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Se alcuni condòmini si allacciano abusivamente, nello specifico alla rete idrica pubblica, commettendo un illecito, non può non doverne rispondere il condominio nella sua interezza ai sensi dell’articolo 2043 c.c. A chiarirlo, e non è un chiarimento così scontato visto che la Corte di merito si era espressa in altro modo, la Cassazione, con l’ordinanza n. 23823/22 depositata il primo agosto 2022 con la quale la Suprema Corte ha affrontato una questione tutt’altro che residuale, quella degli allacci abusivi delle singole utenze alla rete di distribuzione pubblica, sia essa quella idrica, elettrica, ecc.

La società che eroga l’acqua pubblica a Napoli cita un condominio per un allaccio abusivo

La vicenda Nel 2010 Arin S.p.a., la società che gestisce l’erogazione dell’acqua potabile a Napoli, aveva citato in giudizio un condomino della città per sentire accertare che lo stesso si era allacciato abusivamente alla rete idrica di sua proprietà, approvvigionandosi illegittimamente di acqua da oltre un decennio, con la conseguente condanna a risarcirle tutti i danni subiti ex art.2043 c.c., quantificati nella misura di euro 15.068,78 e, in subordine, perché fosse accertato l’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. che lo stesso condominio aveva posto in essere in suo danno, per aver consumato l’acqua senza corrispondere alcunché.

Arin a fondamento della domanda aveva altresì provato che il condominio era dotato di impianto idrico condominiale a servizio dei singoli appartamenti e che, nonostante non avesse mai sottoscritto alcun regolare contratto di somministrazione, si approvvigionava da lungo tempo di acqua, mediante un allaccio abusivo, alle condotte di sua proprietà, circostanza constatata nel corso di due sopralluoghi eseguiti congiuntamente ai carabinieri della stazione di Marano.

Nonostante i numerosi solleciti Arin, al fine di quantificare il danno, aveva già instaurato dinanzi al Tribunale di Napoli un procedimento per Accertamento Tecnico Preventivo nel corso del quale il Consulente Tecnico d’ufficio aveva verificato il consumo medio giornaliero di acqua da parte dell’intero condominio.

Il condominio si era costituito in giudizio contestando la fondatezza della domanda e asserendo che l’allacciamento del fabbricato all’impianto di adduzione dell’acqua era stato eseguito dal costruttore dell’edificio: i singoli condomini avrebbero ricevuto gli appartamenti con tutti i servizi funzionanti e non avrebbero mai apportato alcuna modifica alla condotta di allacciamento alla rete pubblica, dunque avrebbero ignorato l’esistenza dell’allaccio abusivo e pertanto non potevano ritenersi responsabili dell’illecito. Infine, altro aspetto di rilievo, in ogni caso il diritto di credito vantato dal gestore dell’acquedotto si sarebbe estinto per effetto della prescrizione quinquennale, mentre l’azione ex 2041 era inammissibile e infondata.

Il Tribunale di Napoli, ritenuta peraltro inammissibile perché tardivamente formulata l’eccezione di prescrizione, aveva accolto la domanda e condannato il condominio a pagare in favore dell’Arin l’importo di euro 15.068 oltre interessi legali e spese processuali.

La Corte d’Appello di Napoli tuttavia aveva riformato la sentenza, ritenendo che la pur pacifica e documentata presenza di un allaccio abusivo del fabbricato alla condotta idrica della società e di un’unica montante idrica a servizio dei singoli appartamenti, non fosse di per sé sufficiente per ritenere che l’amministratore del condominio e, quindi, il condominio quale ente di gestione dei beni e servizi comuni (del quale non sarebbe stato dedotto e provato in alcun modo il diretto coinvolgimento nella condotta di utilizzo della fornitura), dovesse rispondere solidalmente del danno cagionato alla società dai singoli condomini.

 

Per i giudici di secondo grado l’intero condominio non era responsabile per l’illecito dei singoli

Secondo la Corte territoriale, anche ammettendo che l’amministratore del condominio fosse consapevole dell’illecita fruizione dell’acqua da parte dei singoli condomini, non avrebbe mai potuto vietare, per far cessare l’azione illecita, l’utilizzo delle tubature idriche condominiali. Per i giudici, infatti, esula dai compiti e dai doveri dell’amministratore, quali sono delineati dal combinato disposto degli articoli 1130 e il 1133 c.c., quello di vietare l’utilizzo di un servizio comune.

Pertanto, la Corte d’Appello aveva ritenuto che non fosse ravvisabile nella condotta inerte tenuta, rispetto all’illecita apprensione di acqua da parte dei singoli condomini, dai vari amministratori succedutesi nel tempo, un fatto illecito, idoneo a fondare, ai sensi dell’articolo 2055 c.c., una responsabilità in solido del condominio, esulando dai poteri dell’amministratore quello di attivarsi per impedire che mediante l’utilizzo di un impianto comune venga commesso un reato. Inoltre, i giudici non avevano ravvisato alcun referente normativo che consentisse di fondare una responsabilità del condominio, per illecita apprensione di acqua posta in essere dai singoli condomini. Solo nei confronti di quest’ultimi, la società avrebbe potuto e dovuto indirizzare le proprie istanze.

 

Il gestore dell’acquedotto ricorre per Cassazione, l’amministratore sapeva del fatto

La società Abc, Acqua Bene Comune Napoli Azienda Speciale (già Arin), ha quindi proposto ricorso per cassazione sostenendo, con l’unico motivo, che la Corte d’appello avrebbe errato laddove aveva escluso la responsabilità del condominio, nonostante avesse ammesso sia la documentata esistenza di un allaccio abusivo del fabbricato alla propria condotta attraverso un’unica montante idrica, di proprietà condominiale, unitamente alle sue diramazioni fino alle singole unità immobiliari, sia la consapevolezza dell’amministratore dell’illecita fruizione dell’acqua da parte dei singoli condomini. La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che l’articolo 2043 è applicabile alla fattispecie per il fatto che l’amministratore era stato evocato in giudizio non personalmente ma nella qualità di amministratore di un bene di proprietà condominiale posto nella sua custodia e sotto il suo controllo.

Per la Suprema Corte il motivo è fondato. La Corte d’Appello, pur riconoscendo quanto sottolineato dalla ricorrente, aveva concluso affermando di non ravvisare alcun referente normativo che le consentisse di fondare una responsabilità del condominio per illecita apprensione di acqua posta in essere dei singoli condomini. E solo nei confronti di questi ultimi Abc avrebbe dovuto indirizzare le proprie istanze

Questa motivazione non è tuttavia condivisibile dagli Ermellini, secondo i quali invece “la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che tale allaccio costituisce di per sé un illecito di cui non può non rispondere il condominio nella sua interezza ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e che tale illecito si configura come illecito permanente produttivo di danni del quale deve rispondere il condominio finché non cessa l’illecito”.

 

I compiti dell’amministratore condominiale che deve anche custodire le cose comuni

L’amministratore del condominio, prosegue la Cassazione, ha il compito “di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi. Allorquando oggetto della lite sia l’abuso della cosa comune da parte di uno dei condomini, deve riconoscersi all’amministratore il potere di agire in giudizio, al fine di costringere il condomino inadempiente alla osservanza dei limiti fissati dall’articolo 1102 del codice. In tale ipotesi l’interesse, di cui l’amministratore domanda la tutela, è un interesse comune, in quanto riguarda la disciplina dello uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti”.

La denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condomino rientra, pertanto, “tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere all’amministratore, ai sensi dell’articolo 1130, n. 4, del Cc, senza (neppure) alcuna necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini”.

Dunque, risponde l’intero condominio per “l’abuso della cosa comune”

Nel caso specifico, concludono i giudici del Palazzaccio, il compito dell’amministratore sarebbe stato “quello di compiere gli atti idonei ad evitare il perpetuarsi dell’illecito permanente consumato, in modo determinante, attraverso l’impianto condominiale, consistente nel tratto di condotta che diparte dal punto in cui avvenne l’allaccio abusivo e attraverso il quale si è perpetuato l’illecito emungimento dell’acqua dal sistema idrico dell’Abc”. Pertanto, ai sensi del 2043 c.c. “il condominio, in persona dell’amministratore, risponde per non aver improntato la propria condotta omettendo di compiere quelle attività che avrebbe dovuto compiere”. Il ricorso è stato quindi accolto, la sentenza impugnata è stata cassata, con rinvio alla corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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