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L’aquaplaning deve essere considerato un evento eccezionale e imprevedibile e, in quanto tale, idoneo a interrompere il collegamento causale tra la condotta dell’automobilista e gli eventi dannosi derivanti dalla reazione della sua auto all’allagamento della sede stradale. Chiaramente, però, a tal fine è imprescindibile che il conducente abbia rispettato le regole che disciplinano la circolazione stradale e che, quindi, i danni non possano in alcun modo dirsi conseguenza diretta della sua condotta di guida.

A esprimersi in tal senso la Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 1229/2018 depositata il 12 gennaio nella quale si entra nella delicata questione delle “cause sopravvenute”.

L’incidente all’esame dei giudici, successo lungo la Strada Statale 162, in Campania, è tanto tragico quanto complesso nella sua dinamica. In estrema sintesi, il ricorrente aveva perso il controllo della sua vettura a causa della scarsa visibilità e degli allagamenti provocati dalle forti piogge di quella la giornata, e aveva tamponato la macchina di un altro automobilista, arrestando la sua corsa trasversalmente sulla carreggiata e invadendo anche parte della corsia di emergenza. Nel frattempo era sopraggiunta un’altra auto condotta da un terzo automobilista, che aveva investito sia il ricorrente sia il conducente tamponato, che erano scesi dalle rispettive vetture, causando lesioni personali gravi al primo e il decesso del secondo.

A seguito dell’accaduto è stato contestato a entrambi gli automobilisti sopravvissuti il reato di omicidio colposo e al conducente della terza auto anche quello di lesioni colpose ai danni del ricorrente. Il giudice di primo grado tuttavia, pur ritenendo accertato che la morte dell’automobilista tamponato e le lesioni riportate dal ricorrente erano sicuramente riconducibili ai traumi causati dalla collisione con la vettura sopraggiunta in un secondo tempo, aveva evidenziato che le risultanze acquisite non avevano consentito di accertare con sufficiente certezza la velocità tenuta dai veicoli condotti dagli imputati nelle fasi immediatamente precedenti al sinistro ed aveva, conseguentemente, escluso che potesse dirsi provato che i due imputati avessero violato alcuna delle regole precauzionali imposte dall’art. 141 Codice della Strada, né che avessero concorso alla causazione dell’incidente mortale con lesioni per lo stesso coimputato. Il primo giudice aveva dunque ritenuto che il sinistro fosse causalmente riconducibile, in via esclusiva, alla presenza sulla sede stradale dell’enorme pozzanghera che aveva occupato sia la corsia di sorpasso sia parte della corsia di emergenza ed era tale da costituire un ostacolo del tutto imprevedibile ed eccezionale, idoneo a interrompere il nesso causale tra le condotte poste in essere dagli imputati e gli eventi lesivi.

La Corte territoriale, investita dell’appello proposto dall’automobilista rimasto gravemente ferito, ha sostanzialmente confermato la sentenza impugnata condividendone la motivazione e le conclusioni. Investita a sua volta del caso dall’ulteriore ricorso, anche la Cassazione lo ha rigettato. “La Corte territoriale, infatti – spiegano gli Ermellini -, ha sottolineato la correttezza della valutazione del materiale probatorio effettuata dal Tribunale avendo riguardo, in particolare, alle consulenze tecniche espletate nel corso del giudizio alla luce delle quali non era stato possibile affermare con certezza che l’imputato, ma anche lo stesso ricorrente, a sua volta imputato in relazione alla contestazione di omicidio colposo ai danni della persona deceduta, avessero viaggiato ad una velocità superiore a quella consentita o avessero tenuto una condotta di guida non conforme alle norme sulla circolazione stradale. Sotto questo profilo, peraltro, le argomentazioni portate dal ricorso, e volte a sostenere la responsabilità dell’imputato, si presentano del tutto aspecifiche omettendo del tutto di confrontarsi con tale parte della sentenza impugnata e limitandosi a valorizzare gli esiti della prova testimoniale, già ritenuti dai giudici del merito non rilevanti in quanto riguardanti non la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale ma solo il comportamento successivamente tenuto dallo stesso (omissis) e l’abituale percorrenza di quella strada da parte dell’imputato. La Corte ha dunque confermato che, sulla base delle emergenze istruttorie del caso concreto, il giudice non poteva trarre il convincimento che l’evento verificatosi fosse causalmente riconducibile a una condotta colposa dell’imputato, trovando conseguentemente spazio anche la configurabilità di un fattore imprevedibile quale quello dell’allagamento della sede stradale. La Corte ha conseguentemente ritenuto la assoluta logicità della conclusione raggiunta dal primo giudice in ordine alla attribuibilità degli eventi a tale fattore eccezionale ed imprevedibile che aveva determinato il fenomeno del cosiddetto. “acqua planning” idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la condotta dell’imputato e gli eventi”.

“Il tessuto argomentatívo posto a fondamento della sentenza impugnata si presenta pertanto del tutto congruo e scevro da vizi logici – conclude la Suprema Corte -, conforme al consolidato principio per cui le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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