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Premesso che i limiti di velocità andrebbero sempre rispettati, indipendentemente dai controlli, se qualche utente della strada pensa di impugnare una multa comminatagli tramite un autovelox “mobile” contestando la distanza inferiore ai “presunti” minimi di legge tra il dispositivo e i segnali di avviso dello stesso, è bene che cambi proposito.

Con l’ordinanza n. 26959/22 depositata in cancelleria il 14 settembre 2022, la Cassazione, sesta sezione civile, ha chiarito che sì l’avvertimento ci deve essere, che va data preventiva informazione agli utenti della strada del rilevamento in corso, pena la nullità delle sanzioni, ma ha anche precisato che nel caso di apparecchi non fissi ma mobili la normativa non stabilisce una distanza precisa, imponendo solo l’installazione dei cartelli con adeguato anticipo. 

 

Un automobilista impugna una multa per l’inadeguata segnalazione dell’autovelox 

La vicenda. Un automobilista aveva proposto opposizione contro un verbale con cui la polizia locale del Comune brindisino di Villa Castelli aveva accertato, a mezzo per l’appunto di apparecchiatura elettronica (l’autovelox), che egli, in violazione dell’art. 142 comma 8 del Codice della Strada, stava procedendo a una velocità oltre il limite stabilito per quella strada extraurbana, per la cronaca l’Appia. Il giudice di Pace aveva accolto la sua domanda, ma il tribunale di Brindisi, in accoglimento dell’appello del Comune, aveva rigettato l’opposizione, rilevando che l’arteria percorsa era, appunto, una strada extraurbana con limite di velocità di 90 km h e che l’apparecchio di rilevamento utilizzato permetteva la rilevazione dell’infrazione ad avvenuto transito del veicolo, dovendo pertanto escludersi che, a fronte di un mezzo “lanciato a 113 kmh”, fosse possibile procedere a una contestazione immediata in sicurezza. 

Quanto alla censura da parte dell’automobilista di omessa o inadeguata segnalazione dell’installazione dell’apparecchiatura elettronica di rilevamento della velocità”, il tribunale aveva osservato come nel verbale di accertamento gli agenti avessero dato atto di aver posizionato la segnaletica mobile (recante la dicitura “controllo elettronico della velocità”) ad una distanza di almeno 250 metri lineari, provvedendo ad effettuare apposito “rilievo fotografico”, prodotto in giudizio dal Comune, dal quale emergeva “l’idoneità della segnaletica, sia per tipologia che per collocazione, a rendere edotti gli automobilisti della presenza del predetto sistema di rilevamento della velocità”, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b) del d.l. n. 117 del 2007, conv. con I. 160 del 2007, e del d.m. del 13/6/2017 e dell’obbligo, ivi previsto, di rendere visibili le segnaletiche fisse ed automatiche. 

L’automobilista sanzionato ha allora proposto ricorso anche per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., dell’art. 142, comma 6 bis, del codice della strada e dell’art. 79, comma 3, del d.P.R. n. 495 del 1992 nonché dell’art. 7 della Circolare del Ministero dell’Interno del 14/8/2009, n. 300/A/10307/09/144/5/20/3, parte I, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e censurando la sentenza impugnata laddove non avrebbe considerato che la S.S. 7 Appia aveva tutte le caratteristiche per essere classificata, a norma dell’art. 2, comma 3, del Codice della strada, come “strada extraurbana principale”, mentre il verbale non conteneva alcuna indicazione del decreto prefettizio previsto dall’art. 4 della I. n. 168 del 2002, per autorizzare la rilevazione elettronica della velocità. 

Inoltre, aveva contestato che la segnalazione del rilevamento fosse stata collocata nella realtà alla distanza minima di 250 metri prevista dalla legge: a suo dire lo stesso Comune avrebbe dichiarato che l’apposito cartello di pre-segnalazione della postazione di rilevamento era stato allocato a circa 160-170 metri dall’apparecchiatura elettronica, circostanze che si sarebbe potuta evincere anche dalla documentazione fotografica recante la sottoscrizione del comandante della polizia locale la quale avrebbe dimostrato, con efficacia di prova legale, che, in realtà, la distanza effettiva tra il cartello di pre-segnalazione e lo strumento di rilevazione era di circa 150 metri. In questo modo, trattandosi di “strada extraurbana principale”, non sarebbe stata rispettata la distanza minima che doveva intercorrere tra la segnaletica mobile e l’apparecchiatura di rilevazione pari, sempre secondo la tesi difensiva, a norma dell’art. 79, comma 3, del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, a 250 metri.

Per la Cassazione tuttavia i motivi di doglianza sono infondati. La Suprema Corte ricorda che in tema di sanzioni amministrative conseguenti al superamento dei limiti di velocità accertato mediante autovelox, la mancata indicazione degli estremi del decreto prefettizio nella contestazione differita “integra, in effetti, un vizio di motivazione del provvedimento sanzionatorio che pregiudica il diritto di difesa e non è rimediabile nella fase eventuale di opposizione, potendo essere desumibili le ragioni che hanno reso impossibile la contestazione immediata solo dal detto decreto, cui è rimesso, ma solo se si tratta di strade diverse dalle autostrade o dalle strade extraurbane principali, individuare, a norma dell’art. 4, commi 1 (in fine) e 2, della I. n. 168 del 2002, i tratti ove questa è ammissibile”. 

 

Le extraurbane principali non richiedono per i dispositivi elettronici il decreto prefettizio 

Nel caso in esame, tuttavia, la Suprema corte evidenzia come sia lo stesso il ricorrente ad aver espressamente ammesso che la strada sulla quale la violazione era stata accertata doveva essere classificata come una extraurbana principale, “ed è noto come, in forza del combinato disposto degli artt. 201, comma 1 quater, del codice della strada e 4, comma 2, del d.l. n. 121 del 2002, conv. nella I. n. 168 del 2002, i motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata, se si tratta di autostrade o strade extraurbane principali, di cui al comma 1, ovvero singoli tratti di esse, sono direttamente evincibili dalle disposizioni di legge che li reputano in via generale sussistenti in base alle caratteristiche della circolazione, mentre solo per le strade diverse dalle surricordate non possono non essere desumibili che dal solo decreto prefettizio cui è rimesso individuarne i tratti ammissibili tenendo conto del tasso di incidentalità, delle condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico per le quali non è possibile il fermo di un veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico o all’incolumità degli agenti operanti e dei soggetti controllati” (così, sempre, art. 4, comma 2, cit.)”. 

Il tribunale, pertanto, laddove ha ritenuto che, a fronte di “un veicolo lanciato a 113 kmh” e di un apparecchio di rilevamento della velocità che “permette la rilevazione dell’infrazione ad avvenuto transito del veicolo“, non era possibile procedere ad una contestazione immediata in sicurezza, ha correttamente escluso ogni rilievo al fatto che, trattandosi di una “strada extraurbana principale”, il verbale impugnato non contenesse alcuna indicazione del decreto prefettizio previsto dall’art. 4, comma 2, della I. n. 168 cit.. 4.4. 

 

L’obbligo di pre-segnalazione del dispositivo

Quanto all’aspetto che più preme, quello della pre-segnalazione, la Suprema corte ricorda il principio secondo cui “la legittimità delle sanzioni amministrative irrogate per eccesso di velocità, accertato mediante autovelox è subordinata alla circostanza che la presenza della postazione fissa di rilevazione della velocità sia stata preventivamente segnalata. In materia di accertamento di violazione delle norme sui limiti di velocità, compiuta a mezzo di autovelox, infatti, l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 121 del 2002, conv. in I. n. 168 cit., secondo cui dell’installazione dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo deve essere data preventiva informazione agli automobilisti, non prevede un obbligo rilevante esclusivamente nell’ambito dei servizi organizzativi interni della pubblica amministrazione, ma è finalizzato ad informare gli automobilisti della presenza dei dispositivi di controllo medesimi, onde orientarne la condotta di guida e preavvertirli del possibile accertamento di infrazioni, con la conseguente nullità della sanzioni eventualmente irrogata in violazione di tale previsione

L’art. 4 della I. n. 168 cit. si configura, pertanto, come una “norma imperativa”, la cui cogenza è desumibile anche dal suo innesto successivo direttamente nel corpo del codice della strada, essendo stato inserito, per effetto dell’art. 3, comma 1, lett. b), del d.l. n. 117 del 2007, conv., con modifiche, nella I. n. 160 del 2007, il nuovo comma 6bis nel testo dell’art. 142 del predetto codice, alla stregua del quale “le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all’impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione” dello stesso codice. 

Con la stessa disposizione innovativa, prosegue la Suprema Corte, l’individuazione delle modalità di impiego è stata rimessa ad apposito decreto del ministro dei trasporti, di concerto con il ministro dell’interno, il primo dei quali, adottato con d.m. del 1.5/8/2007, ha previsto, in particolare, che “i segnali stradali e i dispositivi di segnalazione luminosi devono essere installati con adeguato anticipo rispetto al luogo ove viene effettuato il rilevamento della velocità, e in modo da garantirne il tempestivo avvistamento, in relazione alla velocità locale predominante” e che “la distanza tra i segnali o i dispositivi e la postazione di rilevamento delle velocità deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi …” (art. 2, comma 1). 

Dunque, la preventiva segnalazione univoca ed adeguata della presenza di sistemi elettronici di rilevamento della velocità costituisce “un obbligo specifico ed inderogabile degli organi di polizia stradale demandati a tale tipo di controllo, imposto a garanzia dell’utenza stradale, la cui violazione, pertanto, non può non riverberarsi sulla legittimità degli accertamenti, determinandone la nullità, poiché, diversamente, risulterebbe una prescrizione priva di conseguenze, che sembra esclusa dalla stessa ragione logica della previsione normativa, laddove si afferma, espressamente, che gli indicatori preventivi della presenza degli autovelox “devono essere installati con adeguato anticipo“, senza, quindi, lasciare alcun margine di discrezionalità alla pubblica amministrazione circa la possibile elusione di questo accorgimento o in ordine alla facoltà di ricorrere a sistemi informativi alternativi che, però, non assicurino la medesima trasparenza nell’inerente attività di segnalazione. 

In altri termini, la ratio della preventiva informazione in questione secondo le modalità indicate dalla legge (anche mediante gli strumenti attuativi dei decreti dei competenti ministeri) è rinvenibile “nell’obbligo di civile trasparenza gravante sulla pubblica amministrazione, il cui potere sanzionatorio, in materia di circolazione stradale, non è tanto ispirato dall’intento della sorpresa ingannevole dell’automobilista indisciplinato, in una logica patrimoniale captatoria, quanto da uno scopo di tutela della sicurezza stradale e di riduzione dei costi economici, sociali ed ambientali derivanti dal traffico veicolare, anche mediante l’utilizzazione delle nuove tecnologie di controllo elettronico”.

 

La distanza minima di un km però vale solo per gli autovelox fissi

D’altra parte, però, fanno notare i giudici del Palazzaccio, l’art. 25, comma 2, della I. n. 120 del 2010, nel prevedere che i dispositivi ed i mezzi tecnici di controllo finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme dell’art. 142 del codice della strada debbano essere collocati ad almeno un chilometro dal segnale stradale che impone il limite di velocità, ha inteso riferirsi “unicamente ai casi in cui i dispositivi siano finalizzati al controllo remoto delle violazioni, e cioè siano collocati ai sensi del citato art. 4 del d.l. n 121 cit. (come convertito in legge) e, perciò, non riguarda i casi in cui l’accertamento dell’illecito sia effettuato con apparecchi elettronici mobili presidiati con la presenza di un organo di polizia stradale, la cui distanza deve essere soltanto adeguata e non è, quindi, da ritenersi prefissata normativamente. Tale interpretazione, invero, si pone in un rapporto di coerenza logica con la ragione giustificatrice sottesa alla norma di cui al comma 2 dell’art. 25 della citata I. n. 120 cit., che corrisponde a quella di consentire all’utente stradale di disporre di elementi per poter avvistare, in tempo utile, la prescrizione relativa al mutamento del limite di velocità, al fine di regolare quest’ultima in condizioni di sicurezza, ovvero in conformità alla valutazione prudenziale predeterminata ex ante dall’ente proprietario o gestore del tratto stradale. 

Pertanto, nel caso di dispositivi completamente automatici, tali elementi si sostanziano unicamente nell’apposizione del cartello segnalatore della velocità, onde si profila congruo imporre una “determinata ed ampia distanza” tra il segnale e la postazione di rilevamento (pari, per l’appunto, ad almeno un chilometro). Viceversa, nell’ipotesi di accertamento eseguito con modalità manuale mediante apparecchi elettronici nella diretta disponibilità della polizia stradale e dagli stessi agenti gestiti con la presenza in loco, quest’ultima predisposizione rappresenta “un elemento ulteriore, rispetto al punto in cui risulta apposto il cartello indicatore del limite di velocità, per effetto del quale l’utente è messo nelle condizioni di avvistare, con maggiore anticipo, la stessa posizione di rilevamento, così rimanendo giustificata l’esclusione dell’osservanza del predetto limite di un chilometro previsto dall’art. 25, comma 2, della I. n. 120 cit.

Nel caso in esame, il rilevamento elettronico, alla luce di quanto incontestatamente accertato dal giudice di merito, è stato effettuato con apparecchio mobile manualmente approntato e fatto funzionare, “per cui non doveva rispettarsi il menzionato limite di un chilometro, dovendosi, piuttosto, ritenere sufficiente, per il tipo di strada in cui era stato eseguito l’accertamento (classificata, come detto, come “strada extraurbana principale”), osservare una distanza solo “adeguata” dal punto di installazione dell’apparato a quello del concreto rilevamento della velocità, in modo da garantirne il tempestivo avvistamento”. 

 

Per i velox mobili non è prescritta una distanza specifica ma solo “con congruo anticipo”

E qui i giudici del Palazzaccio chiariscono che la distanza tra segnali stradali o dispositivi luminosi e la postazione di rilevamento con modalità manuale deve essere valutata in relazione allo stato dei luoghi, “senza che assuma alcun rilevo la mancata ripetizione della segnalazione di divieto dopo ciascuna intersezione per gli automobilisti che proseguano lungo la medesima strada”. In tale contesto è, dunque, sufficiente che il giudice di merito accerti, in coerenza alle finalità perseguite dalla disposizione di cui all’art. 4 del d.l. n. 121 del 2002, conv. in I. n. 168 del 2002, l’effettiva esistenza di un cartello premonitore sulla strada percorsa e la sua “collocazione a congrua distanza rispetto alla postazione di rilevazione della velocità, in modo che l’avvertimento, come poi confermato dell’art. 2 del d.m. 15/8/2007, possa ritenersi effettivo: in materia di accertamento di violazioni delle norme sui limiti di velocità, compiuta a mezzo di apparecchiatura di controllo, comunemente denominata autovelox, l’art. 2 del d.rn. 15/8/2007 (secondo cui dell’installazione dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo deve essere data preventiva informazione agli automobilisti), “non stabilisce, infatti, una distanza minima per la collocazione dei segnali stradali o dei dispositivi di segnalazione luminosi ma, com’è accaduto nel caso in esame, solo l’obbligo della loro istallazione con adeguato anticipo rispetto al luogo del rilevamento della velocità, in modo da garantirne il tempestivo avvistamento”. Il che di fatto supera anche le contestazioni circa i 250 metri di distanza effettivi, con conseguente rigetto definitivo dell’opposizione alla multa.

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