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Colpa dei genitori per non aver educato il figlio o della società sportiva per non aver vigilato? Della seconda per la Cassazione che, con l’ordinanza n. 27680/23 depositata il 29 settembre 2023 – una sentenza che farà discutere – ha condannato un club dilettantistico di calcio a risarcire un proprio piccolo tesserato di dieci anni, colpito e ferito durante un allenamento da un compagno di squadra che gli aveva scagliato contro un paletto di ferro. Per i giudici, non sarebbe stata sufficientemente provata la condotta illecita del minore.

 

La famiglia di un bambino colpito in allenamento da un compagno cita i suoi genitori e la società

I genitori di un ragazzino avevano citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia il presidente della società di calcio nelle cui fila era tesserato il figlio e i genitori di un suo coetaneo e compagno di squadra affinché, previo accertamento delle rispettive responsabilità, il primo per culpa in vigilando, i secondi per culpa in educando, fossero condannati a risarcire i danni subiti dal figlio a causa della condotta dell’altro minore.

Quest’ultimo, infatti, durante un allenamento, aveva afferrato e aveva scagliato contro l’altro bambino un paletto di ferro con una punta di 15 centimetri, di quelli usati per segnare il campo, colpendolo e ferendolo al volto.

In primo grado condannati a risarcire i familiari del ragazzo “feritore”, in appello il club

I giudici avevano ritenuto responsabile del grave e comprovato episodio unicamente i genitori del ragazzino che aveva lanciato il paletto, per culpa appunto in educando, condannandoli a risarcire il giovanissimo calciatore ferito con la somma di oltre ventimila euro, oltre alle spese di giudizio e della consulenza tecnica d’ufficio che era stata espletata.

I genitori del ragazzo, e anche quest’ultimo, divenuto nel frattempo maggiorenne, avevano quindi appellato la sentenza. E la Corte d’appello di Brescia, con decisione del 2019, ne aveva accolto il gravame, ritenendo invece unico responsabile, e condannandolo al risarcimento per la medesima somma già quantificata in primo grado, il legale rappresentante della società sportiva.

 

Il presidente del sodalizio ricorre per Cassazione

Il quale a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando il fatto che la Corte territoriale avesse escluso la responsabilità, ex art. 2048 del codice civile, dei genitori del ragazzo che aveva colpito il coetaneo, individuando nella presenza dei paletti incustoditi a bordo del campo da gioco la responsabilità della società organizzatrice dell’allenamento. E lo stesso peraltro hanno fatto anche i genitori del ragazzo danneggiato con ricorso incidentale.

Secondo la società l’unico responsabile era il ragazzino e quindi i genitori per non averlo educato

Il presidente del club sosteneva con forza il proprio difetto di legittimazione passiva e riteneva che il comportamento del minore rappresentasse una esimente assoluta per la responsabilità della società ex articolo 2048 e 2049 c.c., lamentando una carenza di prova in ordine all’inadeguatezza dell’educazione impartita dai genitori al ragazzo che aveva arrecato il danno e denunciando altresì un’insufficiente e contraddittoria motivazione nella sentenza impugnata.

Ancora, sosteneva anche la mancata prova dell’evento dannoso, non essendovi testimoni al momento del fatto stesso ed essendo risultato improvviso e imprevedibile il comportamento da parte del minore che all’epoca dei fatti aveva dieci anni, e quindi doveva essere in grado di comprendere la gravità e le conseguenze del suo gesto.

Peraltro, il legale rappresentante della società sottolineava anche che la stessa dinamica dell’atto compiuto dal ragazzino, che avrebbe espiantato all’improvviso il paletto dal terreno lanciandolo contro il compagno, avrebbe costituito un valido elemento su cui fondare l’accertamento della inadeguatezza dell’educazione impartitagli dalla sua famiglia, con conseguente responsabilità in capo unicamente ai suoi genitori in quanto esercenti la potestà genitoriale sull’autore materiale dell’illecito.

 

La Suprema Corte rigetta le doglianze, l’allenamento era stato organizzato dalla società

Ma la Cassazione ha rigettato le doglianze, in primis quella relativa alla carenza di legittimazione passiva sostenuta dal presidente del club che asseriva di non aver mai organizzato l’allenamento nel corso del quale si era verificato l’incidente. Circostanza smentita dalla condotta processuale tenuta nei precedenti gradi di giudizio dallo stesso ricorrente, che semmai aveva contestato il tesseramento nella società del minore, ma non di avere organizzato l’allenamento in questione.

Ma il cuore dell’ordinanza della Suprema Corte ruota attorno alla questione centrale dell’esclusione da parte dei giudici di secondo grado della responsabilità in capo ai genitori del minore responsabile del ferimento del compagno.

Secondo gli Ermellini, “con motivazione chiara, esaustiva e affatto contraddittoria”, la Corte d’Appello aveva ritenuto che, “in mancanza di prova del fatto illecito commesso dal minore, non potesse trovare applicazione l’art. 2048 c. c., osservando che la sentenza di prime cure andasse riformata”.

 

Anche per gli Ermellini mancava la prova del fatto illecito commesso dal minore

Tra gli elementi su cui i giudici di seconde cure si erano basati, e sulla cui valorizzazione la Suprema Corte conviene, la circostanza che i paletti, come da testimonianze acquisite, sarebbero stati in realtà appoggiati per terra vicino all’ingresso del campo, dunque alla portata dei ragazzini, che avrebbero iniziato a giocarci.

E inoltre la constatazione dello stesso giudice di primo grado che la dinamica dell’evento e la ricostruzione fattuale non fosse “totalmente chiara nelle sue modalità esecutive”, anche perché nessuno dei testi escussi aveva visto con i propri occhi l’evento, per quanto poi il tribunale avesse attribuito la condotta lesiva, concretatasi nell’utilizzo improprio del paletto appuntito, alla culpa in educando dei genitori per non aver impartito al figlio un’adeguata educazione e avesse ritenuto che l’età del ragazzino fosse sufficiente a fargli comprendere la gravità del fatto posto in essere.

La Suprema Corte peraltro evidenzia come anche la Corte d’appello bresciana avesse convenuto sul fatto che l’inadeguatezza educativa poteva essere comunque desunta dallo stesso fatto illecito, “e che ben possono rilevare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, e tuttavia gli Ermellini concordano con le conclusioni a cui sono approdati i giudici territoriali di seconde cure, secondo i quali, nello specifico, “il riferimento alla gravità del fatto non risulta pertinente, non essendo stata fornita la prova della condotta illecita tenuta dal minore nei confronti di altro minore, ciò che costituisce il presupposto per l’applicazione dell’articolo 2048 del codice civile”.

In altri termini, in mancanza di una prova certa del fatto illecito commesso da un minore, non poteva scattare la condanna per culpa in educando, la cui applicazione postula, si ribadisce ancora, “l’esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere”. Pertanto, ricorso respinto e condanna della società al risarcimento confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità Civile

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