Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

 In caso di aggressione da parte di un cane di grossa taglia, con pesanti conseguenze (ma il ragionamento si può estendere anche ad altre tipologie di “sinistri”), è sempre indispensabile addurre testimoni diretti dal fatto?

Se nessuno ha visto e può confermare la propria versione dei fatti, vi sono comunque possibilità di far valere le proprie ragioni? Preziosa in tal senso l’ordinanza n. 5661/23 depositata il 23 febbraio 2023 con cui la Cassazione, giudicando su un caso sul genere, ha chiarito e ribadito che, anche in assenza di testi, il giudice può comunque dare per provato il fatto sulla base di presunzioni purché queste siano “solide”.

 

Una causa per l’aggressione di un molosso, il primo giudice rigetta per mancanza di testimoni

Una donna e il suo cane di piccola taglia erano stati aggrediti da un molosso: il povero cagnolino aveva avuto la peggio ed era morto mentre la padrona aveva riporta delle ferite ad una mano. La danneggiata aveva quindi citato in causa la proprietaria del cane che aveva aggredito il suo e che l’aveva ferita, ma il giudice aveva rigettato la domanda risarcitoria perché nessuno aveva assistito al fatto, di cui dunque non vi erano testimoni, e la polizia locale era intervenuta solo in un secondo tempo.

In secondo grado invece domanda accolta, decisivo il controllo obbligatorio imposto all’animale

La malcapitata tuttavia ha appellato la sentenza e in secondo grado il gravame è stato accolto, con totale riforma della decisione di prime cure e condanna della controparte al pagamento di circa settemila euro a titolo di risarcimento del danno.

Il giudice aveva ricostruito l’accaduto sulla base di una testimonianza de relato (ossia non una testimonianza diretta del fatto) e su un provvedimento amministrativo emesso successivamente all’aggressione operata dal molosso verso il cagnolino, con cui veniva ordinato alla proprietaria del primo di portare il cane ad un controllo obbligatorio. Infatti, il Regolamento di polizia veterinaria (art. 86 D.P.R. 320/1954) dispone che i cani e i gatti che abbiano morso persone siano sottoposti ad osservazione, anche domiciliare, qualora non presentino sintomi di rabbia. Un provvedimento che la proprietaria non aveva impugnato e in base al suo contenuto il giudice di secondo grado aveva ritenuto presuntivamente che la denunciata aggressione fosse effettivamente avvenuta.

A questo punto è stata la proprietaria del cane aggressore, che negava il fatto, a ricorrere per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729  (in materia di presunzioni), ma la Suprema Corte le ha dato torto confermando la sentenza impugnata, chiarendo che la decisione del giudice può essere fondata anche su un ragionamento presuntivo, purché adeguatamente motivato.

 

Le presunzioni

Le presunzioni, spiegano gli Ermellini, sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c). Le presunzioni non stabilite dalla legge, ossia le presunzioni semplici, sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale deve ammettere solo quelle gravi, precise e concordanti (art. 2729 c. 1 c.c.).

La giurisprudenza, proseguono i giudici del Palazzaccio, ha così circoscritto questi tre requisiti: la precisione è riferita al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica; la gravità riguarda il grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, la concordanza – rilevante solo in caso di pluralità di elementi presuntivi – richiede che il fatto ignoto sia desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza.

Il giudice deve, in prima battuta, analizzare tutti gli elementi indiziari e scartare quelli irrilevanti e, successivamente, valutarli per verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva. A tal proposito, si parla di “convergenza del molteplice”, che non è raggiungibile nel caso di un’analisi dei singoli elementi considerati separatamente (analisi atomistica).

Pertanto, il soggetto che ricorra in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., deve allegare che il giudice di merito abbia fondato il proprio ragionamento presuntivo su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza o abbia fondato la presunzione su un fatto storico non grave, preciso e concordante. La censura non può limitarsi alla diversa ricostruzione delle circostanze fattuali, senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.

Nello specifico, la ricorrente non ha contestato adeguatamente il ragionamento presuntivo posto alla base della sentenza gravata e non ha spiegato i motivi della violazione della disposizione in materia di presunzioni. Pertanto, il ricorso è stato rigettato e la padrona del molosso è stata condannata, oltre al già stabilito risarcimento del danno, al pagamento anche delle spese di lite.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Responsabilità Civile

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content