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“Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi (punitive damages). Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico”.

E’ un principio di diritto significativo quello affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile con la recente sentenza 16601/2017, definita da più parti una “rivoluzione copernicana”.

I danni punitivi (o esemplari), “punitive (o exemplary) damages”, sono un istituto giuridico degli ordinamenti di common law, in particolare degli Stati Uniti, che prevedono, in caso di responsabilità del danneggiante per dolo (malice) o colpa grave (gross negligence), il riconoscimento al danneggiato di un ulteriore, autonomo risarcimento punitivo, oltre a quello necessario per compensare il danno subito (compensatory damages).

La riconoscibilità del risarcimento punitivo è sempre da commisurare agli effetti che la pronuncia del giudice straniero può avere in Italia, ma in via generale non è incompatibile con il sistema.

Seppur la Cass. Civ. n. 1183/2007 abbia sancito l’estraneità al risarcimento del danno dell’idea di punizione e di sanzione, stante la sola funzione di “restaurare la sfera patrimoniale” del soggetto leso, e la Cass. Civ. n. 1781/2012 abbia escluso il carattere sanzionatorio della responsabilità civile se non con la “verifica di compatibilità con l’ordinamento italiano della condanna estera al risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale”, le Sezioni Unite hanno ritenuto che questa analisi sia superata e non possa più costituire, in questi termini, idoneo filtro per la valutazione.

L’apertura delle Sezioni Unite verso i punitive damages. Nell’illustrare il panorama normativo che si è venuto componendo nel tempo, le S.U. hanno richiamato l’ordinanza di rimessione n. 9978/2016 e la sentenza n.7613/2015, chiamata a vagliare la compatibilità con l’ordine pubblico italiano delle misure previste in altri ordinamenti recensendo, tra le varie norme, il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 140, comma 7, c.d. Codice del Consumo, dove si tiene conto della “gravità del fatto” e l’art. 187 undecies, comma 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58  in tema di intermediazione finanziaria.

“Vi è dunque un riscontro a livello costituzionale della cittadinanza nell’ordinamento di una concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde soprattutto a un’esigenza di effettività (cfr. Corte Cost. 238/2014 e Cass. n. 21255/13) della tutela che in molti casi, della cui analisi la dottrina si è fatta carico, resterebbe sacrificata nell’angustia monofunzionale. Infine va segnalato che della possibilità per il legislatore nazionale di configurare “danni punitivi” come misura di contrasto della violazione del diritto eurounitario parla Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072. Ciò non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati”.

Diviene, quindi, necessaria una “intermediazione legislativa”, secondo il principio degli artt. 23, 24 e 25 della Costituzione traendo la questione della compatibilità con l’ordine pubblico delle sentenze di condanna per i punitive damages. Un ordine pubblico, configurato come “complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici” (così Cass. 1680/84) è divenuto il distillato del “sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’Unione europea dall’art. 6 TUE (Cass. 1302/13)”.

Le Sezioni Unite, a riprova della coesistenza tra l’ordine pubblico dell’Unione europea e quello nazionale, citano l’art. 67 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che afferma: “l’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri”.

Pertanto, la prestazione patrimoniale di carattere sanzionatorio o deterrente non può essere imposta dal giudice italiano senza espressa previsione normativa cosi come per ogni pronuncia straniera. “Il principio di legalità postula che una condanna straniera a “risarcimenti punitivi” provenga da fonte normativa riconoscibile, cioè che il giudice a quo abbia pronunciato sulla scorta di basi normative adeguate, che rispondano ai principi di tipicità e prevedibilità.” Dunque, è necessaria la presenza di una legge o simile fonte che regoli la materia sulla base di principi e soluzioni di quel paese che non produca effetti contrastanti con l’ordinamento italiano.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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