenti, vuoi tramite perizia, vuoi per effetto di altri elementi di fatto globalmente valutati in ordine al superamento dei limiti della normale tollerabilità”.

 

Le lamentele del singolo possono al più configurare un illecito civile

Perciò, in difetto del necessario nesso di consequenzialità logica tra il disturbo (arrecato alle condomine del piano sottostante e il disturbo alla pubblica quiete), “mancano gli elementi fondanti l’affermazione di responsabilità dei prevenuti, tenuto conto che le lamentele del singolo possono al più configurare un illecito civile ai sensi dell’art. 844 cod. civ., ma non valgono ad integrare la materialità della contravvenzione de qua che si perfeziona quando le emissioni abbiano l’effetto di arrecare disturbo a una cerchia più ampia di persone, anche a prescindere da quelle che se ne siano in concreto lamentate”.

E qui, infine, gli Ermellini rammentano che, come già stabilito in passato dalla giurisprudenza di legittimità, “in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 2, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; il reato di cui al comma 1 dell’art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o la attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; il reato di cui al comma 2 dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995”.

Uscendo nel caso di specie dalla dalle ipotesi “sub A e sub C”, “neppure menzionate nell’editto accusatorio, difetta quanto all’ipotesi di cui all’art. 659 primo comma cod. pen. il disturbo alla pubblica quiete, ricorrente solo allorquando il rumore molesto è percepito o comunque è percepibile da un numero indistinto di persone e non già, come accertato nel presente processo, dai componenti di un solo nucleo familiare residente nella medesima unità abitativa” ribadisce e conclude la Suprema Corte che, “non potendo pertanto ritenersi il fatto criminoso sussistente ai sensi dell’art.129 cod. proc. pen.”, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata mandando assolti i due imputati.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Danni Ambientali

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