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Nel caso di pacchetti turistici “all inclusive” anche l’agenzia viaggi che lo ha venduto risponde “solidalmente” degli eventuali danni patiti dai turisti durante il soggiorno, al pari del tour operator che lo ha offerto.

Lo ha chiarito la Cassazione, con l’interessante ordinanza n. 1417/23 depositata il 18 gennaio 2023 con la quale la Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dai viaggiatori,  ha fatto chiarezza sulla normativa.

 

Famiglia vittima di intossicazione alimentare in vacanza cita agenzia viaggi e tour operator

Un famiglia aveva acquistato per l’appunto un pacchetto turistico “all inclusive” offerto tour operator Polycastrum Viaggi s.r.l., per una vacanza della durata di 8 giorni presso il Villaggio Club Capo Alaua, in Sicilia, ma due giorni dopo il suo arrivo prima un figlio, poi un altro e infine anche la mamma erano stati colpiti da una gastroenterite che li aveva costretti anche al ricovero per alcuni giorni all’ospedale, dove peraltro erano finiti altri venti ospiti della stessa struttura, anch’essi ricoverati con gli stessi disturbi intestinali, causati evidentemente da una problematica di carattere alimentare nel cibo fornito dall’albergo.

I malcapitati turisti avevano quindi citato in giudizio per essere risarciti dei danni patiti in conseguenza dell’inadempimento del contratto di compravendita del pacchetto “tutto compreso”, stipulato nel 2006  e del costo complessivo di 760 euro, l’agenzia viaggi presso la quale lo avevano acquistato e il tour operator, il quale aveva chiamato a sua volta in causa in causa la società Maragest Italia s.r.l. quale gestore che aveva commercializzato il complesso Villaggio Capo Alaua, sulla base di un contratto di fornitura di servizi alberghieri volto a garantire ai clienti della Polycastrum i servizi di tale complesso. E Maragest a sua volta aveva “tirato in ballo” quale esclusiva responsabile la società Cibus s.r.l., cui era stato affidato in gestione “il servizio di ristorazione del Villaggio.

Il tribunale di Gela aveva accolto la domanda risarcitoria ma, con sentenza del 2019, la Corte d’Appello di Caltanissetta, in accoglimento del gravame della società a cui faceva riferimento l’agenzia viaggi, in riforma della decisione di prime cure l’aveva rigettata.

La Corte di merito aveva addotto l’art. 14 del D. Lgs n. 111/1995, laddove stabilisce che “l’organizzatore e il venditore, in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, sono tenuti al risarcimento del danno secondo le rispettive responsabilità se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile”. E aveva sostenuto che questa disposizione, contrariamente a quanto aveva fatto ili giudice di prime cure, andasse interpretata nel senso che, per citare la sentenza di secondo grado, “il tour operator e l’agenzia di viaggi venditrice del pacchetto sono da intendere responsabili soltanto dell’inadempimento degli obblighi rispettivamente e personalmente assunti nei confronti del turista, sussistendo, quindi, un regime di responsabilità formalmente disgiunta e strutturalmente differenziata dell’organizzatore e del venditore, coerente con la sostanziale diversità delle funzioni economiche svolte dai due operatori turistici”.

Pertanto, secondo la Corte d’Appello, poiché l’agenza viaggi, alla quale i turisti danneggiati non avevano contestato alcunché in ordine al suo mandato professionale, si era limitata a vendere il pacchetto turistico così come proposto dal tour operator, essa non poteva in alcun modo essere ritenuta responsabile dell’eventuale inadempimento degli obblighi di organizzazione che ricadevano sul tour operator, né, tanto meno, per l’inadempimento da parte dei fornitori dei singoli servizi inclusi nel pacchetto turistico, quale quello di ristorazione erogato dal villaggio del soggiorno e a causa del quale i componenti della famiglia si erano ammalati. Non rientrava, infatti, tra le competenze dell’agenzia il sindacato di merito e la sorveglianza sui servizi erogati dai prestatori d’opera e della struttura turistica di cui il tour operator aveva deciso di avvalersi, né tantomeno la scelta dei terzi prestatori dei servizi.

 

La responsabilità solidale dell’agenzia

I danneggiati hanno quindi proposto ricorso per Cassazione denunciando “violazione e falsa applicazione” del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 93, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e dolendosi del fatto che la Corte territoriale avesse “erroneamente” escluso la solidarietà tra l’agenzia di viaggi e il tour operator Polycastrum. Secondo i ricorrenti questa esclusione, e la configurazione di un profilo di responsabilità dipendente dall’attribuzione della possibilità di controllo, in astratto e in concreto, del servizio all’origine del danno avrebbero dimostrato come il collegio non avesse realmente percepito il tipo e la natura dell’attività riservata dall’agenzia viaggi, che, per citare il ricorso, “non è un mero venditore di prodotti su catalogo ma un soggetto che svolge un’attività di impresa particolarmente qualificata, al punto da richiedere una specifica abilità tecnica, su cui il consumatore ripone pieno e totale affidamento”.

La Corte di merito non avrebbe considerato, in definitiva, come la “ratio” della disposizione relativa alla vendita dei pacchetti turistici sia quella di offrire tutela massima al turista, sotto una duplice angolazione: configurazione di una solidarietà tra agenzia viaggi e tour operator e di una responsabilità svincolata dalla possibilità di un controllo, in astratto ed in concreto, della prestazione causa del danno, mentre la diversa interpretazione accolta dalla Corte d’Appello non solo non sarebbe stata giuridicamente corretta ma si sarebbe anche mossa in una direzione contraria rispetto allo spirito del Codice del Consumo, finendo per complicare, anziché agevolare, la tutela del consumatore.

E la Cassazione ha dato loro piena ragione cogliendo l’occasione per fare chiarezza sulla normativa.  Nel contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”, che si distingue dal contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV), diversamente da quest’ultimo essendo caratterizzato dalla “finalità turistica” che ne connota la causa concreta e assume rilievo come elemento di qualificazione del contratto, ex artt. 1176, 2 co., c.c. e 2236 c.c., l’organizzatore e il venditore di pacchetti turistici sono tenuti ad una prestazione improntata alla diligenza professionale qualificata dalla specifica attività esercitata, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri del rispettivo specifico settore professionale, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura della rispettiva attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio del turista-consumatore di pacchetti turistici, nonché ad evitare possibili eventi dannosi” premette la Suprema Corte.

 

La differenza tra pacchetti all inclusive e il contratto di intermediazione di viaggio

Rispetto al contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV), precisa ancora la Suprema Corte, “in cui le prestazioni ed i servizi si profilano come separati e vengono in rilievo diversi tipi di rapporto prevalendo gli aspetti dell’organizzazione e dell’intermediazione, con applicazione in particolare della disciplina del trasporto, ovvero – in difetto di diretta assunzione da parte dell’organizzatore dell’obbligo di trasporto dei clienti – del mandato senza rappresentanza o dell’appalto di servizi, ed al di là del diverso ambito di applicazione derivante dai (differenti) limiti territoriali, il contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (o package) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per l’oggetto e la finalità”.

Il “pacchetto turistico”, che può essere dall’organizzatore alienato direttamente o tramite un venditore, risulta infatti “dalla prefissata combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa del “pacchetto turistico”, con durata superiore alle 24 ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno una notte. La pluralità di attività e servizi che compendiano la prestazione valgono in particolare a connotare la finalità che la stessa è volta a realizzare”.

Il trasporto o il soggiorno o il servizio alberghiero assumono infatti al riguardo rilievo “non già singolarmente e separatamente considerati bensì nella loro unitarietà funzionale, non potendo al riguardo prescindersi dalla considerazione dei medesimi alla stregua della “finalità turisticache la prestazione complessa di cui si sostanziano appunto quali elementi costitutivi è funzionalmente volta a soddisfare. I plurimi aspetti e profili in cui viene a compendiarsi la complessa prestazione ideata ed organizzata dal cosiddetto tour operator sono infatti funzionalizzati al soddisfacimento dei profili – da apprezzarsi in condizioni di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso – di relax, svago, ricreativi, ludici, culturali, escursionistici, ecc. in cui si sostanzia la “finalità turistica”, o lo “scopo di piacere” assicurato dalla vacanza, che il turista-consumatore in particolare persegue nell’indursi alla stipulazione del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”.

 

Responsabilità solidale in capo a organizzatore e venditore del pacchetto

Nel superare i distinguo previsti con riferimento al contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV) di cui alla Convenzione di Bruxelles del 23 dicembre 1970, “l’organizzatore e il venditore di un pacchetto turistico, secondo quanto stabilito nel D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 14, comma 2, e quindi nel D.Lgs. n. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo), art. 93, comma 2, assumono, nell’ambito del rischio di impresa, un’obbligazione di risultato nei confronti dell’acquirente, e pertanto la loro responsabilità solidale sussiste ogniqualvolta sia ravvisabile una responsabilità contrattuale diretta del prestatore di servizi nei confronti del consumatore per il servizio resogli (o non resogli)”.

Che devono risarcire i danni da inadempimento della prestazione anche se fornita da terzi

Ne consegue che, ai sensi della normativa citata, l’organizzatore e il venditore di pacchetti turistici “sono tenuti a risarcire qualsiasi danno subito dal consumatore a causa della fruizione del pacchetto turistico. Essi rispondono per il mancato o inesatto adempimento sia delle prestazioni direttamente eseguite che di quelle effettuate da prestatori di servizi della cui opera comunque si avvalgano per l’adempimento della prestazione da essi dovuta, in quest’ultima ipotesi trattandosi di responsabilità riposante nella regola generale di cui agli artt. 1228 e 2049 c.c. in base alla quale il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, anche qualora ai medesimi esclusivamente ascrivibili, e ancorché non siano alle sue dipendenze”.

In caso di mancato o inesatto adempimento delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico o package, essi sono pertanto tenuti a dare la prova che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito della propria prestazione professionale, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto ad essi non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto. “E laddove tale prova non riescano a dare, secondo la regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c. i medesimi rimangono soccombenti”.

 

La normativa del codice del consumo mira a tutelare maggiormente il consumatore-turista

Questa disciplina introdotta nel recepire la Direttiva n. 90/314/CEE e poi confluita nel Codice del consumo, spiegano gli Ermellini, ha infatti inteso tutelare il consumatore più di quanto avveniva in precedenza, con riferimento all’esclusione della responsabilità dell’intermediario o venditore per gli inadempimenti dell’organizzatore o della non rispondenza dei servizi effettivamente offerti a quelli promessi e pubblicizzati.

Fermo restando puntualizzano i giudici del Palazzaccio, che è fatto in ogni caso “salvo il diritto di rivalsa, anche nei confronti del terzo prestatore di servizi responsabile, assumendo rilievo l’inciso “secondo le rispettive responsabilità” recato dal D.Lgs. n. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo), comma 1 dell’art. 93 del e dal D.Lgs. n. 111 del 1995. comma 1 dell’art. 14 esclusivamente nella ripartizione interna tra i responsabili solidali. Responsabilità, sottolinea ancora la Cassazione, non correlata a un difetto di diligenza nella scelta del prestatore di servizi di cui si avvalga il venditore del pacchetto, ovvero alla possibilità di controllarne in concreto le modalità operative nell’esecuzione della prestazione, “trovando in quest’ultima ipotesi fondamento non già nella colpa nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza (giusta differente modello di responsabilità, proprio di altre esperienze, invero non accolto in termini generali nel nostro ordinamento), bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione, assumendo fondamentale rilevanza la circostanza che dell’opera del terzo essi comunque si avvalgano nell’attuazione della prestazione dovuta, in virtù del principio cuius commoda eius et incommoda”.

 

Un chiarimento anche sul contratto

La Suprema Corte si sofferma anche sul contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” la cui “finalità turistica” connota la sua causa concreta ed assume rilievo, oltre che come elemento di qualificazione, “anche relativamente alla sorte del contratto, quale criterio di relativo adeguamento. Al riguardo, la causa concreta viene a rivestire decisiva rilevanza altresì in ordine alla sorte della vicenda contrattuale, in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo svolgimento del rapporto, quali ad esempio l’impossibilità o l’aggravio della prestazione, l’inadempimento, ecc.” Eventi che incidono negativamente sull’interesse creditorio (nel caso, turistico) “sino a farlo venire del tutto meno laddove – in base a criteri di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso – essi depongano per l’impossibilità della relativa realizzazione”.

In tal caso, continuano i giudici del Palazzaccio, il venir meno dell’interesse creditorio “determina invero l’estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto dell’elemento funzionale (art. 1174 c.c.). E ove, come nella specie il rapporto obbligatorio trovi fonte in un contratto, il venir meno dell’interesse creditorio comporta la irrealizzabilità della causa concreta del medesimo, assumendo conseguentemente rilievo quale autonoma causa di relativa estinzione.

Il venir meno dell’interesse creditorio e della causa del contratto che ne costituisce la fonte, sottolinea al riguardo la Cassazione, “può essere invero determinata anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione”, che non deve essere (però, ovviamente) imputabile al creditore, “incidente sull’interesse che risulta anche tacitamente obiettivato nel contratto e che ne connota la causa concreta”. Trattandosi di contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”, la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve essere, come nella specie (l’intossicazione alimentare e il ricovero all’ospedale) tale da “vanificare o rendere irrealizzabile la “finalità di vacanza”, laddove irrilevanti rimangono viceversa le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto (es., desiderio di allontanarsi per un po’ dal coniuge o dalla cerchia degli amici o dall’ambiente di lavoro), in cui si sostanziano propriamente i motivi”.

 

La differenza tra impossibilità sopravvenuta della prestazione e del suo utilizzo

L’impossibilità sopravvenuta di utilizzazione della prestazione costituisce pertanto “figura diversa” dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione, “cui non è invero riconducibile”. La seconda (art. 1463 c.c.), che consiste in un impedimento assoluto ed oggettivo, a carattere definitivo, della prestazione, “integra infatti un fenomeno di automatica estinzione dell’obbligazione e risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte ai sensi dell’art. 1463 c.c. e art. 1256,1 co., c.c., in ragione del venir meno della relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima si trova con la prestazione della controparte (cosiddetto sinallagma funzionale), a tale stregua conseguendo l’irrealizzabilità della causa concreta del contratto.

L’impossibilità parziale (art. 1464 c.c.), prosegue ancora la Suprema Corte, consiste invece nel “deterioramento della cosa dovuta, o più generalmente nella riduzione materiale della prestazione, che dà luogo ad una corrispondente riduzione della controprestazione o al diritto al recesso per la parte che non abbia un apprezzabile interesse al mantenimento del contratto, laddove la prestazione residua venga a risultare incompatibile con la causa concreta del contratto.

L’impossibilità di utilizzazione della prestazione, invece, non viene in realtà a sostanziarsi in un “impedimento precludente l’attuazione dell’obbligazione, non presupponendone di per sé l’obiettiva ineseguibilità da parte del debitore. Pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile, il venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito con la stipulazione del contratto (nel caso, lo “scopo di piacere” in cui si sostanzia la “finalità turistica”), implica il venir meno dell’interesse creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del creditore”: gli Ermellini qui citano l’esempio secondo cui il fatto che il compratore si sia procurata la merce da altro fornitore non impedisce al venditore di effettuare la consegna prevista.

Mentre nelle ipotesi in cui la prestazione diviene impossibile “l’obbligazione si estingue per il concorso delle due cause estintive”, l’impossibilità sopravvenuta della utilizzabilità della prestazione “estingue invero il rapporto obbligatorio per il venir meno dell’interesse creditorio, e di conseguenza il contratto, che dell’obbligazione costituisce la fonte/ per irrealizzabilità della relativa causa concreta”.

In conclusione quindi, la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione va distinta dalla sopravvenuta impossibilità della esecuzione della prestazione. Ma, asserisce la Suprema Corte, “l’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non specificamente prevista, costituisce, analogamente all’impossibilità di esecuzione della prestazione, (autonoma) causa di estinzione dell’obbligazione.

Venendo dunque al caso specifico e alle conclusioni del discorso, i giudici del Palazzaccio rimarcano che, sulla scorta delle argomentazioni sviluppate, appare ben evidente come la “Corte di merito abbia nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi”. L’interpretazione che essa ha dato della normativa per rigettare la domanda, “nell’attagliarsi piuttosto al diverso contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio (CCV), neglige totalmente la figura del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” o package, la relativa natura e la suindicata peculiare disciplina, nonché la portata e la finalità delle modifiche introdotte dalla suindicata disciplina di recepimento della Direttiva n. 90/314/CEE”. La sentenza è stata pertanto cassata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, per un suo riesame alla luce di quanto affermato dagli Ermellini.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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