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L’accertamento delle violazioni riscontrate con l’autovelox deve essere svolto dall’organo di polizia stradale: sono gli agenti a dover leggere dal supporto su cui i dati sono registrati dall’apparecchiatura di controllo. Il ruolo degli addetti della eventuale società noleggiatrice del dispositivo deve limitarsi all’assistenza tecnica, l’attività accertativa dei pubblici ufficiali cioè  può essere solo supportata e non sostituita dall’operatore privato, pena l’annullamento della sanzione.

E’ una sentenza fondamentale quella, la n. 38276/21 depositata il 3 dicembre 2021, con cui la Cassazione ha determinato le competenze nei casi sempre più frequenti nei quali gli Enti locali ricorrono a società esterne per la gestione degli autovelox collocati sulle strade, chiarendo cosa devono fare gli organi di polizia e cosa possono, invece, fare i dipendenti delle ditte private.

 

Un automobilista presenta opposizione contro una multa per eccesso di velocità da autovelox

L’input per gli Ermellini è arrivato dal ricorso di un automobilista a cui nel novembre 2010 era stato elevato un verbale di contestazione dalla Polizia Municipale del Comune di Arborea per violazione dell’art.142, comma 8 del Codice della Strada, per aver viaggiato a una velocità superiore al limite consentito: l’accertamento era avvenuto tramite rilevatore della velocità, omologato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e sottoposto a verifica e taratura nell’aprile dello stesso anno.

L’automobilista aveva proposto opposizione contro la sanzione, contestando la legittimità del rilevamento per difformità alle previsioni di cui al D.L 151/2004 in quanto l’apparecchiatura non era di proprietà dell’organo accertante, né era nella sua disponibilità. Il Comune di Arborea aveva confermato che l’impianto era gestito da una ditta esterna, che provvedeva all’installazione, al controllo ed alla verifica periodica del funzionamento delle apparecchiature e alla loro manutenzione e che disponeva di un software per la misura, validazione, importazione e gestione delle immagini. L’amministrazione aveva altresì precisato che tutte le attrezzature erano comunque gestite e rimanevano nella disponibilità dell’organo di polizia stradale, conformemente a quanto previsto dall’art.345 del Regolamento del Codice della Strada, confermato dalle previsioni contrattuali.

Il Giudice di Pace di Terralba aveva però dato ragione all’automobilista, accogliendo l’opposizione e annullando il verbale di accertamento. Il magistrato aveva richiamato per l’appunto le disposizioni dell’art. 345 comma 4 del Regolamento di Esecuzione, il quale prevede che le apparecchiature destinate all’osservanza dei limiti di velocità devono essere gestite dagli organi di polizia, avendo accertato che il contratto di noleggio prevedeva che la società privata avesse il compito di raccogliere i dati relativi alle violazioni rilevate, di effettuare le verifiche contestuali necessarie alla definizione dell’infrazione ed alla conservazione dei dati, ai fini della validazione da parte del personale della Polizia Municipale. Secondo il Giudice di Pace queste attività integravano un atto di accertamento dell’infrazione da parte della società privata in luogo degli organi di Polizia Stradale.

Il Comune tuttavia aveva impugnato la decisione avanti il Tribunale di Oristano che, con sentenza del 2017, aveva accolto l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettato l’opposizione dell’automobilista. Il giudice d’appello aveva accertato che la convenzione stipulata tra il Comune e la Project Automation, il 29 ottobre 2009, attribuiva alla società l’esecuzione delle opere di installazione e di funzionalità delle apparecchiature, la verifica periodica del funzionamento, la raccolta dei dati rilevati dalle apparecchiature e la fornitura di un software in comodato d’uso alla Polizia per la visura, validazione e gestione delle immagini: secondo l’interpretazione del tribunale, tuttavia, tale attività era estranea all’accertamento delle infrazioni, che avveniva attraverso la verifica, l’esame e la valutazione dei dati da parte della Polizia Municipale.

Nel caso di specie, inoltre, aveva rimarcato il giudice di seconde cure, l’accertamento era stato condotto tramite un’apparecchiatura sottoposta a verifica e taratura in pochi mesi prima rispetto all’accertamento. Quanto poi alla validità del contratto di noleggio, che prevedeva un corrispettivo per la società pari al 29,10% dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie, il giudice di merito non aveva ravvisato la contrarietà alla norma di legge che impone la devoluzione di tali somme ai Comuni, ai sensi dell’art. 208 Cds in quanto tale questione era priva di incidenza sulla legittimità del verbale opposto perché riguardante il rapporto contrattuale tra l’ente locale ed il privato.

A questo punto è l’automobilista ad aver proposto ricorso per Cassazione che, con ordinanza interlocutoria depositata il 18 giugno 2020, aveva disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, proprio in forza della rilevanza nomofilattica della questione relativa alla legittimità dell’accertamento nell’ipotesi in cui la gestione delle apparecchiature sia affidata ad una società esterna che riceva una percentuale sui proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie.

 

L’accertamento delle violazioni era affidato alla società privata secondo il ricorrente

Con il primo motivo di ricorso, infatti, si deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 del Regolamento di esecuzione al Codice della Strada, in relazione alla L.168/2002, ai sensi dell’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., unitamente all’omesso esame di un fatto decisivo, per non avere il Tribunale ritenuta fondata l’eccezione di nullità relativa alla pattuizione tra il Comune di Arborea e la Project Automation s.p.a., appaltatrice del servizio di noleggio degli impianti utilizzati per il rilevamento automatico delle infrazioni in quanto le violazioni non sarebbero state accertate dagli ufficiali ed agenti della Polizia Municipale ma da una società di noleggio privata che – sottolineava il ricorrente – era cointeressata ai proventi delle sanzioni poiché retribuita sulla base di un corrispettivo calcolato in percentuale sui proventi stessi.

Poiché la società privata si sarebbe occupata di effettuare le riprese attraverso il dispositivo di rilevamento della velocità, di raccogliere i dati provenienti dall’apparato autovelox e di trasmetterli alla Polizia Municipale per la loro validazione, la verificazione dell’illecito non sarebbe avvenuto sotto il controllo dell’autorità di Polizia, titolare della pretesa punitiva.

Inoltre, sempre secondo la tesi difensiva, la corresponsione di una percentuale degli introiti da parte della società privata avrebbe trasformato il contratto di appalto in un contratto aleatorio in quanto il corrispettivo sarebbe stato condizionato da un “evento”, l’accertamento della sanzione, e non da un servizio effettivamente svolto, con conseguente illiceità della causa ed indeterminatezza dell’oggetto.

La circostanza che la ditta fornitrice provvedesse anche alla taratura degli apparecchi avrebbe determinato un grave conflitto di interessi in quanto la società privata sarebbe stata interessata ad attestare il regolare funzionamento degli autovelox. Di qui l’ulteriore profilo di nullità del contratto connesso alla violazione dell’art.208 del Codice della Strada, che stabilisce un vincolo di destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie.

Il Comune avrebbe quindi demandato gli accertamenti alla società privata, residuando a suo carico solo la loro “validazione”, come si evincerebbe dall’art.6 del contratto, con conseguente delega alla società allo svolgimento di tutte le fasi del procedimento amministrativo di accertamento delle violazioni al Codice della Strada.

La Suprema Corte accoglie le doglianze

Ebbene, per la Suprema Corte i motivi sono sostanzialmente fondati. Le censure relative alla nullità del contratto, nella parte in cui prevedeva un corrispettivo pari ad una percentuale dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie, non meritano accoglimento secondo la Suprema Corte, “in quanto non incidenti sulla legittimità del verbale opposto”, come aveva già ritenuto il Tribunale.

E’ invece fondato, per gli Ermellini, il motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto insussistente una delega delle funzioni di accertamento delle funzioni di accertamento dell’infrazione del Codice della Strada alla società di noleggio delle apparecchiature di rilevamento della velocità.

 

I principi in materia di accertamento delle violazioni del Codice della Strada

I giudici del Palazzaccio delineano dunque i principi in materia di accertamento delle violazioni del Codice della Strada, con particolare riferimento alla violazione per eccesso di velocità, nelle ipotesi in cui vengano utilizzati strumenti di rilevatore automatico della velocità stessa.

La Cassazione rammenta che il quadro normativo vigente in materia di accertamento delle violazioni stradali, che si conforma al principio di legalità, richiede che sia demandato alla pubblica amministrazione l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale (art.11, lettera a) del Codice della Strada).

Le apparecchiature vanno gestite direttamente dagli organi di polizia stradale

L’art. 142 C.d.S., comma 6, dispone che “per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, nonché le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento“. In attuazione di tale principio, l’art. 345, comma 4 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada prevede che “per l’accertamento delle violazioni ai limiti di velocità, le apparecchiature di cui al comma 1 – quelle destinate a controllare l’osservanza dei limiti di velocità – devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale cui all’articolo 12 del codice, e devono essere nella disponibilità degli stessi”.

Ne consegue, fa notare la Cassazione, che sia il Codice della Strada che il relativo Regolamento prevedono che le apparecchiature elettroniche di controllo della velocità devono essere omologate od approvate, devono consentire di fissare la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accettabile e possono essere utilizzate esclusivamente dagli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 C.d.S. L’articolo in questione prevede che “l’espletamento dei servizi di polizia stradale spetta: a) in via principale alla specialità Polizia Stradale della Polizia di Stato; b) alla Polizia di Stato; c) all’Arma dei carabinieri; d) al Corpo della Guardia di finanza; d-bis) ai Corpi e ai servizi di polizia provinciale, nell’ambito del territorio di competenza; e) ai Corpi e ai servizi di polizia municipale, nell’ambito del territorio di competenza; f) ai funzionari del Ministero dell’interno addetti al servizio di polizia stradale; f-bis) al Corpo di polizia penitenziaria e al Corpo forestale dello Stato, in relazione ai compiti di istituto”.

A tali disposizioni di carattere generale, rammenta ancora la Suprema corte, si è successivamente aggiunta – ma non sostituita, in ragione della specificità delle ipotesi previste e regolate – la norma speciale posta dal D.L. 20 giugno 2002, n. 168, art. 4, come convertito con modificazioni dalla L. 1 agosto 2002 n. 168, con la quale il legislatore, dopo aver disposto, al primo comma, che sulle particolari strade indicatevi possano essere utilizzati od installati dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle infrazioni alle norme di comportamento di cui agli artt. 142 e 148 C.d.S., prescrive, al terzo comma, che, in tal caso, “la violazione debba essere documentata con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi che consentano di accertare, anche in tempi successivi, le modalità di svolgimento dei fatti costituenti illecito amministrativo nonché i dati d’immatricolazione del veicolo ovvero il responsabile della circolazione, specificando, altresì, che gli apparecchi di rilevamento automatico della violazione debbono essere approvati od omologati ai sensi dell’art. 45 C.d.S. ove utilizzati senza la presenza od il diretto intervento degli agenti preposti.

Gli Ermellini, a tal riguardo, sottolineano anche che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel giudizio d’opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa, “il verbale d’accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza, descritti senza margini d’apprezzamento, nonché della sua provenienza dal pubblico ufficiale medesimo, stante l’efficacia probatoria privilegiata attribuita all’atto pubblico dall’art. 2700“.

Ne consegue, viene al dunque la Cassazione, che l’accertamento delle violazioni alle norme sulla velocità deve ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi tratti dalle apparecchiature previste dal detto art. 142 C.d.S., facendo infatti prova il verbale fino a querela di falso dell’effettuazione di tali rilievi e constatazioni, mentre le risultanze di essi valgono invece fino a prova contraria, che può essere data dall’opponente in base alla dimostrazione del difetto di funzionamento dei dispositivi, anche occasionale in relazione alle condizioni della strada e del traffico al momento della rilevazione, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto.

 

Sono gli organi di polizia a dover “accertare” le infrazioni

Dalla lettura delle citate disposizioni si ricava, inoltre, “che spetta agli organi di Polizia Stradale l’accertamento delle infrazioni mentre i servizi di carattere strumentale possono essere affidati a terzi” ribadisce la Suprema corte, aggiungendo che “è facoltà degli enti locali di noleggiare gli strumenti necessari per l’accertamento della violazione, ai sensi dell’art 61 della L. 29.7.2010, n.120”, fermo restando però “l’obbligo della Pubblica Amministrazione di procedere a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura”.

Inoltre, proseguono i giudici del Palazzaccio, l’art. 61. della L.120/2010, consentendo agli enti locali l’attività di accertamento strumentale delle violazioni al decreto legislativo n. 285 del 1992 anche attraverso strumenti acquisiti con contratto di locazione finanziaria o di noleggio a canone fisso, prevede che “l’accertamento delle violazioni debba avvenire esclusivamente con l’impiego del personale dei corpi e dei servizi di polizia locale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1999, n. 250”.

L’elaborazione giurisprudenziale ha quindi tenuto distinta l’attività dell’operatore privato, “tenuto all’installazione ed all’impostazione dell’apparecchiatura“, dall’attività di accertamento, “che deve essere svolta dal pubblico ufficiale, attraverso la rielaborazione dei dati acquisiti di rilevamento della velocità e la formazione del verbale di accertamento, dotato di fede privilegiata”.

Sul contenuto dell’obbligo di accertamento dell’infrazione da parte della Polizia Stradale la Cassazione si richiama peraltro a una pronuncia della stessa Suprema Corte civile sez. I, 21/07/2005, n.15348, con cui è stato ribadito che “l’accertamento è atto dell’organo di polizia stradale del tutto distinto dalla mera registrazione analogica o digitale ovvero dalla correlata documentazione fotografica o video del fatto che integra la violazione stessa, consistendo nella lettura, da parte degli organi di polizia, del supporto sul quale i dati sono registrati dall’apparecchiatura di controllo.

 

Le sentenze pregresse

La Corte aveva ritenuto legittimi i dispositivi di rilevamento della velocità che operano anche in assenza degli organi di polizia stradale già alla stregua della disciplina (applicabile “ratione temporis”) anteriore all’entrata in vigore del d.l. 20 giugno 2002 n. 121, in quanto nessuna disposizione del codice della strada e del relativo regolamento di esecuzione escludeva tale possibilità. Ma resta fermo che nel distinguere l’attività della ditta privata da quella Polizia Stradale, il Codice della Strada demanda a quest’ultima l’individuazione dell’ubicazione degli apparecchi e dei tempi del loro funzionamento, nonché del prelievo e della lettura dei dati, precisando che solo il pubblico ufficiale è legittimato ad accedere agli apparati e ai dati.

Si fa inoltre notare che in una successiva decisione (Cassazione civile sez. II, 05/04/2011, n.7785) era stato nuovamente ed espressamente affermato che l’accertamento dell’infrazione di cui all’art. 142 c. strad. (eccesso di velocità), effettuato a mezzo di apparecchiatura elettronica autovelox, “è illegittimo se il dispositivo utilizzato per la rilevazione della velocità dei veicoli in transito è gestito da un operatore privato, al quale sia stata affidata “l’intera gestione” degli apparecchi”, essendo rimasto “indeterminato” il contenuto della supervisione” dei vigili. In quel caso il Comune si doleva dell’annullamento della sanzione per eccesso di velocità poiché non era stato specificato in cosa consistesse la supervisione e per l‘omessa indicazione di come fosse stato organizzato il collegamento tra l’attività di rilevamento delle infrazioni ed il soggetto preposto al servizio di Polizia.

 

L’attività della forza pubblica va solo supportata e non sostituita dall’operatore privato

La Corte in quel caso aveva affermato in motivazione che “il Comune ricorrente doveva confutare tale convincimento, dimostrando che l’assistenza tecnica di un privato operatore era limitata all’installazione ed all’impostazione dell’apparecchiatura, secondo le indicazioni del pubblico ufficiale; che la gestione delle apparecchiature elettroniche per l’accertamento delle infrazioni era rimasta riservata ai pubblici ufficiali; che l’assistenza tecnica dell’operatore privato era configurabile come un ruolo subordinato a quello dei vigili urbani”. Doveva dunque essere fornita la prova del ruolo svolto dagli agenti verbalizzanti di guisa che “l‘attività della forza pubblica deve essere stata solo supportata e non sostanzialmente sostituita dall’operatore privato“.

Ebbene da tutti questi principi, tira le fila del ragionamento la Suprema corte, il giudice di merito si è discostato avendo ritenuto che fosse legittima l’attività della Polizia Municipale nonostante essa fosse limitata alla “validazione” e “verbalizzazione” degli accertamenti svolti dalle apparecchiature di rilevazione della velocità, senza individuare il contenuto dell’attività svolta dai pubblici ufficiali, gli unici che potevano conferire pubblica fede al verbale.

La motivazione della sentenza – spiega la Cassazione – si limita a riportare l’art.4 del contratto concluso tra il Comune di Arborea e la Project Automation s.p.a., il quale demanda alla società appaltatrice l’esecuzione di ogni opera necessaria per l’installazione e la funzionalità delle apparecchiature, il controllo e la verifica periodica del loro corretto funzionamento, la raccolta dei dati oltre alla fornitura di un software per la “visura, validazione, importazione e gestione delle immagini“, demandandola validazione degli accertamenti” alla Polizia Municipale sulle postazioni in suo uso esclusivo.

Così individuati i compiti della società appaltatrice, comprensivi della validazione ed importazione delle immagini, non viene cioè chiarito in motivazione in cosa sia consistita l’attività del pubblico ufficiale, cui è demandato, in via esclusiva il compito di accertamento della violazione. “La sentenza impugnata – proseguono gli Ermellini – esclude la sussistenza di una delega delle operazioni di accertamento richiamando gli artt. 5 e 6 della Convenzione, i quali stabiliscono che spetta alla Polizia Municipale la gestione e la vigilanza sulle apparecchiature di rilevazione della velocità e sulla procedura di validazione e verbalizzazione degli accertamenti, senza determinare concretamente il contenuto della supervisione, sì da escludere che la gestione da parte della società appaltatrice degli autovelox debordi nell’attività di accertamento della violazione.

E invece questa indagine e questo approfondimento si rendevano ancora più stringenti in considerazione dell’impiego del termine “validazione” che, nel suo significato letterale osserva la Suprema Corte, “indica un’attività di mero controllo della validità e della correttezza da parte del pubblico ufficiale dell’accertamento svolto dalla società di noleggio degli autovelox”.

In conclusione, considerato che è illegittima la delega dell’intera gestione del rilevamento dell’eccesso di velocità da parte dell’operatore privato, “il giudice di merito non ha chiarito il contenuto dell’attività svolta dalla Polizia Municipale”, che, si ripete, “doveva essere solo supportata e non sostanzialmente sostituita dall’operatore privato”.

La sentenza è stato pertanto cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Oristano in diversa composizione, che dovrò attenersi ai principi di diritto pronunciati nella circostanza.

I principi di diritto

L’accertamento dell’infrazione dell’art.142 del Codice della Strada, ove effettuato a mezzo di apparecchiatura elettronica autovelox, è atto dell’organo di polizia stradale del tutto distinto dalla mera registrazione analogica o digitale ovvero dalla correlata documentazione fotografica o video del fatto che integra la violazione stessa.

Detto accertamento consiste nella lettura, da parte degli organi di polizia, del supporto sul quale i dati sono registrati dall’apparecchiatura di controllo. Il giudice di merito deve accertare se l’assistenza tecnica della società noleggiatrice sia limitata all’installazione ed all’impostazione dell’apparecchiatura, secondo le indicazioni del pubblico ufficiale mentre deve essere riservata ai pubblici ufficiali l’accertamento delle violazioni di modo che l’attività della forza pubblica sia solo supportata e non sostanzialmente sostituita dall’operatore privato e non sussista una delega delle operazioni di accertamento della violazione“.

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