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La Corte di Cassazione è torna ad occuparsi di un’annosa querelle, quella della necessità o meno dell’accertamento strumentale in caso di lesioni personali lievi, le cosiddette micropermanenti, i postumi permanenti compresi tra l’1 e il 9% di invalidità, e con una sentenza cristallina, la n. 1272/2018 depositata il 19 gennaio, ha – si spera – posto definitivamente fine alla disputa: non è indispensabile.

Com’è noto, a ingenerare le divergenti interpretazioni sono nate dopo la modifica dell’art. 139 del D.L.gs. 209/2005, il Codice della Assicurazioni Provate, modificato dall’art. 32, comma 3-ter, D.L. 1/2012 (conv. con modificazioni dalla L. 27/2012) e dall’art. 1, comma 213, D.Lgs. 74/2015 e, infine, dall’art. 1, comma 19, L. 124/2017, e che ora dispone: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno permanente”.

Le variazioni al predetto art. 139 C.d.A., specie quelle relative alla necessità dell’accertamento strumentale, sono state ritenute applicabili anche ai giudizi in corso, benché avvenuti prima dell’entrata in vigore dei richiamati provvedimenti di modifica del Codice delle Assicurazioni (Cfr.: Cass. n. 18773/2016). Tuttavia, la loro portata ha condotto la giurisprudenza di merito a decisioni spesso antitetiche. In particolare, alcune corti di merito hanno ritenuto che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento strumentale e che, in mancanza, non si potrebbe procedere al relativo risarcimento.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, accadeva che con atto di citazione del giugno 2006, il conducente di un motociclo conveniva in giudizio dinnanzi al Giudice di Pace il guidatore di un’autovettura e la relativa compagnia di assicurazioni, ritenendolo responsabile del sinistro stradale subito. Quest’ultimo, nel costituirsi in giudizio, proponeva una domanda riconvenzionale con la quale pretendeva di essere risarcito dei danni materiali e fisici subiti dallo stesso conducente del motociclo, che egli riteneva invece unico responsabile dell’accaduto.

Integrato il contraddittorio con la compagnia di assicurazioni che all’epoca dei fatti copriva la responsabilità civile del motociclo, il Giudice di pace, all’esito dell’istruttoria – consistita in una prova per testimoni e in una consulenza tecnica d’ufficio volta ad accertare le lesioni fisiche riportate dal conducente dell’autovettura -, accoglieva la domanda del motociclista e condannava le controparti a risarcire il danno, con contestuale rigetto della domanda riconvenzionale.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il convenuto soccombente e il Tribunale di Benevento, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva che la responsabilità del sinistro fosse esclusivamente riconducibile alla condotta di guida del conducente del motociclo e, pertanto, lo condannava in solido alla compagnia di assicurazioni al risarcimento del danno materiale, con esclusione di quello fisico, per il quale la domanda risarcitoria è stata respinta, trattandosi – recita la sentenza – “di una lesione del rachide cervicale non suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo, alla luce della previsione dell’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, b. 209”.

Di qui il ricorso per Cassazione dell’automobilista, che ha lamentato la mancata liquidazione del danno biologico eccependo, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 139, comma 2, D.Lgs. 209/2005.

Es è appunto qui che la Suprema Corte fornisce un chiarimento definitivo sulla questione. La Cassazione, con la sentenza n. 1272 del 19 Gennaio 2018, in relazione all’interpretazione da attribuire all’art. 139 CdA, premette come “questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi con la recente sentenza 26 settembre 2016, n. 18773. In tale pronuncia – nella quale, peraltro, si doveva giudicare in relazione ad un tipo di patologia ben diversa da quella di cui al ricorso odierno, e per di più accertata da un sanitario di guardia di un pronto soccorso ospedaliero – la Corte ha affermato che le citate norme si applicano anche ai giudizi in corso (richiamando, sul punto, la sentenza n. 235 del 2014 della Corte costituzionale). Ha poi precisato che la ratio delle medesime norme va tratta assumendo come punto di riferimento la previsione degli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 e, in particolare, la previsione del comma 2 dell’art. 139 secondo cui “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale”.

Ciò premesso, la Corte precisa come, in relazione alle novità introdotte nell’anno 2012, il legislatore abbia inteso sollecitare una prova rigorosa in merito all’accertamento effettivo dell’esistenza delle patologie lamentate, specie quelle di piccola entità contenute entro la soglia del 9%, in considerazione del fatto che tali procedimenti civili, ai fini statistici, sono tra i più numerosi in assoluto. E pur tuttavia aggiunge e sottolinea: “Il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale; come già ha avvertito la citata sentenza n. 18773 del 2016, infatti, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale svolto in conformità alle leges artis a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile. E l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza”.

Appare evidente, pertanto, che la norma in discussione deve essere interpretata nel senso “di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l’accertamento strumentale risulta, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede”.

Ciò posto, nel merito della questione attinente una lesione del rachide cervicale, il cosiddetto “colpo di frusta”, il Ctu non può limitarsi ad accertarla sulla base di quanto riferito dal danneggiato in virtù del maggiore o minore dolore percepito, essendo l’esame strumentale, in simili casi, lo strumento dirimente. Nel caso in questione, però, il giudice d’appello, in concreto, si è limitato a escludere il risarcimento a causa della mancanza dell’accertamento clinico strumentale senza convocare il Ctu per chiarimenti o per un eventuale accertamento supplementare, ponendo in questo modo a carico del danneggiato un ulteriore onere probatorio “che neppure sussisteva nel momento in cui il giudizio fu incardinato”.

Il ricorso, pertanto, è stato accolto e la sentenza cassata con rinvio al Tribunale di Benevento, in persona di un diverso magistrato, il quale dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.

In conclusione, fermo restando che l’accertamento strumentale in molti casi risulterà, con ogni probabilità, lo strumento decisivo per il consulente del giudice, da questa pronuncia viene confermato e rafforzato “il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista, di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile, che poi è ciò che la legge attualmente richiede”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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