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E’ nulla la clausola della polizza che subordina la refusione delle spese di resistenza sostenute dall’assicurato al placet dell’assicurazione.

E’ passata forse inosservata ma è di assoluta rilevanza la sentenza, la n. 12220/22 depositata il 5 luglio 2022, con cui la Corte di Cassazione ha dato un duro colpo alla prassi delle compagnie assicurative di negare ai propri assicurati la liquidazione delle spese di giudizio di una causa se non si sono avvalsi di tecnici e legali da essa indicati.

Una causa per una parcella professionale non pagata

La vicenda. Nel 2012 il Comune di Milano aveva appaltato alla società Solcasa s.r.l. i lavori di manutenzione straordinaria di vari edifici scolastici. La società aveva quindi affidato il compito di redigere il progetto esecutivo delle opere appaltate a un ingegnere. Il quale, nel 2014, lamentando di non aver ricevuto il corrispettivo dovutogli per l’opera professionale prestata, aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale di Busto Arsizio un decreto ingiuntivo nei confronti della società per l’importo di 87.937,64 euro.

Solcasa aveva proposto opposizione, obiettando che il progetto esecutivo redatto dall’ingegnere sarebbe stato affetto da molteplici vizi e carenze, che l’avevano costretta a sostenere ulteriori spese per correggere questi errori progettuali, e chiedendo pertanto che il corrispettivo dovuto al professionista fosse ridotto di conseguenza, e comunque la condanna del tecnico alla rifusione delle spese sostenute per sanarli.

 

L’ingegnere chiama in manleva la propria assicurazione

L’ingegnere, dinanzi alla domanda riconvenzionale formulata dalla società, aveva allora chiesto e ottenuto l’autorizzazione a chiamare in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, Reale Mutua di Assicurazioni, la quale si era a sua volta costituta negando la responsabilità del proprio assicurato e comunque eccependo l’inefficacia del contratto di assicurazione.

Con sentenza del 2017, il Tribunale di Busto aveva accolto l’opposizione condannando di conseguenza l’ingegnere sia a restituire alla Solcasa parte del compenso già ricevuto, sia a risarcirle il danno da inadempimento, quantificato in 39.458 euro, e aveva condannato Reale Mutua a tenerlo indenne dalle pretese della società, limitatamente alla condanna al risarcimento del danno e al netto della franchigia contrattualmente prevista. Infine, i giudici avevano compensato integralmente le spese tra tutte le parti.

 

Il professionista chiede all’assicuratore le spese di resistenza

Il professionista aveva a quel punto appellato la sentenza e tra i vari motivi di gravame, aveva lamentato il fatto che il Tribunale non si fosse pronunciato sulla sua domanda di condanna dell’assicuratore a rifondergli le spese di resistenza (quelle, cioè, sostenute per contrastare la pretesa risarcitoria di Solcasa s.r.I.), ai sensi dell’art. 1917, terzo comma, c.c.

Con sentenza del 2019 la Corte d’appello di Milano aveva però rigettato il gravame e, per quanto concerne l’ultima richiesta, aveva ritenuto che l’assicurato non potesse pretendere dall’assicuratore la rifusione delle spese di resistenza, in virtù della clausola contrattuale che la escludeva laddove l’assicurato si fosse avvalso di avvocati o periti non designati dall’assicuratore. Aggiungendo anche che tale patto non poteva dirsi invalido alla luce delle previsioni di cui all’art. 1917, terzo comma, c.c., essendo tale norma derogabile per volontà delle parti.

Il professionista allora ha proposto ricorso anche per Cassazione su quest’ultima questione, lamentando, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1917 c. c. Secondo il ricorrente la clausola contrattuale, secondo cui “la società assicuratrice non riconosce spese sostenute dall’assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati” doveva ritenersi nulla per contrarietà all’art. 1917, terzo comma, c.c., e quindi erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto quest’ultima norma derogabile per volontà delle parti.

La Suprema Corte gli ha dato ragione giudicando fondato il motivo. L’art. 1917, terzo comma, c.c., stabilisce, testualmente, che “le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata”. Il successivo art. 1932, primo comma, c.c., stabilisce poi che “le disposizioni degli artt. (…) 1917 terzo e quarto comma (…) non possono essere derogate se non in senso più favorevole all’assicurato“.

 

Nulla la clausola che subordina la rifusione delle spese di resistenza al placet dell’assicuratore

“Pertanto – asserisce la Suprema Corte – una clausola contrattuale la quale subordini la rifusione delle spese di resistenza sostenute dall’assicurato al placet dell’assicuratore è una deroga in pejus all’art. 1917, terzo comma, c.c., ed è affetta da nullità. La legge infatti non pone condizioni al diritto dell’assicurato di ottenere il rimborso delle suddette spese”.

Le spese di resistenza sostenute dall’assicurato, aggiungono gli Ermellini, “sono affrontate nell’interesse comune di questi e dell’assicuratore. Esse costituiscono perciò spese di salvataggio ai sensi dell’art. 1914 c.c., e sono soggette alla regola che ne subordina la rimborsabilità al fatto che non siano state sostenute avventatamente (art. 1914, secondo comma, c.c.).

Il ricorso è stato pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione,  la quale nel rivedere la causa dovrà applicare questo principio di diritto: “la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che l’assicurato, se convenuto dal terzo danneggiato, non ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per legali o tecnici non designati dall’assicuratore, è una clausola che deroga in pejus all’articolo 1917, terzo comma, c.c., e di conseguenza è nulla ai sensi dell’articolo 1932 c.c.“.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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