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Non è necessario che un’assicurazione sulla vita stipulata contestualmente ad un mutuo con una banca, per godere delle maggiori tutele di legge previste per questa fattispecie di polizze,  venga espressamente prevista nel contratto di mutuo come conditio sine qua non per la sua sottoscrizione: vanno ricompresi in generale tutti i contratti assicurativi che siano “connessi” o “condizionati” a un contratto di mutuo.

Con un’ordinanza di capitale rilievo, la n. 2989/2022 depositata l’1 febbraio 2022, la Cassazione prende atto, e ne trae le dovute conseguenze sul piano normativo, di una ben nota e discussa prassi da parte degli istituti di credito, quella cioè di pretendere di fatto da chi richiede un finanziamento di stipulare a sua garanzia anche una polizza vita.

L’assicurazione nega l’indennizzo di una polizza vita stipulata contestualmente a un mutuo

Il particolare caso in questione è quello di una psicologa veneziana che il 6 maggio 2013 (le date non sono superflue) aveva stipulato con Volksbank un mutuo fondiario destinato all’acquisto di un immobile e, contestualmente, aveva contratto un’assicurazione sulla sua vita, per il caso di morte, con la società Arca Vita s.p.a.: stipula che era avvenuta per il tramite dell’istituto di credito mutuante.

La donna aveva indicato quale beneficiario, in caso di decesso del cosiddetto “portatore di rischio”, il suo compagno: la polizza avrebbe avuto decorrenza dal 2 luglio 2013. Purtroppo alla contraente, pur avendo appena 47 anni, nel mese di agosto dello stesso anno venne diagnosticato un male incurabile e il 25 dicembre del 2013 venne a mancare. 

La contraente era mancata pochi giorni prima del periodo di carenza fissato in sei mesi

L’assicurazione, tuttavia, rifiutò il pagamento dell’indennizzo, sostenendo che il contratto prevedeva un periodo di carenza, cioè l’arco temporale che intercorre fra la data di sottoscrizione della polizza e l’effettiva decorrenza delle garanzie in essa contenute (in buona sostanza il periodo di inoperatività) di sei mesi dalla decorrenza del contratto. Essendo questa, come detto, fissata il 2 luglio 2013, i sei mesi non erano ancora trascorsi al momento della morte della donna, avvenuta otto giorni prima della scadere del periodo di carenza.

Secondo il compagno della donna, tuttavia, questa eccezione era infondata, dal momento che il periodo di carenza previsto nel contratto non poteva eccedere la durata di 90 (e non 180) giorni, secondo quanto stabilito dall’articolo 1 del Regolamento Isvap (l’Istituto di vigilanza sulle Assicurazioni, oggi Ivass) 40/12. Di qui la citazione in causa da parte del beneficiario nei confronti di Arca.

 

Per le polizze vita legate ai mutui il periodo di carenza è 90 giorni

Con sentenza del 2 febbraio 2016, il Tribunale di Venezia accolse la domanda, sul presupposto che nel caso di specie vi fosse appunto uno “stretto collegamento” tra il contratto di mutuo e il contratto di assicurazione, e che in tale ipotesi l’articolo 1, lettera h, del regolamento Isvap 40/12, imponeva che il periodo di carenza non eccedesse i 90 giorni.

La società assicuratrice tuttavia appellò la decisione e, con sentenza del 3 gennaio 2019, la Corte d’appello di Venezia accolse il gravame e rigettò la domanda del compagno della donna.  A parere della Corte territoriale la clausola contrattuale che prevedeva un periodo di carenza andava qualificata come clausola di delimitazione del rischio, e di conseguenza non aveva natura vessatoria, per i fini di cui all’articolo 1341 c.c. Inoltre, l’articolo 1, lettera h, del Regolamento Isvap 40/12, che imponeva un periodo massimo di carenza di 90 giorni, non sarebbe stato applicabile al caso di specie.

 

Inapplicabile il regolamento Isvap, il mutuo non imponeva espressamente una polizza vita

Secondo la Corte d’appello, in particolare, quel regolamento trovava applicazione (e di conseguenza si sostituiva ope legis ai patti contrattuali eventualmente difformi) solo quando la banca erogatrice del mutuo avesse preteso, quale condizione per la stipula del contratto, che il mutuatario stipulasse altresì una assicurazione sulla vita. “Al di fuori di queste ipotesi – avevano concluso i giudici di secondo grado – non vi sono motivi per applicare alla clausola di carenza la diversa e minore durata del periodo di inoperatività della copertura assicurativa previsto dal regolamento Isvap“. In conclusione, per la Corte d’appello il mutuo stipulato non conteneva alcun patto che ne subordinasse la validità o l’efficacia alla stipula di una assicurazione sulla vita, né in quel contratto compariva il nome del beneficiario della polizza. Di conseguenza, concludevano i giudici territoriali, “non è ravvisabile alcun collegamento diretto o indiretto tra i due contratti“.

Contestata la interpretazione restrittiva dei giudici di appello

Il beneficiario a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione tornando innanzitutto a lamentare la violazione del già citato articolo 1 del regolamento Isvap 40/12 e sostenendo che, in virtù di tale norma, si sarebbe dovuta dichiarare nulla la clausola n. 12 delle condizioni generali di assicurazione, la quale, come già detto, subordinava il pagamento dell’indennizzo ad un periodo di carenza di sei mesi.

Ad avviso del ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, nessuna norma di legge avrebbe stabilito che il regolamento 40/12 potesse applicarsi solo nel caso in cui il contratto di mutuo subordinasse espressamente, con una clausola ad hoc, l’erogazione della somma alla stipula di un’assicurazione sulla vita. Di conseguenza, l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale sarebbe stata contraria non solo alla lettera della legge, cioè alla sua interpretazione letterale, ma anche alla sua ratio, ovverosia quella di contrastare di pratiche formalmente rispettose, ma sostanzialmente elusive, delle prescrizioni normative dettate a tutela della libertà negoziale del mutuatario.

 

La sentenza impugnata contrasta con la lettura della legge

Ebbene, secondo la Suprema Corte il motivo è fondato. L’interpretazione della Corte d’appello, nel ritenere che i contratti di assicurazione soggetti alle previsioni del Regolamento Isvap 40/12 siano soltanto quelli la cui stipula costituisce condizione di efficacia d’un contratto di mutuo, non può essere condivisa secondo gli Ermellini, proprio perché in contrasto con la lettera e con la ratio della legge.

In primo luogo la sentenza impugnata contrasta con la lettera della legge” spiegano i giudici del Palazzaccio, citando per esteso l’art. 1, comma 1, del Regolamento Isvap 40/12, che recita: “il contratto di assicurazione sulla vita di cui all’articolo 28, comma 1, del decreto legge 24 gennaio 2012, n.1, convertito con legge 24 maggio 2012, n. 27 soddisfa i seguenti contenuti minimi: (…) h) periodo di “carenza”: esclusione della carenza in caso di visita medica; negli altri casi, carenza non superiore a 90 giorni dalla decorrenza della copertura assicurativa“.

La norma, dunque – prosegue la Cassazione – delimita il proprio ambito di applicazione rinviando all’art. 28, comma 1, d.l. 1/12”. Il quale nel testo vigente alla data della stipula del contratto (e cioè anteriore alle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 135, della legge 4 agosto 2017, n. 124) aveva la seguente rubrica: “assicurazioni connesse all’erogazione di mutui immobiliari e di credito al consumo”, e il testo recitava: “le banche (…) se condizionano l’erogazione del mutuo immobiliare (…) alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita sono tenute a sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili alle banche (..) stesse. Il cliente è comunque libero di scegliere sul mercato la polizza sulla vita più conveniente che la banca è obbligata ad accettare senza variare le condizioni offerte per l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo“.

 

Regolamento e periodo di carenza di 90 giorni valgono per tutte le polizze “connesse” ai mutui

Dal punto di vista strettamente letterale, dunque – sottolinea la Suprema Corte -, se è vero che il testo della norma parla di “mutui condizionati alla stipula di un contratto di assicurazione”, non è men vero che la rubrica della norma recita più generalmente: assicurazioni connesse all’erogazione di mutui”. E la Cassazione aggiunge anche che in più occasioni la Suprema Corte ha ritenuto che “la rubrica d’una norma di legge costituisce anch’essa un elemento dal quale l’interprete, nei casi dubbi, non può prescindere, ed essa va valorizzata in particolar modo proprio quando abbia una formulazione generica e lata, più ampia delle previsioni contenute nel testo della norma”.

Nel caso di specie, pertanto, “il riferimento alla “connessione” tra contratto di mutuo e polizza assicurativa, contenuto nella rubrica dell’art. 28 d.l. 1/12, impediva di ritenere che tale norma si applicasse soltanto ai contratti di mutuo contenenti una clausola espressa che ne subordinasse l’efficacia alla stipula d’una assicurazione” chiariscono gli Ermellini.

Ma i giudici del Palazzaccio si soffermano anche sul palese contrasto tra l’interpretazione della sentenza impugnata e la “ratio”dell’art. 28 d.l. 1/12 e della norma secondaria che ad esso ha dato attuazione (e cioè, per l’appunto, l’art. 1, comma 1, lettera h, Reg. Isvap 40/12). Un ratio che, aggiunge la Cassazione, emerge con evidenza dalla storia di tale norma.

 

Le pratiche scorrette delle banche sui mutui e le polizze assicurative di fatto imposte

Infatti, ne ripercorre le tappe la Suprema Corte, sin dal 2009 l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato e l’ISVAP, nei settori di rispettiva competenza, rilevarono il diffondersi di pratiche commerciali scorrette o aggressive nell’erogazione di mutui fondiari.

L’Autorità Garante avviò un’indagine dalla quale emerse che alcuni istituti di credito avevano subordinato di fatto la concessione di finanziamenti alla sottoscrizione, da parte del mutuatario, di polizze assicurative aventi quale beneficiario l’istituto erogante, a copertura dei rischi di decesso, invalidità permanente, inabilità temporanea totale, malattia grave e perdita d’impiego, pur rappresentando nei relativi materiali pubblicitari e documentazione pre-contrattuale e contrattuale il carattere facoltativo di tali coperture

Contemporaneamente l’ISVAP avviò un’indagine sulla distribuzione delle polizze assicurative abbinate a mutui e prestiti personali, dalla quale emerse che le polizze abbinate a mutui e prestiti erano sovente di fatto imposte dalla banca e dagli intermediari finanziari al cliente, quale condizione per accedere al mutuo o al prestito; che le polizze erano vendute quasi esclusivamente con la formula del premio unico, da pagare anticipatamente all’atto della stipula del mutuo, di norma aggiungendo il premio assicurativo all’importo mutuato; che la banca richiedeva al cliente di essere designata come beneficiaria o vincolataria delle prestazioni offerte dalla polizza, conseguendo lo scopo di garantirsi la protezione della posizione creditoria, la riduzione del capitale di vigilanza, l’immediatezza della riscossione in caso di sinistro; che la banca perseguiva tali scopi addossando il costo della polizza al cliente e richiedendo l’applicazione di provvigioni esorbitanti; che a causa di tali politiche di prezzo, le polizze in abbinamento a mutui o prestiti presentavano aliquote provvigionali più elevate in media del 44% rispetto a quelle distribuite dagli agenti.

 

Gli interventi normativi per contrastare tale prassi

A fronteggiare questo stato di cose intervenne dapprima l’ISVAP, con due atti normativi di identico contenuto: l’art. 52 del Regolamento 26 maggio 2010 n. 35, che sarà annullato dal Giudice Amministrativo per un vizio procedurale, e successivamente l’art. 1 bis del Provvedimento 6 dicembre 2011 n. 2946 (anch’esso successivamente annullato dal Giudice Amministrativo, ma solo con riferimento alle polizze abbinate ai contratti di leasing, non a quelli di mutuo). Con tali provvedimenti l’ISVAP vietò agli intermediari assicurativi di assumere, anche indirettamente, la contemporanea qualifica di intermediario e beneficiario (o vincolatario) dell’indennizzo dovuto in virtù della polizza stipulata per loro tramite. Il Regolamento, come si legge nella relazione che lo accompagnava, aveva lo scopo di prevenire conflitti di interessi, facilitare la mobilità del mercato dei mutui, colmare le asimmetrie informative tra imprese, intermediari e debitori.

Lo stesso giorno in cui l’ISVAP adottò il Provvedimento 2946/11 intervenne anche il legislatore. Con l’art. 36 bis d.l. 6.12.2011, n. 201 (convertito dalla 1. 22.12.2011, n. 214) venne inserito nell’art. 21 del Codice del consumo (d. lgs. 206/05) un nuovo comma 3 bis, il quale stabilì che “è considerata scorretta la pratica commerciale di una banca, di un istituto di credito o di un intermediario finanziario che, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una polizza assicurativa erogata dalla medesima banca, istituto o intermediario“.

Pochi giorni dopo il d.l. 201/11, infine, venne emanato il d.l. 24.1.2012 n. 1 (convertito nella 1. 24.3.2012 n. 27), il cui art. 28 ha dettato la regola in discussione nella causa in questione. Nella relazione accompagnatoria del progetto di legge presentato al Senato per la conversione del decreto 1/12 (p.d.l. AS-3110) si legge che esso venne adottato (anche) al fine favorire la concorrenza nel settore bancario e assicurativo; ridurre le rendite di posizione; abbassare il divario fra costi e profitti, nocivo per i consumatori.

 

I requisiti “minimi” dei contratti assicurativi collegati al mutuo dettati dal regolamento Isvap

Nella Scheda tecnica di accompagnamento del P.d.l., infine, si afferma apertamente che la norma “è diretta a modificare la prassi bancaria consistente nell’abbinamento automatico tra erogazione di mutuo immobiliare e polizza vita, senza che al cliente sia offerta la possibilità di effettuare un confronto tra diversi preventivi“. A tal fine l’art. 28 volle contrastare il fenomeno dell’abbinamento (il cosiddetto binding) tra mutui e assicurazioni sulla vita in due modi: vietando alle banche di imporre al cliente la stipula con un’assicurazione del gruppo (art. 28, comma 1); demandando all’Isvap di stabilire quali dovessero essere i requisiti minimi di tali contratti (art. 28, comma 2).

L’evoluzione normativa svela che gli scopi dell’art. 28 d.l. 1/12 furono molteplici, così riassumibili: prevenire pratiche scorrette, aggressive o abusive da parte del mutuante; garantire al mutuatario la libertà di scegliere la compagnia con cui assicurarsi; evitare che il mutuante trasferisse il rischio d’impresa sul mutuatario, addebitandogli per di più il costo della traslazione del rischio (e cioè il premio assicurativo).

 

Il contratto non conforme al Reg. Isvap 40/12 è nullo laddove la banca l’abbia di fatto imposto

Qualunque norma va interpretata in modo conforme alla sua ratio – ribadisce la Cassazione – L’art. 28 d.l. 1/12 (e il Regolamento 40/12, che ad esso ha dato attuazione) vanno dunque interpretati nel senso che il contratto di assicurazione non conforme al Reg Isvap 40/12 sarà nullo – con sostituzione automatica delle sue clausole, ex art. 1339 c.c. – in tutti i casi in cui la banca mutuataria abbia anche solo di fatto imposto al cliente la stipula della polizza o comunque limitato la sua libertà di scelta, a prescindere dal dato formale della presenza o dell’assenza, nel contratto di mutuo, di una clausola che ne subordini l’efficacia alla stipula di un contratto di assicurazione.

Si avrà imposizione di fatto, ad esempio, quando al mutuatario sia lasciato intendere che la stipula della polizza accelererà la pratica; quando non gli sia data alcuna facoltà di scelta dell’assicuratore, né alcuna informazione sul diritto di sceglierne altri; quando i patti del mutuo e dell’assicurazione denotino che l’interesse assicurato, di cui all’art. 1904 c.c., è solo o prevalentemente quello del mutuante a garantirsi contro il rischio di insolvenza del debitore; quando, infine, la stipula della polizza sia indotta con condotte opache, ordite ad decipiendum alterum”.

Perciò la Corte d’appello, rilevata la mancanza nel contratto di mutuo di una clausola che ne subordinasse l’efficacia alla stipula d’una polizza assicurativa, ha errato concludendo per questo solo motivo per l’inapplicabilità al caso di specie del Regolamento 40/12. “Avrebbe dovuto, invece, indagare – obiettano i giudici del Palazzaccio -, anche d’ufficio, trattandosi di questione di nullità, e in base naturalmente alle prove offerte, se nel caso di specie la stipula del contratto di assicurazione sulla vita fu di fatto imposta dalla banca, oppure la polizza fu semplicemente “offerta”, lasciando al mutuatario la facoltà di scegliere se accettarla o meno”.

 

Respinto il controricorso della compagnia assicurativa

La Cassazione esamina anche le deduzioni svolte dalla società di assicurazioni, che ha  proposto controricorso, nella memoria depositata, ritenendo che esse non consentano di superare questi rilievi. Arca Vita ha sostenuto, per supportare le proprie ragioni, che nel caso di specie non esisteva alcun collegamento negoziale tra il contratto di mutuo e quello di assicurazione. La polizza infatti non prevedeva alcuna clausola di vincolo; il beneficiario della prestazione non era il mutuante, ma un terzo; il capitale garantito non era collegato con il piano di ammortamento del mutuo; la durata della polizza non coincideva con quella del mutuo; la banca, se avesse voluto subordinare l’efficacia del contratto alla stipula di un’assicurazione, avrebbe dovuto informare preventivamente la compagnia assicuratrice, secondo gli accordi intercorsi tra le due.

Ma la Suprema Corte replica che non rientra nella sua competenza lo stabilire in punto di fatto se, nel caso di specie, il contratto di mutuo e quello di assicurazione stipulati dalla donna fossero o non fossero collegati; se vi fosse stato o meno un approfittamento del mutuante ai danni del mutuatario; se la banca, assunta la veste dell’intermediario assicurativo, avesse o meno assolto correttamente i propri obblighi informativi nei confronti del mutuatario.

Oggetto del ricorso – vanno a concludere i giudici del Palazzaccio – è unicamente lo stabilire se sia corretta in iure l’affermazione compiuta dalla sentenza impugnata, secondo cui la mancanza nel contratto di mutuo di una clausola che ne subordini l’efficacia alla stipula di un contratto assicurativo imporrebbe di concludere che l’assicurazione stipulata contestualmente ad esso sfugga alle previsioni di cui all’articolo 28 d.l. 1/12. Affermazione che, per quanto detto, non può condividersi, poiché contrastante con la lettera e la ratio della norma appena ricordata.

La sentenza impugnata è stata pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello lagunare, in diversa composizione, che dovrà riesaminare l’appello proposto dalla società di assicurazione ma applicando questo fondamentale principio di diritto:

Sono soggetti alle previsioni di cui all’articolo 1, comma 1, del regolamento Isvap 40/12 i contratti di assicurazione “connessi” o “condizionati” ad un contratto di mutuo, per tali dovendosi intendere le polizze la cui stipula è stata pretesa, imposta o capziosamente indotta dal mutuante anche in via di mero fatto, a prescindere dall’inserimento nel contratto di mutuo di clausole formali che ne subordinino la validità o l’efficacia alla stipula del contratto assicurativo“.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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