Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Deve risarcire il danno per responsabilità extracontrattuale la compagnia di assicurazione che ingeneri nell’assicurato il falso affidamento circa la copertura di una garanzia, un servizio o una prestazione. E’ un’ordinanza di assoluto spessore a tutela dei consumatori quella, la n. 18725/22, depositata dalla Cassazione, terza sezione civile, il 7 giugno 2022, che ha definitivamente condannato Caspie, Cassa di Assistenza Sociale e Sanitaria, a ristorare per l’appunto un assicurato che si era avvalso di una delle opportunità previste nel contratto salvo poi scoprire che in realtà non era coperta.

Un bancario scopre che una prestazione fornita dalla cassa previdenziale non è coperta

Il protagonista della vicenda è il dipendente di un istituto di credito, che come tale aveva aderito alla convenzione stipulata tra la banca e la Cassa a favore dei lavoratori della prima e che concerneva il rimborso per prestazioni sanitarie rese anche in favore dei familiari. Nel 2009, sulla scorta di questo contratto, il bancario aveva chiesto se il parto che doveva sostenere la sua compagna fosse coperto dalla polizza ricevendone risposta affermativa. Caspie infatti aveva preso in carico il parto, inoltrando ad una clinica privata il relativo modulo e autorizzando il bancario a pagare, anticipandole, direttamente le cure ai sanitari della struttura. 

Peccato però che quattro giorni dopo il parto, avvenuto nel giugno del 2009, la Cassa abbia comunicato all’interessato che l’intervento in realtà era privo di copertura, in quanto, al momento del lieto evento, non era ancora decorso il previsto termine (di vacanza assicurativa) di 270 giorni dall’inserimento della convivente nel nucleo familiare dell’assicurato, cosa avvenuta il primo gennaio 2009. Solo in quella circostanza il dipendente era venuto a conoscenza che la banca aveva stipulato una nuova convenzione che stabiliva un periodo di carenza assicurativa di 270 giorni in luogo dei 30 giorni precedentemente previsti. Un duro colpo per il neo papà, il quale era stato costretto, anche in veste di fideiussore, a sostenere l’esborso richiesto dalla casa di cura, esborso cui non si sarebbe mai esposto, optando per il ricovero in una struttura pubblica o convenzionata,  laddove non fosse stata assicurata la copertura da parte della assicurazione. 

 

L’assicurato cita l’assicurazione chiedendo il ristoro delle spese per il parto della convivente

Di qui la sua decisione di citare in causa la compagnia avanti il Tribunale  di Prato  per sentirla condannare, a titolo di responsabilità extracontrattuale, al pagamento della somma di 11.990,79 euro per avere ingenerato il falso affidamento sulla copertura sanitaria del parto cesareo della convivente. La Cassa aveva contestato la domanda chiamando in causa, per l’eventuale manleva, la banca a cui addebitava di non avere informato il suo dipendente della nuova convenzione che aveva introdotto il maggior termine di carenza assicurativa; Banca che a sua volta aveva resistito rilevando che, a prescindere dalla pubblicazione o meno della nuova convenzione nel sito interno, il danno lamentato dal era stato determinato da chi aveva indotto l’assicurato a ritenere che sussistesse la copertura assicurativa.

In primo grado i giudici avevano rigettato la domanda, ritenendo che il dipendente difettasse di legittimazione attiva, dal momento che il contributo economico per spese mediche spettava unicamente alla beneficiaria (la puerpera), e ciò a prescindere da chi avesse materialmente sborsato la somma, risultando priva di rilievo la fideiussione prestata dal bancario in favore della struttura sanitaria, in quanto successiva al parto e tardivamente prodotta in giudizio.

Il danneggiato, tuttavia, aveva appellato la decisione e la Corte d’Appello di Firenze, accogliendone il gravame, aveva riformato la sentenza di primo grado, condannando l’assicurazione a pagare all’appellante la somma di 11.990,79 euro (maggiorata di accessori) nonché a rimborsare a lui e alla banca le spese processuali dei due gradi di merito. 

 

Accertato il falso affidamento indotto dalla Cassa sulla copertura sanitaria del cesareo

I giudici di secondo grado avevano rilevato che il dipendente dell’istituto di credito aveva chiesto il risarcimento del danno subito in conseguenza del falso affidamento indotto dalla Cassa sulla copertura sanitaria della sua convivente, ponendo a sostegno della domanda l’asserita responsabilità extracontrattuale della società determinata dall’operato dei suoi dipendenti: lo scambio di comunicazioni fra la casa di cura e il bancario “appariva univocamente indirizzato ad assicurare alle parti interessate l’effettiva operatività della copertura”. Secondo la Corte territoriale, doveva quindi ritenersi “provato il nesso causale tra la condotta degli operatori della società e il danno subito dall’appellante, costretto a pagare a proprie spese l’intervento, atteso che quest’ultimo, ove non avesse avuto le opportune e sostanziali assicurazioni sulla operatività della polizza, certamente avrebbe optato per l’esecuzione della prestazione sanitaria presso altra casa di cura convenzionata con il servizio pubblico”. 

Quanto poi alla legittimazione attiva, secondo i giudici di seconde cure il lavoratore della banca “aveva ed ha titolo ad agire contro la società appellata, poiché appare pacifico che fu proprio quest’ultimo ad elaborare tutta l’attività, anche contrattuale, mirata a garantirsi la gratuità dell’intervento in favore della convivente e che, a seguito della condotta colposa dei dipendenti di Caspie, le conseguenze dannose dell’evento ricaddero totalmente sul medesimo appellante, che fu costretto a sborsare ed anticipare di tasca propria le somme che invece riteneva coperte dall’indennizzo. L’appellante è dunque il soggetto direttamente danneggiato dalla predetta attività illecita, poiché è colui che, a seguito del fatto, ha subito la lesione della autonoma sfera patrimoniale e quindi il danno risarcibile”.

 

La società ricorre per Cassazione scaricando le responsabilità sulla banca

La società assicuratrice a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a ben sei motivi di doglianza e scaricando ogni eventuale responsabilità sull’istituto di credito, che a suo dire non aveva ottemperato all’obbligo di informare i propri dipendenti delle novità introdotte dalla convenzione stipulata 1’11 novembre 2008 (compresa la necessità di inserire il nominativo del beneficiario dell’assistenza almeno 270 giorni prima dell’evento), come previsto dalla convenzione che le imponeva, per l’appunto, di comunicare ai beneficiari della polizza il “mutamento delle condizioni”. Pertanto, secondo questa tesi difensiva, la controversia non avrebbe dovuto essere inquadrata nei termini prospettati dalla sentenza impugnata (ex art. 2043 c.c.), ma al contrario entro i termini della responsabilità contrattuale (art. 1173), “azione da rivolgersi tutta e solo verso la banca”, atteso che “l’azione rilevante nel caso in oggetto è stata posta in atto dall’istituto di credito e di conseguenza il falso affidamento non è stato causato dalla ricorrente”. 

La Cassa previdenziale ha altresì insistito sul difetto di legittimazione attiva dell’assicurato, in quanto il tribunale aveva accertato che il contributo economico inerente alle spese mediche, a prescindere dal soggetto che le aveva materialmente sborsate, spettava soltanto al soggetto indicato quale beneficiario nel contratto, vale a dire alla partoriente: pertanto, secondo la ricorrente, poiché il contratto di assicurazione era stato stipulato in favore della donna, solo quest’ultima avrebbe dovuto attivarsi per ottenere il ristoro di quanto coperto da assicurazione ovvero dei danni asseritamente subiti.

Ma la Suprema Corte rigetta tutte le doglianze

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, questo motivo è è inammissibile “in quanto propone una lettura alternativa della vicenda (al fine di individuare una responsabilità contrattuale della Banca che escluderebbe quella della assicuratrice) e, per il resto, ipotizza una legittimazione attiva esclusiva della signora (omissis), senza tuttavia considerare che l’attore non si è mosso in un ambito contrattuale, ma esclusivamente extracontrattuale, facendo valere la responsabilità della ricorrente per avere generato un affidamento sulla copertura assicurativa e per avere determinato un esborso che non sarebbe stato altrimenti sostenuto”.

Inammissibile, secondo gli Ermellini, anche gli altri motivi di doglianza, compreso quello in cui,  dopo aver ribadito le responsabilità della Banca, e a prescindere dalla stessa, la società assicuratrice ha imputato all’assicurato di non essersi sincerato, “come avrebbe ben potuto e dovuto fare”, della effettiva copertura assicurativa in favore della beneficiaria”: secondo la ricorrente, “la condotta negligente del danneggiato avrebbe dovuto determinare l’ulteriore conseguenza di dare luogo al potere-dovere ufficioso del giudice di merito di ridurre di molto, ovvero anche di escludere del tutto, il risarcimento del danno, dato che lo stesso avrebbe potuto essere evitato anche solo con un comportamento conforme ad un parametro di diligenza ordinaria.

Motivo inammissibile per la novità della questione e, comunque di natura sostanzialmente fattuale conclude la Cassazione, che ha quindi rigettato il ricorso confermando la condanna dell’associazione al risarcimento del danno.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Contenziosi con Aziende

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content