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Anche chi non fa curare il proprio cane gravemente malato è perseguibile per il reato di maltrattamento di animali.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22579/2019: un pronunciamento che ha avuto vasta eco e farà giurisprudenza sul piano dei diritti degli animali.

 

Multato il proprietario di un cane trovato in pessime condizioni di salute

La Corte d’Appello di Bologna aveva condannato a diecimila euro di multa il padrone di un “quattro zampe” per il reato, appunto, di maltrattamento di animali  in quanto, per citare la sentenza, “in qualità di proprietario di un meticcio femmina, ometteva di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare il benessere e la salute dello stesso animale, mettendone in pericolo la sua sopravvivenza”:  il cane era stato infatti trovato dagli operatori di un canile mentre vagava in strada e in pessime condizioni di salute, con vari tumori mammari di grosse dimensioni e ulcerati, oltre a dermatiti in varie zone del corpo.

Il proprietario ha quindi proposto ricorso per Cassazione giustificando la sua omissione di cure con il fatto che, non essendo un veterinario, non si era reso contro della gravità della malattia del proprio cane e asserendo che gli si poteva imputare al massimo la trascuratezza, ma non certamente la volontà di procurargli sofferenza.

 

La Suprema Corte condanna il proprietario del cane per maltrattamento

Ma la Suprema Corte gli ha dato torto, confermando la ben motivata sentenza del giudice d’appello. Secondo gli Ermellini, il ricorrente con il suo comportamento omissivo, con totale abbandono ed incuria del cane, gli aveva causato notevoli sofferenze tanto da rendere necessario un immediato intervento chirurgico, e d’altra parte la malattia era presente da molto tempo.

La mancata sottoposizione del cane a idonee cure aveva comportato sicuramente gravi sofferenze all’animale e secondo la Cassazione tale comportamento è doloso e intenzionale, non già colposo.

I giudici del Palazzaccio, infine, concludono che, sebbene la malattia non sia stata cagionata dal proprietario dell’animale, ciò che conta è il suo aggravamento, data la mancata sottoposizione a cure adeguate per debellarla o quanto meno limitarla, il che configura le  le lesioni rilevanti ex art. 544 ter del codice penale.

La Suprema Corte, quindi, ha rigettato il ricorso formulando un importante principio di diritto: configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all’art. 582, cod. pen., l’omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione dell’integrità dell’animale”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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