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Che accade se, subito dopo aver portato il proprio veicolo in officina o dal concessionario per effettuare il periodico tagliando, questo ci lascia in panne a causa di una grave avaria, come la fusione del motore? Se si ritiene che il controllo sia stato effettuato superficialmente e che, se invece fosse stato svolto come si deve, il danno si sarebbe potuto evitare, si può chiedere il risarcimento a chi non fatto il suo lavoro a regola d’arte?

La risposta è assolutamente positiva come si evince da un’ordinanza della Cassazione, la n. 12859/22 depositata il 22 aprile 2022, che si è occupata di un caso sul genere.

Concessionaria condannata a risarcire la proprietaria di un’auto mal “tagliandata”

Il tribunale di Siena aveva già condannato una concessionaria citata in causa dalla proprietaria di una vettura a risarcirle quasi novemila euro per l’ingente danno della fusione del motore che, come accertato dai giudici, si sarebbe potuto evitare se i controlli effettuati per il rilascio del tagliando fossero stati più attenti, e nel 2017 la Corte d’appello di Firenze, avanti la quale l’autorivendita aveva appellato la sentenza, aveva rigettato il gravame, confermando la decisione di prime cure.

Las concessionaria tuttavia non si è data per vinta e ha proposto ricorso anche per Cassazione, contestando in primis il fatto che l’evento dannoso, ossia la fusione del motore, si fosse ritenuto provato sulla base di “mere valutazioni prettamente tecniche” rese da un testimone. Ma la Suprema Corte ha rigettato il motivo di doglianza.

“Quanto alla presunta violazione dell’art. 2697 c.c. per avere il giudice d’appello fondato la prova della fusione del motore e dell’errato posizionamento del tubo che portava acqua al motore sulle dichiarazioni del testimone – spiegano gli Ermellini -, va osservato che il giudice del merito deve negare valore probatorio decisivo soltanto alla deposizione testimoniale che si traduca in un’interpretazione del tutto soggettiva o in un mero apprezzamento tecnico del fatto senza indicare dati obiettivi e modalità specifiche della situazione concreta, tali da fare uscire la percezione sensoria da un ambito puramente soggettivo, sì da trasformarla in un convincimento scaturente obiettivamente dal fatto medesimo”. Nel caso specifico, invece, la Corte d’Appello aveva ben specificato che il testimone aveva esposto fatti specifici e obiettivamente riscontrati (lo strusciamento dinamico del tubo contro un altro oggetto meccanico, la rottura del tubo stesso nel punto di contatto e la perdita totale dell’acqua), “non riducibili a meri apprezzamenti tecnici, anche considerata la sua qualifica lavorativa di semplice impiegato”.

 

Assolto l’onere probatorio in capo all’automobilista

Con il secondo motivo di censura la ricorrente ha poi sostenuto che i giudici territoriali avrebbero erroneamente escluso che fosse “onere della parte attrice (cioè della proprietaria dell’auto, ndr) dimostrare l’esistenza e la consistenza dei danni asseritamente subiti” e “l‘esistenza di un nesso di causalità” tra “usura o errata collocazione del tubo di recupero dell’acqua e fusione del motore“, così violando l’art. 2697 c.c.

Ma la Cassazione, nel rigettare anche questa doglianza, chiarisce che la Corte d’appello “non ha escluso la necessità da parte della proprietaria della vettura di provare l’esistenza e la consistenza dei danni (fusione del motore), avendone tratto la prova dalle dichiarazioni del testimone chiamato dalla medesima, dichiarazioni dalle quali il giudice d’appello ha ricavato anche la prova che la causa della fusione del motore andava individuata nell’errato posizionamento del tubo di recupero dell’acqua”. Dunque, secondo i giudici del Palazzaccio, non è condivisibile il rilievo della concessionaria secondo cui “prova non c’è stata” che la fusione del motore fosse stata provocata dalla “rottura” del tubo. Gli Ermellini, sulla invocata necessità della dimostrazione da parte del danneggiato della sussistenza di un idoneo nesso causale tra l’azione o l’omissione imputata al debitore e il danno, precisano inoltre che la Corte d’appello fiorentina aveva ben affrontato anche questa questione, citando nella sentenza impugnata gli orientamenti in materia di condotta omissiva e accertamento del nesso causale.

La Cassazione ha respinto anche la la doglianza secondo cui la sentenza di merito avrebbe reputato dimostrati i danni errando nell’applicazione della regola sulle presunzioni.La ricorrente  infatti – spiega la Suprema Corte – genericamente contesta alla Corte d’appello di avere ritenuto dimostrato il quantum del risarcimento pure in mancanza di prove testimoniali o consulenze tecniche d’ufficio, senza riportare il motivo d’appello con il quale avrebbe sollevato la censura in secondo grado e limitandosi a fare un poco chiaro riferimento alla violazione della regola dettata dall’art. 2729 c.c., senza tale violazione sviluppare, se non mediante un oscuro riferimento alla “fede privilegiata” riconosciuta dal giudice d’appello alla fattura emessa dal concessionario”.

 

Il problema che ha causato la fusione del motore si doveva riscontrare durante il tagliando

Molto interessante per chi dovesse incappare in una disavventura simile il quarto motivo di doglianza, con cui la concessionaria asseriva che il contratto concluso tra le parti aveva ad oggetto soltanto l’esecuzione del tagliando, prestazione che era stata esattamente adempiuta e che non comprendeva una revisione del motore né alcun tipo di intervento sul radiatore.Secondo la ricorrente – affermano gli Ermellini, rigettando anche questa censura -, verificare il non corretto posizionamento del tubo avrebbe significato sottoporre a controllo il motore del veicolo, impiegando un proprio dipendente per un considerevole numero di ore, attività che non avrebbe poi trovato remunerazione nel corrispettivo del tagliando. La Corte d’appello invece, con accertamento in fatto, incensurabile di fronte a questa Corte di legittimità, ha affermato che si trattava soltanto di verificare che il tubo era mal posizionato, verifica che rientrava nella manutenzione ordinaria propria del tagliando e che non avrebbe richiesto alcun gravoso accertamento tecnico”.

E ancora più preziosa è la risposta della Suprema Corte al quinto morivo di censura: come infatti ribattono spesso, in generale, i soggetti a cui viene contestata una prestazione, l’autorivendita ha evidenziato che la controparte si era limitata a chiedere che fosse effettuato un tagliando e che al momento del ritiro della vettura non vi era stata contestazione circa i lavori svolti. La Cassazione però torna a ribadire quanto già fatto notare sopra, cioè che il problema meccanico che ha poi causato la fusione del motore era perfettamente riscontrabile con i controlli dovuti per il rilascio del tagliando, e che dunque, in conclusione, il lavoro non era stato effettuato a regola d’arte e l’impresa era tenuta a rispondere delle gravi conseguenze dell’inadempimento.

Pertanto, ricorso della concessionaria definitivamente rigettato e risarcimento all’automobilista confermato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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