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Farà molto discutere la recente sentenza n. 18786/2017 con cui la Corte di Cassazione ha riaffermato tra le righe un principio per la verità già sancito in altre circostanze dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità, e cioè che non necessariamente il mettersi alla guida dopo aver assunto una sostanza stupefacente è un comportamento penalmente rilevante.

Secondo un orientamento interpretativo al quale negli ultimi tempi i giudici hanno avuto più volte deciso di aderire, infatti, il reato di cui all’articolo 187 del Codice della Strada non potrebbe dirsi integrato per il solo fatto che un soggetto si sia posto alla guida di un veicolo dopo aver assunto una sostanza stupefacente; esso, piuttosto, richiede come condotta tipica la guida in stato di alterazione psico-fisica derivante da tale assunzione. In altre parole: se tale alterazione manca, il reato non può dirsi configurato.

Nel caso di specie, invece, il giudice di secondo grado aveva condannato un motociclista per il fatto di essersi messo in sella al proprio mezzo dopo aver fatto uso di stupefacenti, senza tuttavia confrontarsi in alcun modo con la succitata considerazione, fatta, invece, dal giudice di primo grado nel negare la penale responsabilità dell’imputato per il reato in questione.

Alla luce di ciò e, più in generale, del mancato rispetto dell’obbligo di motivazione rafforzata (gravante sul giudice dell’impugnazione nel momento in cui riforma in toto la pronuncia di primo grado), la Corte d’Appello è chiamata a un nuovo esame della vicenda e, per l’incauto motociclista, si apre qualche speranza di non essere condannato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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