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Anche se il valore effettivo della riparazione è superiore a quello che il mezzo aveva prima del sinistro, il danneggiato non solo ha il diritto di non sostituirlo, ma gli spetta anche il completo risarcimento “in forma specifica”. L’importantissima precisazione su una questione in piedi da diverso tempo arriva dall’ordinanza 10686, depositata il 20 aprile 2023 dalla Corte di Cassazione.

Risarcimento in forma specifica o equivalente? Il caso

La pronuncia scaturisce da un incidente del 2014 in cui il danneggiato – proprietario di un’Alfa 156 – chiede di essere risarcito per un sinistro a suo dire ad esclusiva responsabilità del conducente di una Fiat Idea. Il Giudice di Pace di Brindisi, inizialmente, stabilisce una paritaria responsabilità, garantendo al danneggiato il pagamento complessivo del costo della riparazione, anche se superiore al valore commerciale del mezzo.

In appello, però, il Tribunale rivaluta quanto affermato e, pur attribuendo il 60% di responsabilità alla controparte, decide di ridurre sensibilmente gli importi risarcitori che sarebbero spettati alla parte, effettuando una liquidazione “per equivalente” al posto di quella in forma “specifica” proposta, invece, dal primo giudice.

Il ricorso per Cassazione

Il proprietario dell’Alfa 156, allora, opta per un ricorso in Cassazione per far valere i propri diritti. La Suprema Corte, partendo dall’art 2058 del codice civile, assevera che: “il danneggiato possa chiedere la reintegrazione specifica qualora sia in tutto o in parte possibile, consentendo al giudice di disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore; ciò significa che, in relazione al danno subito da un veicolo, nel primo caso la somma dovuta è calcolata sui costi necessari per la riparazione, mentre nel secondo è riferita alla differenza fra il valore del bene integro e quello del bene danneggiato (cfr Cass. n 5993/1997 e Cass n. 27546/2017)“.

Ciò su cui, quindi, si pone l’accento è la locuzione “eccessivamente onerosa“. L’indennizzo per questo tipo di sinistri non ha una sorta di “cap” (o tetto) virtualmente bloccato sulla soglia dell’antieconomico: esistono dinamiche di discrezionalità valutativa che vanno oltre il risarcimento per equivalente; di conseguenza per “limitarsi” a quest’ultimo occorre che ci sia un’ingente sproporzione, che recherebbe un vantaggio tale per cui il danneggiato ottenga ingiustamente un “notevole” – per utilizzare lo stesso avverbio posto nell’atto –  guadagno.

Il risarcimento in forma “specifica” è la regola

Citando nuovamente la sentenza, quindi: “Le due modalità di liquidazione (forma specifica e per equivalente, ndr) si pongono in un rapporto di regola ed eccezione, nel senso che la reintegrazione in forma specifica (che vale a ripristinare la situazione patrimoniale lesa mediante la riparazione del bene) costituisce la modalità ordinaria, che può tuttavia essere derogata dal giudice – con valutazione rimessa al suo prudente apprezzamento – in favore del risarcimento per equivalente, laddove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per la parte obbligata“.

Si evince che una discriminante fondamentale è proprio la “locupletazione” – o arricchimento – per il danneggiato. Infatti “la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto l’eccessiva onerosità ricorrente «allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo» (Cass. n. 2402/1998, Cass. n. 21012/2010 e Cass n. 10196/2022) non mancando di rilevare che, se la somma occorrente per la reintegrazione in forma specifica «supera notevolmente il valore di mercato dell’auto, da una parte essa risulta eccessivamente onerosa per il debitore danneggiante e dall’altra finisce per costituire una locupletazione del danneggiato» (Cass. n. 24718/2013)“.

Nel bilanciamento fra l’esigenza di reintegrare il danneggiato nella situazione antecedente al sinistro e quella di non gravare il danneggiante di un costo eccessivo – prosegue l’ordinanza – l’eventuale locupletazione per il danneggiato costituisce un elemento idoneo a orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria e, al tempo stesso, un dato sintomatico della correttezza dell’applicazione dell’art. 2058, 2° co. cc“.

Riparazione o sostituzione: cos’è più conveniente?

La domanda che sorge spontanea ad un cittadino, quindi, è se a fronte di tutto ciò convenga di più riparare o sostituire la propria auto in caso di sinistro. Gli Ermellini, sotto questo punto di vista, paiono propendere per la prima ipotesi, tant’è che nell’ordinanza si legge che: “Il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad esempio perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo a cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile)“.

Nonostante ciò, è evidente come subentri sempre il buonsenso alla base di tutte le decisioni e, soprattutto, che, come già anticipato in precedenza, “ai fini dell’art. 2058 2°co. c.c., la verifica di un’eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione he ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato“.

Sentenza cassata: la decisione finale

Con tutte le basi anticipate, ecco quindi che la Cassazione ritiene fondata la censura del danneggiato sulle considerazioni del Tribunale circa l’antieconomicità della riparazione, senza però valutare che questa reintegrazione non determinasse un’effettiva locupletazione. Per completezza, riporta il documento, “laddove il danneggiato decida – com’è suo diritto – di procedere alla riparazione anziché alla sostituzione del mezzo danneggiato, non risulta giustificato (perché si tradurrebbe in una indebita locupletazione per il responsabile) il mancato riconoscimento di tutte le voci di danno che competerebbero in caso di rottamazione e sostituzione del veicolo“.

Indi per cui “l’opzione del giudice in favore del criterio liquidativo per equivalente deve necessariamente comportare il riconoscimento di tutte le voci di danno che sarebbero spettate al danneggiato se non avesse scelto di riparare il mezzo e, quindi, anche di costi che non siano stati effettivamente sostenuti, ma che sono necessariamente da considerare nell’ambito di una liquidazione equivalente“.

Sentenza cassata e conseguente rinvio al Tribunale, in conclusione, per questo importantissimo caso di sinistro stradale che, inevitabilmente, verrà preso a modello per il futuro.

Scritto da:

Dott. Andrea Biasiolo

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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