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Con l’ordinanza n. 9555 del 18 aprile 2018 la Corte di Cassazione è tornata sull’annosa questione dell’obbligo di comunicazione dei dati del conducente, con particolare riferimento all’ipotesi specifica in cui il proprietario del veicolo si trovi nello stato di incapacità di identificare il medesimo.

La Suprema Corte si è trovata a deliberare su un ricorso promosso dal Comune di Bari contro la proprietaria di una vettura a cui nel lontano 2007 era stata elevata una sanzione dalla polizia municipale della città pugliese per violazione dell’art. 126 bis del Codice della Strada. La donna aveva impugnato il verbale d accertamento davanti al Giudice di Pace di Bari eccependo, per quello che qui interessa, di aver comunicato tempestivamente alla Polizia Municipale di non essere in grado di indicare le generalità di chi era alla guida del veicolo di sua proprietà al momento della violazione contestata a causa sia del notevole tempo trascorso tra l’infrazione (il 06/03/07) e la notifica del verbale di accertamento (il 28/06/07), sia della circostanza che il veicolo era utilizzato, oltre che da lei, anche dal marito e dalle sue due figlie. Il Comune di Bari si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso e rilevando che, in base alla normativa vigente, il proprietario del veicolo è sempre tenuto a conoscere le generalità di colui al quale affida la conduzione del mezzo, e nel caso in cui non sia in grado di comunicarle risponde a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento del veicolo stesso.

Il Giudice di Pace nel 2008 accoglieva tuttavia il ricorso e condannava il Comune di Bari al pagamento delle spese di lite. Avverso tale decisione proponeva appello il Comune avanti il Tribunale di Bari (in foto), che tuttavia lo rigettava confermando la sentenza impugnata. A sostegno della decisione il giudice di secondo grado, richiamando i principi espressi dalla sentenza della Corte Costituzionale n.165/2008, secondo cui bisogna distinguere la condotta di chi omette del tutto di comunicare alla P.A. le generalità del conducente del veicolo al momento dell’infrazione, da quella di colui che invece comunichi l’esistenza di validi motivi idonei a giustificare l’omessa trasmissione dei dati richiesti, rilevava che nel caso di specie l’appellata non era stata in grado di fornire i dati del conducente la sua automobile, in quanto la violazione risaliva a circa quattro mesi prima rispetto alla notifica del verbale ed il veicolo era spesso utilizzato anche dal marito e dalle due figlie, tutti muniti di patente. L’omissione da parte dell’appellata era perciò legittima ed escludeva la sua responsabilità per la contestata violazione amministrativa.

L’Amministrazione comunale di Bari, tuttavia, non si dava per vinta e proponeva ricorso anche in Cassazione, che però l’ha dichiarato infondato. “Non ignora il Collegio – recita l’ordinanza – come la questione sia stata oggetto di precedenti interventi da parte di questa stessa Sezione che in varie occasioni ha avuto modo di affermare che (cfr. Cass. n. 12842/2009), in tema di violazioni alle norme del codice della strada, il proprietario di un veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti della P.A. o dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un’infrazione amministrativa. L’inosservanza di tale dovere di collaborazione è sanzionata, in base al combinato disposto degli art. 126-bis e 180 del codice della strada, alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 2005, senza che il proprietario possa sottrarsi legittimamente a tale obbligo in base al semplice rilievo di essere proprietario di numerosi automezzi o di avere un elevato numero di dipendenti che ne fanno uso”.

Premesso questo, tuttavia, gli Ermellini precisano che si tratta di “orientamento che deve essere precisato alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza interpretativa n. 165 del 2008, la cui portata, benché in molti casi anteriore a quella di deliberazione delle sentenze sopra citate, non appare essere stata presa in esame in tutte le sue implicazioni. Il giudice delle leggi in motivazione ha infatti affermato: ” che debba essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella “negativa” (cioè a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione), è una conclusione che discende anche dalla necessità di offrire della censurata disposizione, nella parte in cui richiama l’art. 180, comma 8, del medesimo codice della strada, un’interpretazione coerente proprio con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il «rifiuto» della condotta collaborativa (e non già la mera omessa collaborazione) necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali. Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare – per fugare «persistenti dubbi nell’interpretazione del testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada» – che la scelta in favore di «un’opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei “dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.»; essa, infatti, «non consentendo in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità», con conseguente «lesione del diritto di difesa», dal momento che risulterebbe preclusa all’interessato «ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta». Deve quindi reputarsi che, se resta in ogni caso sanzionabile la condotta di chi semplicemente non ottemperi alla richiesta di comunicazione dei dati personali e della patente del conducente, viceversa laddove la risposta sia stata fornita, ancorché in termini negativi, resta devoluta alla valutazione del giudice di merito la verifica circa l’idoneità delle giustificazioni fornite dall’interessato ad escludere la presunzione di responsabilità che la norma pone a carico del dichiarante

Secondo la Suprema Corte, dunque, il Tribunale, esercitando appunto tale discrezionale potere di apprezzamento in fatto, ha ritenuto di escludere la responsabilità della opponente valorizzando da un lato il decorso del tempo tra la data dell’infrazione contestata e quella della richiesta di informazioni (oltre tre mesi) e, dall’altro, la riferita presenza nel nucleo familiare della proprietaria della macchina anche di altri soggetti ordinariamente fruitori dell’autovettura, reputando in tal modo giustificata la mancata indicazione del nominativo del conducente.

La censura di violazione di legge deve pertanto reputarsi infondata avendo al contrario il giudice di appello fatto corretta applicazione della norma di cui in rubrica alla luce dell’interpretazione che ne è stata offerta dalla Consulta, risolvendosi il motivo nella sostanza in una critica, non consentita, alla valutazione in fatto del giudice di merito” aggiunge la Cassazione, che conclude ribadendo, con il rigetto del ricorso, il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’applicazione dell’art. 126 bis del codice della strada occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all’invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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