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Il giudice, anche laddove si avvalga delle apposite tabelle, deve procedere ad un’adeguata personalizzazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. A riaffermare con forza questo principio la Cassazione, nella recente ordinanza n. 22820/18 depositata il 26 settembre.

La vicenda. La Corte d’appello di Messina, riformando in parte la pronuncia di prime cure, aveva confermato la concorrente responsabilità dei conducenti di due veicoli rimasti coinvolti in un sinistro, nella misura del 30 per cento attribuito alla automobilista tamponata, che trasportava anche altre due passeggere, sue congiunte, e del restante 70 per cento al guidatore dell’auto che aveva causato il tamponamento. I giudici di merito avevano altresì ritenuto correttamente rinnovata, dal giudice di primo grado, la CTU medico-legale e correttamente valutati e calcolati i postumi per danno biologico, e aveva pertanto confermata la quantificazione del danno patrimoniale sulla base delle nuove tabelle legali, divenute vigenti in corso di causa, riguardanti il cosiddetto danno da lesioni micro permanenti. Infine, aveva riformato la pronuncia di primo grado nella parte in cui non erano state riconosciute le spese legali alle attrici, in parte vittoriose, compensandole per la metà.

La conducente e le occupanti della vettura tamponata hanno quindi presentato ricorso per Cassazione basato su sette motivi. Ciò che qui interessa è il quarto motivo con cui le ricorrenti hanno denunciato la violazione dell’articolo 1226 cod. civ., della legge 57/2001 e dell’articolo 3 della Costituzione in relazione all’articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. In particolare, le tre donne hanno eccepito sul fatto che i giudici di merito, anziché applicare i criteri di liquidazione del danno biologico con criteri equitativi, sul parametro delle cosiddette tabelle milanesi al tempo vigenti, trattandosi di lesioni micro permanenti, abbiano ritenuto di poter applicare i criteri equitativi, di fatto “retroattivamente”, previsti dalla legge 57- 2001, incorrendo in un error in iudicando.

Ebbene, secondo la Cassazione questo motivo è fondato. “In relazione al regime di calcolo del danno biologico e del danno morale – spiegano gli Ermellini – il giudice di merito ha adottato le tabelle sul danno da lesioni micro-permanenti sulla base della L. n. 57 del 2001, art. 5, entrata in vigore al tempo della lite, ma successivamente al sinistro, ritenendole utilizzabili come criterio orientativo di riferimento, senza applicare alcun correttivo per le condizioni soggettive del danneggiato e così riducendo il quantum sia del danno biologico che del danno morale. Tale automatismo nell’applicazione del diritto in via retroattiva non è ammissibile (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11048 del 13/05/2009). E invero, le tabelle mediche per il danno da lesione micro-permanente sono state approvate per D.M. del 3 luglio 2003, in vigore dal giorno 11 settembre 2003, data della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e senza effetto retroattivo. A partire da tale data è stato così introdotto un regime speciale per il danno biologico lieve o da micropermanente (sino a 9 punti) in deroga al regime ordinario codificato dall’art. 2056 c.c., e con la previsione (introdotta da successiva novella n. 273 del 2002) del potere di correzione della stima del danno nella misura del 25%, così delimitando il potere di personalizzazione del danno, ampiamente sostenuto dalla Corte Costituzionale (1986 n. 194) e dalla Corte di cassazione (incluso il punto 4.9 del preambolo sistematico delle SU 11 novembre 2008 nn. 26973 e 26974)”.

A prescindere dalla sussistenza di tabelle di liquidazione del danno – conclude la sentenza -, spetta alla parte lesa il diritto di esigere una valutazione equitativa e personalizzata del danno sofferto, vale a dire una valutazione in grado di riparare “tout le dommage, rien que le dommage”, come è stato efficacemente statuito dalla Corte di cassazione francese sin dal 1955 (n Cass. civ. 2e, 28 octobre 1954, J.C.P. 1955, II, 8765), e ripreso dall’ordinamento dell’Unione europea come criterio di riferimento per ogni Stato membro. Fa parte, infatti, di un orientamento costante della Corte di Giustizia dell’Unione europea l’assunto che il diritto comunitario non osta a che i giudici nazionali vigilino affinché la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario, per quanto debba essere piena ed effettiva, non comporti né un risarcimento simbolico, né un arricchimento senza giusta causa. In merito, rileva tuttavia citare la sentenza del 23 gennaio 2014, resa nella causa C-371/12, Petillo c. Ass. Generali, secondo cui le direttive europee in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità, non ostano ad una legislazione nazionale, la quale prevede un particolare sistema di risarcimento dei danni morali derivanti da lesioni corporali di lieve entità causate da sinistri stradali, che limita il risarcimento di tali danni rispetto a quanto ammesso in materia di risarcimento di danni identici risultanti da cause diverse da detti sinistri, dal momento che quest’ultima non ha l’effetto di escludere d’ufficio o di limitare in maniera sproporzionata il diritto della vittima a beneficiare di un risarcimento. In tale particolare materia, difatti, la Corte di Giustizia ha ammesso che in un ordinamento nazionale possano coesistere diversi sistemi di risarcimento del danno alla persona, purché non venga leso il principio di effettività di tutela. Tuttavia, tale indirizzo non autorizza a ritenere che la limitazione, meno favorevole, fissata dalla legge possa costituire un criterio equitativo di liquidazione prevalente, valevole per altre ipotesi in essa non considerate. Sulla specifica questione, si vedano anche in punti 4.8 e 4.9 del preambolo alle S.U., 11 novembre 2008 nn. 26973 e 26974, ove è chiaramente detto che “il giudice, qualora si avvalga delle nuove tabelle dovrà procedere ad adeguata personalizzazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Tale è infatti l’indicazione che si trae dalla motivazione delle sentenze delle SS.UU. citate, laddove si afferma non solo che «determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo», ma anche che il danno deve essere personalizzato. L’ affermazione del principio di personalizzazione del danno non contrasta con il principio di unitarietà del danno, ma anzi lo completa, poiché vale ad indicare che il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari comunemente in uso nei Tribunali, può procedere alla personalizzazione del danno, dando adeguatamente conto, con motivazione analitica e non stereotipata, della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente e, dunque, individualizzata considerazione in termini monetari (v. Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 11754 del 15/05/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10912 del 07/05/2018). 2.10. L’errore compiuto dai giudici dell’appello è dunque duplice. Difatti essi hanno applicato nei fatti, retroattivamente, un regime di legge speciale intriso di automatismi e limitativo del risarcimento e, quindi, non hanno svolto una valutazione equitativa del danno alla persona in concreto subito, in violazione dei suddetti principi (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11048 del 13/05/2009; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3906 del 18/02/2010)”.

La Corte di Cassazione, in conclusione, ha accolto il motivo e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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