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Nella liquidazione equitativa prevista dalle Tabelle milanesi, il giudice può, anzi deve, superare i limiti degli ordinari parametri ivi previsti quando la specifica situazione di danno sia caratterizzata dalla presenza di circostanze particolari e gravi di cui il parametro tabellare non può aver già tenuto conto.

A riaffermare con forza questo principio a tutela dei danneggiati la Corte di Cassazione, III sezione Civile, con l’ordinanza n. 32787/19 depositata il 13 dicembre con cui gli Ermellini hanno definitivamente deliberato su un cruento fatto di cronaca.

 

Lite tra due calciatori, uno con un morso mozza l’orecchio all’altro

A seguito di un banale diverbio per futili motivi accesosi durante una partita amatoriale di calcio, nel lontano 2003, un giocatore aveva aggredito alle spalle un avversario assestandogli un morso di “selvaggia ferocia” all’orecchio sinistro che gli aveva provocato il parziale distacco del lobo superiore sinistro (in foto, il “celebre” morso dell’uruguaiano Suarez a Giorgio Chiellini ai Mondiali).

Il Tribunale di Avellino aveva condannato l’aggressore ad un risarcimento di circa 24mila euro quale ristoro del danno non patrimoniale (10 per cento di danno biologico), ma il danneggiato ha proposto ricorso presso la Corte d’Appello di Napoli, che tuttavia lo ha respinto nel 2017, e poi, appunto, per cassazione.

 

La vittima lamenta la mancata “personalizzazione” del danno

Secondo il ricorrente i giudici di merito, nel liquidare il danno alla persona, non avevano correttamente valutato il danno morale ed esistenziale che ne era conseguito (indicato nella misura di 15mila euro), avendo quantificato il danno biologico indicato nei barème delle tabelle milanesi, che “inglobano” il danno morale entro una certa misura media, tenendo conto delle media degli eventi che provocano queste lesioni.

Nello specifico, a suo dire i giudici avrebbero invece dovuto considerare anche la sussistenza di circostanze specifiche ed eccezionali, il particolare disagio, in termini di ansia, sofferenze psichiche e senso di prostrazione, conseguenti all’aggressione e alla mutilazione subìte all’età di 29 anni, che ne avevano minato profondamente la capacità di relazionarsi con gli altri facendolo cadere in una profonda depressione (per lungo tempo non era uscito di casa), nonostante tutti questi elementi fossero stati provati da svariate testimonianze.

In buona sostanza, il danneggiato denunciava un vizio di sussunzione della fattispecie entro la corretta cornice normativa che regola le ipotesi di liquidazione del danno alla persona in senso “personalizzato“, qualora il danno morale meriti una opportuna e distinta valutazione in relazione al danno biologico. Vizio che anche la Cassazione riscontra in pieno.

 

No ad applicazioni stereotipate delle tabelle milanesi

E’ormai sedimentato il concetto – spiegano gli Ermellini – che il danno alla persona, pur dovendosi commisurare in relazione a specie o tipologie di danno ontologicamente differenti e ugualmente rilevanti (quale il danno biologico e il danno morale), costituisce una voce di danno che merita un’unitaria e complessiva considerazione in riferimento alla persona che lo ha subìto, senza che si possa giungere a pericolosi frazionamenti di “voci di danno” che permettano di deviare da una valutazione secondo l’id quod plerumque accidit, già diversamente valutabile all’interno dei singoli barème medico legali, soprattutto allorché le lesioni non sono di un certo rilievo.

Allo stesso tempo la valutazione standardizzata, secondo l’id plerumque accidit, che si è diffusa nelle prassi con l’introduzione delle tabelle medico-legali, tuttavia, non deve condurre a un’applicazione stereotipata e automatica delle tabelle sì da sacrificare i diritti personalissimi sottesi, dovendo il giudice motivare la sua decisione in relazione alle circostanze del caso”.

Ne consegue che il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, “può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle – prosegue l’ordinanza -, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente valutazione”.

Venendo al caso in questione, nell’applicare le tabelle milanesi, il danno alla persona, fanno notare i giudici del Palazzaccio, è stato liquidato con il metodo tabellare in relazione a un “barème” medico- legale (10%), “che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona, sull’assunto – pur condiviso dalla Corte di merito – che esso possa essere incrementato in via di “personalizzazione” in presenza di circostanze “specifiche ed eccezionali”, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano evidente che il danno subìto sia più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado, sofferte da persone della stessa età e condizione di salute”.

 

Le circostanze specifiche ed eccezionali

Pur avendo perfettamente chiara questa possibilità di personalizzazione, tuttavia, la Corte di merito, nel suo apprezzamento discrezionale, ha considerato da un lato, che i fatti non abbiano comportato nel soggetto “fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita” o “scelte di vita diversa” ovvero, ancora, “uno sconvolgimento dell’esistenza obiettivamente accertabile” tali da giustificare questo sconfinamento ai fini di una personalizzazione; dall’altro, ha ritenuto che la prospettazione del danno ulteriore da personalizzare fosse stata generica e difettasse di idonea allegazione, postulando meramente le sofferenze psichiche, le ansie, un patema d’animo conseguente alle lesioni, già ricomprese nei barème.

Laddove invece il ricorrente nel ricorso riportava tutta una serie di circostanze integranti i profili soggettivi di ansia, preoccupazione, turbamento e dispiacere, collegati al pregiudizio fisico e al fatto illecito subito quali la violenza inaudita di cui era stato oggetto, la scena del volto sanguinante della vittima che disperatamente tentava di frenare il copioso flusso di sangue, ricercando sul terreno di gioco il pezzo di orecchio staccato, la estenuante trafila di visite mediche e di interventi chirurgici nel vano tentativo di limitare il danno estetico, l’accertata incidenza della vicenda nella quotidianità.

 

Per la personalizzazione basta il “non ordinario”, non l’eccesso

Ebbene, secondo la Cassazione la “Corte d’appello ha orientato la propria ricerca non già a qualcosa di peculiare, ma a qualcosa di radicalmente stravolgente in riferimento all’entità degli esiti, non rilevando quindi tale vis prorompente nelle conseguenze pregiudizievoli pur sofferte dal ricorrente, ricercando quindi l'”eccesso“, e non già la “peculiarità” e il “non ordinario” che avrebbe dovuto indurla a utilizzare le tabelle tenendo conto delle possibili e diverse valutazioni che esse pur ammettono in riferimento al danno morale, senza ricorrere ad automatismi applicativi”.

 

Mancata anche la considerazione e del fatto gravemente violento…

Gli Ermellini sottolineano in particolare come la Corte d’Appello “non abbia considerato se il fatto illecito violento, di natura dolosa, da cui è derivata la lesione alla persona, meriti una particolare e separata valutazione in termini di danno morale, e la fattispecie dunque integri le ipotesi particolari che giustificano anche uno sconfinamento dai parametri ordinari, utilizzati invece dal giudice del merito senza neanche dar conto del range minimo o massimo infra-tabellare applicato, quando comunque si chiedeva una personalizzazione del danno”.

 

… e del radicale cambiamento dello stile di vita della vittima

Concludendo, la valutazione, ai fini della commisurazione del danno secondo equità entro i parametri di una corretta valutazione equitativa, richiesta dall’art. 1226 cod. civ., “non è stata svolta con la necessaria accuratezza, soprattutto in riferimento alle circostanze e modalità con cui si è verificata la lesione volontaria (in termini di aggressione fisica) che presenta particolarità tali da richiedere una separata o comunque adeguata valutazione del danno morale derivatone, riguardando un fatto di violenta aggressione fisica, con correlata testimonianza di cambiamento dello stile di vita, psicologicamente rilevante, non comparabile alla sofferenza psicologica derivante, in ipotesi, da un distacco dell’orecchio subito a causa di uno scontro, di origine colposa, tra persone nel corso di una partita di calcio o di altra attività sportiva”.

 

Ricorso accolto con rinvio

Insomma, la valutazione, che è risultata “stereotipata e frutto di un automatismo risarcitorio non voluto neanche dal legislatore”, dovrà essere pertanto svolta alla luce dei suddetti criteri, “dovendo risultare, nella motivazione, se e come il giudice abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subìto dal danneggiato”.

Dunque, il ricorso è stato accolto con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, per la corretta definizione del risarcimento.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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