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Un sinistro che comporti gravissime lesioni causa un danno non solo alla persona che ne sia rimasta vittima, ma anche al coniuge, che a sua volta vede all’improvviso stravolto il rapporto di coppia: una lesione del rapporto parentale che va risarcita.

A riaffermare con forza questo recente e opportuno orientamento la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11212/19 depositata il 24 aprile.

Un terribile incidente che ha sconvolto la vita di coppia

La vicenda su cui si sono espressi gli Ermellini riguarda un grave incidente stradale in seguito al quale un giovane è rimasto macroleso.

Nella causa per il risarcimento, con riferimento alla moglie del danneggiato, il Tribunale di Milano aveva condannato la compagnia di assicurazioni dell’auto di controparte a liquidare 22mila euro a titolo di danno biologico per la situazione venutasi a creare a seguito dell’incidente del consorte.

La Corte d’Appello territoriale aveva confermato la decisione del primo giudice ritenendo che non vi fosse lesione del rapporto parentale suscettibile di valutazione in termini di compensazione mediante posta risarcitoria, sulla base della considerazione che il marito era sì macroleso, ma che comunque conservava una sua autonomia, potendo guidare un’auto (sebbene modificata), procreare e lavorare.

Contro quest’ultima sentenza ha appunto proposto ricorso per Cassazione la moglie, lamentando, in particolare, proprio il fatto che la Corte d’Appello meneghina avesse ritenuto interamente satisfattivo il risarcimento del solo danno biologico e avesse giudicato irrilevanti le prove testimoniali dedotte ai fini della dimostrazione del danno patito con riferimento a quello da lesione del rapporto parentale.

 

La Suprema Corte dà ragione ai ricorrenti

La Cassazione accoglie in pieno il ricorso.

La Suprema Corte infatti evidenzia le contraddizioni della sentenza della Corte d’appello, che da un lato ammette, “l’innegabile sconvolgimento della vita di coppia provocato dal sinistro di cui fu vittima (omissis)”, ma che dall’altro sostiene che esso “non assurge a una gravità tale da integrare quella lesione del rapporto parentale contemplata nelle tabelle dell’Osservatorio quale pregiudizio suscettibile di ristoro”.

Secondo la Corte Territoriale, quest’ultimo pregiudizio riguarderebbe le situazioni in cui un componente del nucleo familiare si trovi in condizioni di salute così gravemente compromesse da ledere in modo estremamente pesante il rapporto parentale, concludendo che “è più che verosimile che la vita dell’appellante sia oggi priva di quella serenità che la caratterizzava prima del sinistro, tanto da aver comportato un pregiudizio nella sua sfera psichica, pregiudizio che però risulta essere stato completamente ristorato con il riconoscimento del danno biologico”.

Queste affermazioni non sono logiche secondo la Cassazione, che sottolinea la gravissima invalidità permanente residuata dall’incidente, pari al 79%: una elevata percentuale di postumi permanenti il cui grado di incidenza sull’ambito dinamico-relazionale “non è stato in alcun moto valutato dalla Corte territoriale, che si è limitata ad affermare che circostanze quali la possibilità di continuare a guidare l’auto, lavorare e di procreare sarebbero di per sé elidenti qualsivoglia pregiudizio nella sfera psichica della moglie, o, quantomeno, sarebbero interamente ristorate dal riconoscimento del danno biologico proprio, in misura pari all’otto per cento”.

Insomma, la motivazione della sentenza, secondo la Suprema Corte, non soddisfa “i requisiti di accertamento e valutazione in tema di danno cosiddetto parentale di recente ribaditi da questa Corte, in fattispecie di danno parentale e con riferimento ad ipotesi in cui le vittime cosiddette secondarie allegavano pregiudizi derivanti dal peggioramento della loro situazione a seguito delle gravi lesioni riportate da loro stretto congiunto”.

 

I principi della Cassazione

E Gli Ermellini concludono (auto)citando i passi cruciali di due recenti sentenze della stessa Corte sull’argomento: “In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni vulnus arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato, all’esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche”.

E, ancora: “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva e in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta”.

La sentenza impugnata, pertanto, è stata cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà rivalutare la causa sulla base dei principi espressi dalla Cassazione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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