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Il fatto che l’investitore sia considerato esperto secondo il suo profilo non esime la banca dal fornirgli tutte le informazioni sul prodotto finanziario che intende vendergli, pena la restituzione della somma investita (e persa) e il risarcimento nel caso in cui l’investimento si sia rivelato fallimentare. E’ una sentenza di estremo rilievo sul fronte della tutela dei risparmiatori quella, la n. 16184/23, depositata dalla Cassazione l’8 giugno 2023.

Una causa contro una banca sui famigerati bond argentini intentata da una società investitrice

Il contenzioso in questione era stato avviato da una società, poi fallita, nei confronti della Cassa di Risparmio di Cesena e aveva per oggetto i “famigerati” bond argentini. La società aveva chiesto avanti il Tribunale di Forlì che fosse dichiarata la nullità o disposto l’annullamento o la risoluzione ex ert. 1453, 1455 cod. civ. degli acquisti di obbligazioni Argentina effettuati, tramite l’istituto citato in giudizio, il 3 agosto 2000 per il controvalore di 2,475 milioni e di 2,2 milioni, acquisto, quest’ultimo, confluito nella gestione patrimoniale in essere tra le parti, con condanna della banca alla restituzione del capitale investito oltre al risarcimento dei danni subiti. I giudici avevano dichiarato la nullità dell’ordine d’acquisto del titolo dell’importo di € 2,475 milioni, detratte le cedole medio tempore percepite dall’investitrice, ma aveva rigettato l’ulteriore domanda svolta in relazione ai titoli inseriti nella gestione patrimoniale.

 

In appello domanda di risoluzione degli acquisti delle obbligazioni accolta solo in parte

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 2018, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della società (la decisione di prime cure era stata appellata in via principale dall’istituto di credito) e in parziale riforma del verdetto di primo grado, previo accertamento della validità del contratto quadro concluso tra le parti il 28 luglio 2000, aveva dichiarato risolto, per grave inadempimento della banca, il contratto di acquisto di obbligazioni Argentina per il valore nominale di 2,475 milioni, con conseguente condanna della banca al pagamento, in favore della società investitrice, della somma di 1.432,30 euro oltre accessori di legge. Il giudice d’Appello aveva dichiarato la risoluzione dell’ordine di acquisto “incriminato”, trattandosi di un investimento inadeguato per dimensione in relazione al quale nessuna avvertenza di inadeguatezza per tale profilo era stata comunicata alla società risparmiatrice. La Corte territoriale aveva tuttavia rigettato ogni altra domanda, compresa quella di risarcimento del danno svolta dalla società in aggiunta alla perdita del capitale), quest’ultima con la motivazione della genericità della richiesta risarcitoria con riferimento alla “possibile destinazione alternativa delle somme investite”.

Per i giudici territoriali l’investitore era esperto e doveva sapere del rischio

Ma soprattutto, ed è il punto che più preme, i giudici di secondo grado avevano rigettato l’appello incidentale con riferimento all’acquisto di obbligazioni Argentina per l’importo di 2,2 milioni, sul rilievo che la sottoscrizione da parte dell’investitrice del documento datato 3 agosto 2020 (nel quale quest’ultima dava atto di essere pienamente consapevole che tale investimento rappresentava il cento per cento del patrimonio della gestione, doveva essere mantenuto sino a diversa disposizione, e che tutto ciò incrementava il profilo di rischio della gestione stessa) aveva svolto una funzione equivalente rispetto all’avvertenza della banca di non adeguatezza per dimensione. La Corte d’Appello aveva osservato che, se era pur vero che in tale documento l’affermazione sulla consapevolezza dei rischi connessi era generica, tuttavia, in ogni caso, la portata di tale dichiarazione doveva essere rapportata alla natura dell’investitore (in questo caso esperto), il quale, nel caso di specie, era stato comunque informato del rating del titolo.

 

Il ricorso per Cassazione della società che lamenta gli inadempimenti informativi sul prodotto

Il fallimento – la società era stata dichiarata fallita nel 2022 -, a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione con diversi motivi di doglianza, deducendo tra le altre cose, per quello che qui interessa, la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 comma terzo del regolamento Consob nonché dell’art. 21 comma primo lett. a) e b) del TUF, il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione Finanziaria. Il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte d’Appello avesse ritenuto che fossero stati assolti, indirettamente, i doveri informativi e gli adempimenti di cui all’art. 29 del Reg. Consob alla luce della dichiarata approfondita conoscenza degli strumenti finanziari, della qualifica di investitore esperto del cliente e dell’informativa resa dal dipendente circa il rating e del relativo significato (che non poteva non essere conosciuto data la sua profilatura).

In particolare, è stata contestata l’affermazione secondo cui il dovere informativo e gli adempimenti imposti all’intermediario dovrebbero essere modulati/rapportati all’effettivo bisogno di assistenza del cliente, il fatto che fosse stato qualificato come investitore esperto e, ancora, che fosse stata attribuita dalla Corte d’Appello univoca rilevanza all’asserita conoscenza del mercato finanziario riportata nella scheda informativa: secondo il ricorrente, le informazioni fornite alla società investitrice, riguardanti il rating del titolo ed il relativo rischio, erano palesemente insufficienti rispetto al livello di informazione quantitativa e qualitativa richieste dagli artt. 28 comma secondo del Reg. Consob, e 21 comma 1 lett a) e b) del TUF per far maturare in capo al cliente una scelta di investimento consapevole (in relazione alla sua conoscenza degli strumenti di investimento).

La Suprema Corte accoglie le doglianze

Questi motivi del ricorso, aventi tutti ad oggetto l’assolvimento degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, sono stati ritenuti pianamente fondati dalla Suprema Corte. “In tema di intermediazione finanziaria – ribadisce con forza la Suprema Corte -, grava sull’intermediario, ai sensi dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, dunque, dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione relativa ai titoli mobiliari oggetto di investimento. E, ancora, e soprattutto, gli Ermellini aggiungono che “l’intermediario non è esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo. Né, infine, la violazione di tale obbligo può ritenersi esclusa neanche in presenza di una segnalazione di non adeguatezza e di non appropriatezza, gravando sull’intermediario anche un autonomo obbligo di prestare all’investitore il corredo informativo relativo allo specifico strumento finanziario, evidenziandone le caratteristiche ed i rischi specifici”.

Anche al cliente esperto vanno spiegate natura, rendimento e ogni caratteristica del titolo

Secondo la Cassazione, pertanto, ha sbagliato la Corte d’Appello laddove ha affermato che i doveri informativi e gli adempimenti imposti all’intermediario dovrebbero essere modulati/rapportati all’effettivo bisogno di assistenza del cliente (in relazione alla sua conoscenza degli strumenti di investimento), dal momento che, ed è il cuore della sentenza, “anche al cliente cosiddetto esperto ed eventualmente aduso ad operazioni speculative (come ritenuto, nel caso di specie, dalla Banca) deve comunque fornirsi la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo, dovendo l’obbligo informativo essere rapportato allo specifico strumento di investimento che viene offerto, in concreto, al cliente, indipendentemente dalla generale (ed aspecifica) conoscenza degli strumenti finanziari da parte di costui e dalla sua condotta pregressa, al fine di consentirgli di effettuare una scelta consapevole di investimento”.

In conclusione, alla luce di tali considerazioni, “la circostanza che il funzionario della banca abbia (soltanto) informato la società investitrice del rating delle obbligazioni Argentina non appare idonea a ritenere soddisfatto l’obbligo informativo richiesto dall’art. 28 regolamento Consob, non risultando che alla stessa siano state comunicate tutte le caratteristiche ed implicazioni dello strumento di investimento prescelto, che l’intermediario deve, in primo luogo, conoscere e poi illustrare al cliente” asseriscono gli Ermellini, sottolineando peraltro come la stessa Corte d’Appello avesse dato atto della “genericità” della dicitura contenuta nella dichiarazione del 3 agosto 2000 in ordine alla consapevolezza dei rischi (non meglio precisati), “tanto è vero che, per superare tale criticità, è dovuta ricorrere all’erronea affermazione della necessità di rapportare l’obbligo informativo alle caratteristiche del cliente”. La sentenza impugnata è stata pertanto cassata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione per nuovo esame, che però andrà condotto sulla base di tali principi

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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