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Il diritto all’oblio non è un concetto nuovo ma si è chiaramente affermato di fronte al recente, massiccio sviluppo tecnologico-informatico che ha dato vita alla “società dell’informazione”, caratterizzata dalla sterminata mole di informazioni che riesce a memorizzare grazie agli strumenti telematici.

In questo contesto, diventa sempre più difficile perdere, dimenticare o far dimenticare notizie e dati: vale a dire che è quasi impossibile eliminare un’informazione che sia finita nel web.

Il diritto all’oblio

In seguito a questo fenomeno, la giurisprudenza ha “creato” un nuovo tipo di diritto, il diritto all’oblio appunto, che fa parte della più ampia categoria del diritto alla privacy. Nell’era pre-internet, esso prevedeva che, trascorsi alcuni anni, il protagonista di una notizia di cronaca avesse il diritto a che il suo nome non fosse immediatamente riconducibile a quell’accadimento; nell’era digitale, esso fa riferimento alla rimozione di tutti quei link e riferimenti che rimandano ad un contenuto online ritenuto dannoso nei confronti dell’interessato.

La Corte di Cassazione lo ha definito come “il giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”. On-line, infatti, ciascun utente della rete può facilmente pubblicare notizie, foto, video, audio e, in generale, contenuti digitali e può capitare che tali contenuti rechino successivamente danno alla reputazione del diretto interessato, e della sua privacy.

Le sentenze in merito

Nelle non poche questioni che hanno visto impegnate le corti italiane, il diritto all’oblio si è spesso ovviamente scontrato con un altro fondamentale diritto, quello di cronaca. Al riguardo, ad esempio, la sentenza 23711/2015 del Tribunale di Roma ha precisato che il diritto all’oblio è una particolare espressione del diritto alla riservatezza (in senso lato, la privacy) e ne ha chiarito i presupposti: l’avvenimento del quale si chiede l’oblio deve essere lontano nel tempo; il fatto deve avere uno scarso interesse pubblico. L’obiettivo è dunque quello di bilanciare sia il diritto di ciascun cittadino di reperire informazioni su fatti particolarmente significativi tali da essere di interesse pubblico, sia il diritto dei protagonisti della vicenda, vittime e colpevoli, di essere dimenticati dall’opinione pubblica.

Il garante per la privacy

In Italia il diritto all’oblio è garantito dal Garante per la protezione dei dati personali, che assicura la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, e il rispetto della dignità nel trattamento dei dati personali. Il Garante può intervenire anche per applicare il principio della pertinenza, secondo il quale i fatti possono essere riproposti al pubblico, anche a distanza di tempo, ma solo se hanno una stretta relazione con nuovi fatti di cronaca e se vi è un interesse rilevante alla loro diffusione, e per il diritto all’oblio anche senza nome, quando cioè esso viene invocato partendo da dati presenti sul web che non siano il nome e cognome dell’interessato, ma che lo rendono identificabile.

 

Le infondate pretese di Susanna Gemmo e della sua azienda

Da questa rapida e molto sintetica carrellata si può comprendere l’estrema delicatezza, complessità e rilevanza di questo tema, ed è anche per tutelare chi ha effettivamente diritto all’oblio, oltre che per riaffermare il sacrosanto diritto di cronaca e anche il diritto “alla memoria” delle vittime di fatti criminosi e dei loro familiari, che il 24 agosto 2022 Studio3A-Valore S.p.A. ha pubblicamente denunciato le indebite e quasi offensive pretese di un’imprenditrice vicentina, Susanna Gemmo, legale rappresentante di una grossa realtà industriale italiana qual è la Gemmo Spa, la quale. attraverso i propri legali ha chiesto, per sé e per la sua azienda, “l’oblio” su un procedimento penale a loro carico per omicidio colposo per la morte di un ragazzino: peccato però che il processo sia ancora in corso e che i genitori del giovanissimo non abbiano affatto gradito che si voglia “dimenticare” tutto prima ancora che sia emessa la sentenza.

La tragedia di Salvatore D’Agostino, fulminato a 15 anni a causa di un faretto non a norma

Il tragico caso è quello di Salvatore D’Agostino (nella foto), 15enne di Gaggi, nel Messinese, deceduto dopo essere rimasto folgorato: l’assurdo incidente è successo il 2 agosto 2016, nella piazza antistante la Chiesa Madre della frazione di Cavallaro, in un luogo pubblico accessibile a tutti. Il ragazzo, mentre giocava a calcio con gli amici, per recuperare un pallone ha toccato un faretto: non sarebbe dovuto succedere nulla se l’impianto fosse stato a norma, invece la tremenda scarica elettrica che l’ha investito non gli ha lasciato scampo fulminandolo. Dopo 18 giorni di coma, la sua luce si è spenta per sempre, gettando nella disperazione i suoi cari e tutto il paese.

I genitori, tramite l’Area Manager Sicilia Salvatore Agosta, per fare piena luce sui fatti e le responsabilità e ottenere giustizia si sono affidati a Studio 3A-Valore S.p.A., in collaborazione con l’avv. Filippo Pagano, Foro di Messina. E’ stato presentato un esposto alla Procura messinese, che aveva aperto un fascicolo contro ignoti, chiedendo di individuare il proprietario dell’area, il titolare dell’utenza che alimentava il faretto e il fornitore dell’energia, chi l’avesse collocato collegando i cavi e mettendolo in esercizio, a chi competesse la manutenzione; che si accertasse se l’installazione fosse a norma viste la mancanza di griglie di protezione e cartelli di pericolo e la presenza di nastro adesivo ormai consunto che attestava un datato e maldestro intervento sui cavi; che si documentasse lo stato dei luoghi e l’accessibilità a tutti.

La Procura chiede il processo per Gemmo, la sua azienda gestiva l’illuminazione pubblica

Nell’estate 2017, la svolta: la Procura ha iscritto nel registro degli indagati la dott.ssa Susanna Gemmo, oggi 59 anni, e l’ing. Francesco Trimarchi, 41, rispettivamente presidente del Cda e responsabile dell’ufficio Tecnico e Gare d’Appalto (con particolare riferimento a quelle per la Sicilia) della Gemmo S.p.a., colosso del settore delle grandi infrastrutture, impianti tecnologici e servizi, con sede ad Arcugnano (Vicenza), 142 milioni di fatturato nel 2020 e tante grandi opere all’attivo in Italia e all’estero. E’ alla società berica che il Comune di Gaggi aveva affidato la gestione del suo impianto di pubblica illuminazione tramite l’adesione alla convenzione per il Servizio Luce e servizi connessi per le Pubbliche Amministrazioni con Consip, la centrale acquisti della PA. Gemmo si era aggiudicata il lotto 8 della procedura di gara bandita da Consip per il Ministero dell’Economia, quello per la Sicilia, che comprendeva la gestione dell’illuminazione di tante altre città dell’isola, vedi Catania.

E a conclusione delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero titolare del fascicolo, dott.ssa Antonella Fradà, con provvedimento del 9 maggio 2018, ha chiesto il rinvio a giudizio dei due imputati, cui ha contestato il reato “di cui agli articoli 113 e 589 del codice penale (omicidio colposo in concorso, ndr) perché – recita l’atto – in cooperazione tra loro, Gemmo Susanna in qualità di legale rappresentante della società Gemmo S.p.a., affidataria del “servizio luce e dei servizi connessi”, e segnatamente del servizio di gestione dell’impianto di pubblica illuminazione del Comune di Gaggi e del servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria dello stesso, e Trimarchi Francesco, in qualità di dipendente della società Gemmo Spa responsabile della gestione della suddetta commessa, cagionavano il decesso di D’Agostino Salvatore. Per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nel non aver rilevato che i fari installati presso la piazza della Chiesa Madre di Gaggi, ancorché in disuso da anni e privi di lampade, fossero alimentati dall’impianto di illuminazione pubblica attraverso l’aggancio al quadro Q001 collocato in via Tenente Turrisi di Gaggi”. Un decesso che, conclude il Pm, è avvenuto “per fibrillazione ventricolare con arresto cardiocircolatorio e respiratorio responsabile di una prolungata anossia cerebrale, cagionata a seguito di elettrocuzione di cui il ragazzo rimaneva vittima in conseguenza di una dispersione di energia elettrica promanante da uno dei faretti collocati presso la piazza”.

Il Giudice rinvia a giudizio e ordina la citazione di Gemmo Spa come responsabile civile

Richiesta ritenuta fondata dal Tribunale di Messina. Il 9 ottobre 2018 si è tenuta l’udienza preliminare in cui il Sostituto Procuratore e l’avv. Pagano hanno insistito per la richiesta di processo, mentre i difensori degli imputati hanno avanzato istanza di proscioglimento e/o di integrazione probatoria. Ma all’esito della camera di consiglio, il Gup, dott. Eugenio Fiorentino, ha disposto il rinvio a giudizio di entrambi gli imputati innanzi il Tribunale monocratico di Messina, seconda sezione penale, ammettendo anche la costituzione di parte civile dei genitori e della sorella di Salvatore: per inciso, l’azienda non ha mai riscontrato le richieste di risarcimento presentate da Studio3A per conto dei suoi assistiti. E nell’udienza del 24 maggio 2019 il giudice monocratico di Messina, dott.ssa Alessandra di Fresco, accogliendo l’istanza del legale delle parti civili, ha autorizzato e ordinato, per citare l’atto, “la citazione, in qualità di responsabile civile, della società Gemmo s.p.a., per rispondere, eventualmente in solido con gli imputati, del risarcimento dei danni patiti dalle parti civili”: quindi, anche l’azienda è pienamente parte in causa del processo. Il procedimento poi ha inevitabilmente scontato la pandemia, ha visto diversi rinvii, ma è tuttora pendente, si sono svolte già alcune udienze dedicate all’attività istruttoria e all’esame dei testi e la prossima è in programma il 23 novembre 2022 per sentire gli ultimi testimoni della parte civile.

Processo in corso, ma l’imputata pretende di cancellare tutto appellandosi al diritto all’oblio

Nonostante ciò, i legali di Susanna Gemmo e della società negli ultimi tempi hanno tempestato di richieste direttori e uffici legali delle testate giornalistiche, comprese le principali, pretendendo la rimozione dei link dei loro siti che rimandavano alle notizie sul processo, ritenute lesive dell’immagine e reputazione dei loro assistiti e ormai non più attuali e di interesse per i lettori. E si sono appellati al diritto all’oblio e alla gravità della sua violazione, ottenendo in diversi casi la cancellazione dei link “compromettenti” da parte di editori e giornalisti, evidentemente per evitare fastidi e problemi.

Istanza indebita, l’amarezza e l’appello dei genitori di Salvatore

Ma al di là della singolarità dell’istanza, trattandosi di un fatto risalente non a decenni fa ma al 2016, gli avvocati si sono ben guardati dallo specificare che il procedimento penale è ancora assolutamente in corso e che i loro assistiti sono tuttora sotto processo e su tali basi, ovviamente, non può sussistere alcun diritto all’oblio. Venuti a conoscenza di tali richieste, la mamma e il papà di Salvatore sono naturalmente rimasti profondamente amareggiati, cogliendole quasi come un insulto verso il figlio e la sua memoria, come la volontà di dare un colpo di spugna alla tragedia prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso e il giudice abbia pronunciato la sentenza. Di qui il loro, di appello, unitamente a quello di Studio3A, ai giornalisti di esercitare sul caso un altro diritto: quello di cronaca.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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