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Più di 18 anni per chiudere una procedura fallimentari: troppi (anche) per la Cassazione la quale, con l’ordinanza n. 1286/24 depositata il 12 gennaio 2024, ha riconosciuto e risarcito il danno morale per irragionevole durata del processo all’erede di uno dei creditori, nel frattempo deceduto.

Una donna erede di un creditore chiede l’indennizzo per l’ingiustificata durata di un fallimento

Con ricorso depositato nell’ottobre del 2021 ai sensi della l. 89/2001, una donna, in qualità come detto di erede di un proprio congiunto, aveva adito la Corte d’appello di Brescia, al fine di vedersi riconoscere l’equo indennizzo che riteneva dovesse spettarle per la durata non ragionevole della procedura concorsuale relativa al fallimento di una società, dichiarato dal Tribunale di Brescia con sentenza del 18 maggio 2001 e chiuso dopo oltre 18 anni, il 15 novembre 2019, con il deposito del riparto finale, come stabilito dalla sentenza di omologa del concordato fallimentare.

Il Ministero della Giustizia si era costituito sostenendo invece l’infondatezza dell’opposizione e insistendo per la conferma del decreto del tribunale e la Corte d’appello bresciana, in composizione collegiale, aveva accolto la tesi dello Stato respingendo l’opposizione e, per l’effetto, confermando il decreto monocratico di rigetto dell’istanza di liquidazione dell’indennizzo, stabilendo che alla danneggiata, erede di un creditore ammesso al passivo, non spettasse l’equa riparazione per la durata “irragionevole” della procedura fallimentare. Per i giudici il termine di 6 anni previsto per il completamento della procedura costituiva una presunzione di ragionevolezza della durata del procedimento, che poteva essere superata con la prova contraria.

La Cassazione le dà ragione riconoscendole il danno morale

La donna a questo punto è andata fino in fondo in Cassazione e la Suprema Corte le ha dato ragione. Gli Ermellini hanno infatti sottolineato che, di fronte all’ampio superamento del limite di 7 anni decorrente per i creditori ammessi dall’approvazione dello stato passivo, la complessità del caso non avrebbe comunque potuto giustificare la totale esclusione dell’indennizzo perché “il danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, si intende come conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

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