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Uno stato membro non può addurre il timore di difficoltà interne per giustificare l’inosservanza degli obblighi discendenti dal diritto dell’Unione Europea quando tale inosservanza non è conforme ai requisiti della forza maggiore, che, nello specifico, non può essere invocata per esentare, per quanto solo temporaneamente, gli organizzatori di pacchetti turistici dall’obbligo di rimborso previsto dalla direttiva.

E per “rimborso” si deve intendere una restituzione sotto forma di denaro, il legislatore dell’Unione, non ha previsto la possibilità di sostituire tale obbligo di pagamento con una prestazione che rivesta un’altra forma, come la proposta di buoni. L’obiettivo perseguito dalla direttiva in questione consiste, infatti, nella realizzazione di un livello elevato e il più uniforme possibile di protezione dei consumatori, di conseguenza il rimborso sotto forma di denaro è il più idoneo a contribuire alla tutela degli interessi del viaggiatore, anche se ciò non esclude che questi accetti, ma deve essere su base volontaria, un ristoro sotto forma di un buono. E’ una sentenza rilevante sul fronte della tutela dei turisti quella pronunciata l’8 giugno 2023 della Corte di Giustizia Europea, seconda sezione, in merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État, il Consiglio di Stato francese.

Una causa intentava da due associazioni a difesa dei consumatori francesi

Due associazioni transalpine per la difesa degli interessi dei consumatori avevano agito in giudizio chiedendo l’annullamento dell’ordinanza n. 2020-315, adottata sulla base di un’autorizzazione attribuita al Governo francese dalla legge del 23 marzo 2020, n. 2020-290, sulle misure urgenti per rispondere all’epidemia da Covid-19 con l’obiettivo di contrastare le conseguenze economiche, finanziarie e sociali della diffusione della pandemia. A sensi dell’articolo 1 della citata ordinanza, in deroga alle disposizioni del diritto francese di attuazione dell’articolo 12 della direttiva CE 2015/2302, se un contratto di vendita di viaggi e soggiorni era stato “risolto” tra il primo marzo e il 15 settembre 2020, l’organizzatore o il rivenditore poteva offrire, al posto del rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il “contratto risolto”, una nota di credito, che il cliente poteva utilizzare a determinate condizioni.

Le quali contestavano la possibilità di rimborsare i viaggi saltati per covid con i “voucher”

Secondo le associazioni, l’ordinanza violava per appunto l’articolo 12 della direttiva 2015/2302, il quale prevede, tra l’altro, il diritto del viaggiatore colpito, nel caso di risoluzione di un contratto di pacchetto turistico a seguito del verificarsi di “circostanze inevitabili e straordinarie”, di essere rimborsato integralmente per i pagamenti effettuati per tale pacchetto entro 14 giorni da detta risoluzione, e ledevano la libera concorrenza all’interno del mercato unico nonché l’obiettivo di armonizzazione perseguito da tale direttiva.

Il giudice aveva osservato che le disposizioni dell’ordinanza n. 2020-315 erano state adottate a tutela della liquidità e solvibilità dei prestatori di servizi oggetto di tali disposizioni, in un contesto in cui oltre settemila operatori turistici registrati in Francia si trovavano in grave difficoltà, a causa della pandemia da Covid, dovendo far fronte ad un numero senza precedenti di disdette e alla quasi totale assenza di nuove prenotazioni. In tali circostanze, il rimborso immediato di tutti i pagamenti relativi alle prestazioni disdette era tale da mettere a rischio l’esistenza di tali operatori e, di conseguenza, la possibilità per i clienti coinvolti di ottenere il rimborso di detti pagamenti. Il giudice aveva altresì precisato che l’importo totale delle note di credito emesse dagli operatori professionali francesi al 15 settembre 2020, data in cui l’ordinanza n. 2020-315 aveva cessato di produrre i suoi effetti, ammontava a circa 990 milioni di euro, pari al 10 per cento del fatturato del settore in un’annata normale.

Le questioni pregiudiziali poste dal Consiglio di Stato francese alla Corte di giustizia europea

In questo contesto il Consiglio di Stato francese aveva a deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia europea le seguenti questioni pregiudiziali. In primis, se l’articolo 12 della direttiva 2015/2302 vada interpretato nel senso che obbliga l’organizzatore di un pacchetto turistico, in caso di risoluzione del contratto, a rimborsare in denaro tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto, oppure nel senso che consente un rimborso per equivalente, in particolare sotto forma di buono di importo pari a quello dei pagamenti effettuati.

Nell’ipotesi in cui tali rimborsi siano intesi come rimborso in denaro, il giudice rimettente chiedeva poi se la crisi sanitaria legata all’epidemia da Covid-19 e le sue conseguenze sugli operatori turistici fossero idonee a giustificare, e in caso affermativo a quali condizioni ed entro quali limiti, una deroga temporanea all’obbligo, per l’organizzatore, di rimborsare al viaggiatore tutti i pagamenti effettuati per il pacchetto entro un periodo di 14 giorni dalla risoluzione del contratto, previsto all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302.

In caso di risposta negativa alla questione precedente, se fosse possibile, nelle circostanze ricordate, modulare gli effetti nel tempo di una decisione di annullamento di un atto di diritto interno contrario all’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2015/2302.

La restituzione va fatta in danaro non con “buoni” per equivalente

Dopo un lungo excursus sulle varie questioni di diritto, la Corte di Giustizia UE ha innanzitutto confermato con forza che la direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, (“che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE”), deve essere interpretata nel senso che “qualora, a seguito della risoluzione di un contratto di pacchetto turistico, l’organizzatore del pacchetto sia tenuto, in forza di tale disposizione, a rimborsare integralmente al viaggiatore interessato i pagamenti effettuati per detto pacchetto, per tale rimborso si intende unicamente una restituzione di detti pagamenti sotto forma di una somma di denaro”. 

I giudici comunitari spiegano infatti che il diritto al rimborso conferito ai viaggiatori dall’articolo 12, paragrafi 2 e 3, di detta direttiva “risponde alla finalità di tutela dei consumatori, cosicché un’interpretazione della nozione di “rimborso”, ai sensi di tale articolo 12, secondo la quale il viaggiatore interessato ha diritto alla restituzione dei pagamenti effettuati nell’ambito del pacchetto in questione sotto forma di una somma di denaro, di cui potrà disporre liberamente, è più idonea a contribuire alla tutela degli interessi di quest’ultimo e, pertanto, alla realizzazione di tale obiettivo, rispetto all’interpretazione secondo la quale sarebbe sufficiente che l’organizzatore interessato gli proponga un buono o un’altra forma di compenso differito”.

Il Covid non esenta neanche temporaneamente gli operatori turistici dal rimborsare i clienti

Alla seconda questione, poi, la Corte Ue sancisce che l’articolo 12, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 2015/2302, in combinato disposto con l’articolo 4 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che: “esso osta a una normativa nazionale in forza della quale gli organizzatori di pacchetti turistici sono temporaneamente esentati, nel contesto dello scoppio di una crisi sanitaria mondiale che impedisce l’esecuzione dei contratti di pacchetto turistico, dal loro obbligo di rimborsare integralmente ai viaggiatori colpiti, entro 14 giorni dalla risoluzione di un contratto, i pagamenti effettuati per il contratto risolto, e ciò anche laddove una siffatta normativa miri ad evitare che la solvibilità di tali organizzatori di viaggi sia compromessa al punto da mettere a repentaglio la loro sussistenza a causa del numero considerevole di richieste di rimborso attese, e quindi miri a preservare la sopravvivenza del settore interessato”.

Il diritto dell’Unione, segnatamente il principio di leale cooperazione previsto all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, conclude infine la sentenza rispondendo al terzo quesito, va interpretato nel senso che “esso non consente a un giudice nazionale investito di un ricorso di annullamento di una normativa nazionale contraria all’articolo 12, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 2015/2302 di modulare gli effetti nel tempo della sua decisione che annulla tale normativa nazionale”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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