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A caval donato non si guarda in bocca” recita il vecchio adagio, che però non sempre vale, soprattutto quando in ballo ci sono parecchi soldi e si è dinanzi a un’aula di tribunale. Se un professionista commette un errore che determina un danno per il cliente deve comunque risponderne, anche se ha effettuato la prestazione a puro titolo di amicizia senza richiedere alcun compenso.

E dunque bene riflettere bene prima di apporre la propria firma, nello specifico su una pratica edilizia,  anche se l’atto è stato eseguito per conto di un amico a cui non si è richiesto nulla. Con l’ordinanza n. 38592/21 depositata il 6 dicembre 2021, la Corte di Cassazione ha definitivamente giudicato, ribaltando peraltro le decisioni di merito, su un singolare caso.

Una donna cita per danni un ingegnere per una pratica edilizia sbagliata

Una donna aveva citato in causa un ingegnere avanti il Tribunale di Larino chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori che questi aveva fatto eseguire e che erano risultati non conformi alle regole dell’arte. La signora aveva lamentato il fatto di essere stata a sua volta costretta a pagare a un proprio vicino la somma di 14mila a titolo di danni che quest’ultimo aveva subito durante l’esecuzione di lavori di risanamento nel suo appartamento, a causa di infiltrazioni provenienti dal suo terrazzo: lavori dei quali l’ingegnere in questione si era assunto la responsabilità.

Domanda respinta, il professionista aveva fatto un favore e non aveva chiesto compenso

Questi si era quindi costituito in giudizio chiedendo il rigetto della domanda e il tribunale gli aveva dato ragione, condannando anche la cliente al pagamento delle spese di giudizio, e questo sull’assunto che l’impegno preso dal professionista era da ricondurre a un mero rapporto di cortesia che non prevedeva alcun compenso.

La danneggiata aveva quindi appellato la sentenza, ma la Corte d’appello di Campobasso nel 2019 aveva confermato le argomentazioni dei giudici di prime cure rigettando il gravame. La Corte territoriale aveva rilevato come la domanda dell’appellante si fondasse “sull’assunto dell’insorgenza in capo al convenuto di un’obbligazione contrattuale ex art. 2222 cod. civ.“, obbligazione che sarebbe risultata dall’autorizzazione data dalla donna all’ingegnere di eseguire alcuni lavori e dalla successiva dichiarazione di inizio lavori sotto la responsabilità del professionista. A fronte di tale ricostruzione, la Corte molisana aveva però osservato che, in base ai due documenti a disposizione, mancava “qualsiasi previsione sia in ordine ad un corrispettivo eventualmente spettante all’ingegnere (…) sia in ordine ad una penale in caso di suo inadempimento”: una situazione che portava a dubitare che si trattasse di una vera e propria obbligazione.

I giudici di seconde cure avevano aggiunto che “l’elemento discriminante, ai fini della individuazione della giuridicità o meno del vincolo, non può che consistere nella presenza di un interesse ulteriore, rispetto alla mera cortesia, da parte del soggetto che offre la prestazione a titolo gratuito”. In definitiva, l’assenza del compenso era stata ritenuta sintomo decisivo dell’assenza di un’obbligazione, con conseguente rigetto della domanda.

 

La danneggiata ricorre per Cassazione, il mancato corrispettivo non esclude la responsabilità

La donna tuttavia non si è data per vinta e ha proposto ricorso anche per Cassazione lamentando, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e contestando la ricostruzione operata dai giudici di merito. La ricorrente sosteneva che la mancata previsione di un corrispettivo non sarebbe stata ragione sufficiente ad escludere la responsabilità del professionista e tornava a battere sui due documenti che pure erano stati esaminati anche dalla Corte d’appello, cioè l‘autorizzazione allo svolgimento dei lavori da lei firmata e la successiva dichiarazione di inizio lavori firmata dall’ingegnere, asserendo che questi avrebbe dovuto comunque essere ritenuto responsabile dei danni che era stata costretta a rimborsare al vicino.

La Suprema Corte le dà ragione, l’obbligo contrattuale resta anche per la prestazione gratuita

La Cassazione le ha dato ragione, ritenendo fondato l’unico motivo di doglianza e non condividendo la conclusione a cui erano giunti i giudici di appello nel ritenere l’assenza di compenso come prova della mancanza di una obbligazione tra le parti. “L’assenza di pattuizione di un corrispettivo – spiegano gli Ermellini – non consente di escludere l’esistenza di un obbligo giuridico, inquadrabile in un contratto d’opera professionale. Se è esatto che tale fattispecie prevede, normalmente, la presenza di un corrispettivo (art. 2225 cod. civ.), si deve però osservare che questa Corte ha in più occasioni affermato che in tema di locatio operis è possibile che le parti stabiliscano il patto di gratuità della prestazione: il che vuol dire che il professionista può anche liberamente decidere di rinunciare al compenso senza che ciò faccia venire meno l’obbligo contrattuale”. Una giurisprudenza a cui la Suprema Corte ha inteso dare continuità anche nella circostanza specifica.

D’altra parte – concludono i giudici del Palazzaccio -, se si volesse escludere, nella specie, l’esistenza di un rapporto contrattuale, ciò imporrebbe di ritenere responsabile il professionista ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., dal momento che un professionista che commetta errori tali da generare danni a carico di altri non può sottrarsi alla sua responsabilità per il fatto puro e semplice che un compenso non sia stato pattuito o che non vi sia un rapporto contrattuale”. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, che dovrà riesaminare il caso alla luce dei principi enunciati nell’ordinanza.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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