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Il fatto che manchino testimoni che abbiano “materialmente” visto accadere un determinato evento, nella fattispecie dannoso, non significa che questo non possa essere ugualmente ed efficacemente provato attraverso altri riscontri e testimonianze stesse, sia pur non oculari. A confermarlo la Cassazione, con l’ordinanza 2595/23 depositata il 27 gennaio 2023.

Passante colpita da un distacco di calcinacci da un balcone cita la proprietaria della casa

Una donna aveva citato in giudizio, dinanzi al tribunale di Genova, la proprietaria di un immobile chiedendo il risarcimento dei danni fisici patiti dopo essere stata colpita da alcuni calcinacci distaccatisi e caduti sul suo capo dal balcone dell’abitazione “incriminata”. Il giudice, tuttavia, aveva rigettato la domanda sul presupposto che il fatto non fosse provato, mancando testimoni oculari che l’avessero visto accadere.

Domanda accolta in appello, fatto ritenuto provato anche se mancano i testimoni oculari

Ma la Corte d’appello di Genova, presso la quale la danneggiata aveva appellato la decisione sfavorevole, con sentenza del 2021, avere totalmente riformato il verdetto di prime cure accertando invece la responsabilità ex art.2051 c.c. della proprietaria della casa, sulla base della convinzione che la prova dei fatti potesse essere comunque desunta dalle dichiarazioni dei due testi escussi in giudizio, per quanto nessuno dei due avesse direttamente assistito alla caduta dei calcinacci.

Il primo, infatti, aveva riferito di aver personalmente accompagnato la malcapitata in ospedale dopo averla veduta sanguinante con del ghiaccio in testa, e con accanto diversi calcinacci a terra, staccatisi evidentemente dal balcone dell’immobile in questione, in quanto la cosa era “ben visibile”; il secondo, un agente della polizia locale intervenuto sul posto, giunto poco dopo l’incidente, aveva a sua volta dichiarato di aver notato i calcinacci a terra e di avere incontrato il soccorritore della signora, che gli aveva confermato come il materiale fosse piovuto dall’alto ed avesse colpito la danneggiata.

Sulla scorta di tali testimonianze istruttorie, la Corte territoriale aveva ritenuto che il fatto illecito ascritto alla proprietaria della casa quale custode delle cose che avevano cagionato il danno alla passante potesse ritenersi sufficientemente provato, pur in assenza di testimoni oculari dello stesso, anche in ragione dell’inverosimiglianza della diversa ipotesi sostenuta dalla controparte, secondo la quale i calcinacci sarebbero stati fatti cadere dal compagno della danneggiata dopo che l’incidente si era già verificato.

 

La proprietaria dell’abitazione ricorre per cassazione sostenendo un’altra versione dei fatti

A questo punto è stata dunque la proprietaria dell’immobile a proporre ricorso per Cassazione, deducendo che nell’ambito del ragionamento inferenziale di carattere presuntivo sul quale aveva fondato la prova del fatto ignoto, la Corte di appello avrebbe attribuito il carattere di fatti “noti” a circostanze mai esistite o comunque smentite dalle risultanze testimoniali e documentali in atti, quali, a suo dire, la circostanza che la danneggiata fosse stata vista “sanguinante” da uno dei due testimoni, mentre aveva ritenuto inverosimile una circostanza che invece sarebbe risultata chiaramente dal verbale stilato dalla pattuglia di polizia municipale intervenuta sul posto, ossia che i calcinacci sarebbero stati fatti cadere, successivamente al sinistro, dal compagno della passante, che li aveva giudicati pericolanti.

Inoltre, secondo la ricorrente non era stato attribuito rilievo neppure alla circostanza, risultante dal referto del Pronto Soccorso, che la stessa ferita avrebbe in un primo momento riferito che i calcinacci da cui era stata colpita si erano staccati da un cornicione, salvo poi affermare in altra parte del referto stesso che erano caduti da un balcone.

Ma per la Suprema Corte i motivi di doglianza sono sono inammissibili. La Cassazione spiega che  le circostanze – a cominciare da quella che i calcinacci pericolanti sarebbero stati fatti cadere dal balcone dal compagno della danneggiata – di cui sarebbe stato omesso l’esame da parte della Corte territoriale, in realtà erano state espressamente considerate dai giudici i quali tuttavia, “nell’esercizio dell’insindacabile potere di valutazione delle risultanze istruttorie”, le avevano  peraltro ritenute non provate, in quanto inverosimili. Inoltre, fanno notare gli Ermellini, l’ulteriore circostanza secondo la quale la passante non sarebbe stata vista “sanguinante” non assume “il necessario carattere della decisività”.

La Corte di merito – prosegue la Cassazione – ha, infatti, ritenuto provato il fatto dannoso dedotto dall’attrice – e la conseguente ascrivibilità del danno da essa lamentato alle cose sottoposte alla custodia della convenuta – sulla base di un ragionamento inferenziale fondato sulle dichiarazioni rese dai testimoni escussi in giudizio, ed in particolare su quelle de teste che, veduta la signora (omissis) dopo l’incidente con il ghiaccio in testa, si era reso conto che era stata colpita dai calcinacci verosimilmente staccatisi dal balcone della signor (omissis) e l’aveva personalmente accompagnata all’ospedale”.

 

Decisive e credibili le testimonianze di quanti erano presenti nell’immediatezza

Nell’ambito di questa ricostruzione, sottolineano i giudici del Palazzaccio, assume rilievo decisivo la circostanza che la danneggiata “fosse stata vista nell’immediatezza del trauma subìto, ricollegabile con verosimiglianza al distacco dal balcone del materiale che l’aveva colpita, mentre resta irrilevante se questo trauma avesse provocato, o no, la specifica conseguenza del sanguinamento”.

Senza poi contare le solite, erronee pretese dei ricorsi per Cassazione che puntano a ottenere un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte d’Appello, omettendo di considerare che “tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie – ricordano gli Ermellini – è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi”.

E in ogni caso, anche entrando nel merito, secondo i giudici del Palazzaccio, la Corte territoriale ha “motivatamente” ritenuto che il fatto dannoso dedotto dalla danneggiata dovesse reputarsi provato e la responsabilità della proprietaria dell’abitazione, quale custode delle cose che avevano provocato il danno, dovesse ritenersi accertata, sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali, sia pur non dirette del crollo, in base alle quali era tuttavia stato sufficientemente accertato “che sul luogo dell’incidente vi erano calcinacci; che essi erano verosimilmente riconducibili al balcone annesso all’appartamento in questione da cui appariva visibile il loro distacco; che la malcapitata era stata accompagnata all’ospedale lamentando un trauma ascrivibile alla caduta di quel materiale”. Dunque, ricorso rigettato e condanna al risarcimento del danno confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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