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Chi, a seguito di una violazione del Codice della Strada, dichiara che alla guida c’era persona diversa dall’effettivo responsabile, rischia una condanna per falso ideologico. Se gli agenti accertatori sono scrupolosi, o indagano sulla dichiarazione, dunque, il tentativo di salvarsi dalla decurtazione dei punti e dalla sospensione della patente potrebbe portare a conseguenze ancor più dannose, ossia rischiare fino a due anni di reclusione e, in taluni casi, non poter beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella recente sentenza n. 12779/2017 pronunciandosi sulla vicenda di una donna condannata per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico alla reclusione fino a due anni.

Dopo essere stata multata per aver utilizzato il cellulare alla guida, la donna, intestataria della vettura, aveva trasmesso una dichiarazione in cui affermava che, al momento della contravvenzione, alla guida del veicolo c’era in realtà suo padre. Dichiarazione che i giudici di merito hanno ritenuto falsa poiché, in base a quanto riferito dal verbalizzante della contravvenzione, la persona che si trovava alla guida dell’autovettura con il telefono cellulare in mano era una donna.

Inutile dunque cercare di modificare l’esito della vicenda in Cassazione: i giudici di legittimità rammentano che “il delitto di cui all’art. 483 cod. pen. sussiste allorché la dichiarazione del privato sia trasfusa in un atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti attestati, il che avviene quando la legge obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti al documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente“.

Si tratta di quanto accaduto nella situazione esaminata, spiegano gli Ermellini, poiché la dichiarazione sull’identità del conducente produce l’effetto di individuare il soggetto destinatario della sanzione amministrativa concludendo correttamente il relativo procedimento.

Quanto alla censura che la donna ha sollevato circa la ravvisabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, i giudici spiegano che dalla complessiva argomentazione riguardante la vicenda, si ricava una giustificazione implicita del disconoscimento della causa di non punibilità.

Ciò avviene, in particolare, relativamente ai richiami a fini sanzionatori alla gravità del fatto, ai precedenti penali dell’imputata e alla sfrontatezza che questa ha mostrato a fronte dell’accertamento di cui al verbale, nel quale si dava atto del sesso femminile del conducente dell’autovettura. Il ricorso è stato pertanto, integralmente rigettato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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