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Chi rimane vittima di un’intossicazione alimentare ha diritto di essere risarcito dal responsabile, ma se le conseguenze non sono particolarmente serie e se manca la prova di postumi più gravi e permanenti, il danneggiato non può pretendere di più della liquidazione del danno biologico temporaneo.

Lo ha chiarito la Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 13602/23 depositata il 17 maggio 2023, con cui ha definitivamente giudicato su un contenzioso in materia.

 

La vittima di un’intossicazione alimentare cita una Pro Loco per aver servito carne avariata

Un uomo aveva citato in causa l’ente organizzatore di una manifestazione per aver somministrato durante l’evento, a lui come ad altri partecipanti, della carne di bue avariata, che gli aveva causato una – a suo dire – grave intossicazione: era stato costretto a ricorrere alle cure mediche al pronto soccorso e ad osservare per un certo periodo una dieta e una terapia ad hoc, in conseguenza delle quali aveva richiesto un risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali di almeno 2.856 euro.

La Pro Loco promotrice della manifestazione si era costituita obiettando di aver già integralmente risarcito il malcapitato, attraverso la propria assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, con il pagamento di 250 euro, e chiedendo quindi il rigetto dell’ulteriore domanda. Il giudice di Pace aveva dato ragione a quest’ultima: dopo aver conteggiato i giorni di invalidità temporanea totale e parziale, come desumibile dalla documentazione medica prodotta, il giudice aveva concluso che quanto già versato prima della causa al danneggiato fosse satisfattivo del pregiudizio patito, in mancanza di ulteriori prove da parte della vittima di danni da invalidità permanente.

Decisione confermata anche in appello, con sentenza del 2020, dal Tribunale di Rovereto. Il quale aveva reputato incontestato il nesso causale tra la somministrazione della carne adulterata e la patologia lamentata dall’appellante, confermato peraltro dal decreto di condanna penale conseguente ai fatti di causa, e tuttavia i giudici, pur ritenendo sussistente un danno biologico risarcibile quale diritto fondamentale dell’individuo, avevano ritenuto che il danneggiato non avesse assolto all’onere di allegare e provare le conseguenze anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza soggettiva normalmente conseguenti alla lesione dell’integrità psico-fisica e la loro idoneità a determinare in concreto una lesione permanente alla salute, confermando pertanto la liquidazione del solo danno biologico temporaneo.

La vittima dell’intossicazione tuttavia non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione lamentando il fatto che i giudici di merito, pur in presenza di altri precedenti derivati dagli stessi eventi, per i quali il giudice di pace aveva riconosciuto la responsabilità della compagnia assicuratrice dell’organizzazione condannandola al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di giudizio, nel suo caso avrebbero invece, inspiegabilmente, giudicato in senso a lui sfavorevole, liquidandogli una somma irrisoria a titolo risarcitorio e ponendogli anche in capo una cifra esorbitante a titolo di spese di lite.

Quanto alla liquidazione del danno, il ricorrente si doleva del fatto che il giudice non avrebbe considerato che i criteri per la liquidazione dovevano essere desunti dall’art. 2059 c.c. e dall’art. 185 c.p., indipendentemente dall’accertamento penalistico del “fatto criminoso”, in quanto il giudice avrebbe dovuto valutare in astratto l’esistenza di un fatto-reato. Infine, si lamentava anche la circostanza che il Tribunale non aveva ammesso una consulenza tecnica d’ufficio per determinare – già assodati la prova dell’evento, del danno e del nesso causale – l’esatta quantificazione del pregiudizio patito.

 

Per il carattere transitorio della patologia, la prova di danni permanenti dev’essere rigorosa

Ma per la Cassazione in motivi d doglianza sono infondati, in primis perché, spiegano gli Ermellini, “non attinenti alla ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui non era stato allegato e provato il danno da lesione permanente”: secondo i giudici territoriali, come già detto, il danneggiato non aveva assolto a tele onere “che nella specie è di più significativa latitudine atteso che, essendo stata accertata una patologia di regola transitoria (una intossicazione alimentare da batterio), e priva di postumi permanenti, egli non può approfittare di alcuna presunzione circa l’identità della patologia medesima a determinare effetti permanenti, come avviene, ad esempio, per patologie derivanti da eventi traumatici e similari”. Per il carattere “temporaneo” dell’intossicazione alimentare, cioè, per provare pregiudizi di carattere permanente sono a maggior ragione necessari solidi elementi probatori, e pertanto, secondo il Tribunale, “il giudice di pace aveva correttamente liquidato il solo danno temporaneo che peraltro di regola consegue in via esclusiva all’intossicazione alimentare”.

Il ricorrente, osserva ancora la Suprema Corte, “non prendendo alcuna posizione sulla questione della mancata allegazione e prova del danno da invalidità permanente affronta questioni prive di decisività quale la risarcibilità del danno alla persona derivante da fatto-reato pur in assenza di un giudizio penale, che inverto vi era stato, e la stretta inerenza del danno alla persona al fatto di reato, in contrasto con l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale che configura il danno risarcibile in tutti i casi di violazione di diritti costituzionalmente tutelati. Peraltro, il ricorrente neppure rappresenta di aver ritualmente dedotto e dimostrato la sussistenza, nella specie, del danno morale, e di aver proposto, in relazione al suo mancato riconoscimento, specifico motivo di appello”.

Rigettate anche le doglianze relative alla mancata disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio, “rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione di disporre la nomina di un ausiliario giudiziario”, e ai diversi giudizi su casi analoghi pronunciati dal giudice di pace, “un non motivo, ossia un argomento privo delle caratteristiche proprie di un mezzo d’impugnazione”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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