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Guida in stato di ebbrezza

Responsabilità civile sia per il conducente sia per il proprietario del mezzo.

In caso di giuda in stato di ebbrezza, la rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, per la responsabilità civile da circolazione dei veicoli, si riferisce sia al conducente sia al proprietario del mezzo, poiché responsabili civili e titolari dell’interesse esposto al rischio. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 21027/18, depositata il 23 agosto.

Il caso. Un terzo trasportato aveva citato in giudizio il conducente e il proprietario della vettura su cui viaggiava e la compagnia di assicurazione per ottenere il risarcimento dei danni causati da un sinistro stradale determinato da un’uscita di strada per perdita di controllo del veicolo. La compagnia si costituiva obiettando che la copertura assicurativa non era operante perché il conducente era risultato guidare in stato di ebbrezza, per cui aveva diritto di rivalersi nei confronti sia del conducente che del proprietario responsabile, verso i quali avanzava pertanto domanda.

Il proprietario, nel costituirsi unitamente al conducente, eccepiva la carenza di legittimazione passiva alla rivalsa non avendo contratto l’assicurazione (la polizza era stata accesa dal conducente), e al contempo controdeduceva che lo stato di ebbrezza non poteva desumersi dal solo verbale dei carabinieri intervenuti. Il tribunale accoglieva la domanda principale e quella di rivalsa limitatamente al conducente. La corte di appello, pronunciando sul gravame principale della società assicurativa e su quello incidentale del proprietario relativamente alla statuita rivalsa nei suoi confronti per difetto dell’accertamento penale da ritenere presupposto, accoglieva parzialmente solo il primo, estendendo la rivalsa anche al proprietario quale responsabile civile.

Avverso questa decisione hanno ricorso per cassazione sia il proprietario che il conducente formulando tre motivi, mentre la compagnia di assicurazione ha resistito con contro-ricorso. Con il primo motivo si prospettava la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, e 144 del codice delle assicurazioni private, poiché la corte di appello avrebbe errato nell’accogliere la domanda di rivalsa verso il proprietario non contraente dell’assicurazione, e quindi verso soggetto diverso dall’assicurato quale indicato come legittimato passivo dalla lettera delle norme invocate. Con il secondo motivo, si prospettava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1370, cod. civ., 18 della legge n. 990 del 1969 e 144, codice assicurazioni private, poiché la clausola delle condizioni generali del contratto assicurativo che prevedeva l’inoperatività della polizza in caso di guida in stato di ebbrezza ovvero applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 186 e 187 del codice della strada, sarebbe stata erroneamente interpretata dalla corte di appello omettendo l’applicazione del criterio ermeneutico secondo cui, nel dubbio, essa andava letta in senso favorevole all’assicurato e non all’assicuratore predisponente, ritenendo necessario l’accertamento giudiziale penale del preteso offuscamento alcolico. Con il terzo motivo di ricorso si prospettava la violazione e falsa applicazione dell’art. 186 del codice stradale e degli artt. 18 della legge n. 990 del 1969 e 144, codice assicurazioni private, poiché la corte di appello avrebbe errato ritenendo sufficiente, per accertare la guida in stato di ebbrezza, il mero dato di fatto desunto dal verbale dei militari occorsi sul luogo, fermo restando che nessuna influenza avrebbe comunque potuto darsi ai provvedimenti amministrativi prefettizi conseguenti, in quanto cautelari e revocabili dal giudice penale, unico giurisdizionalmente competente all’accertamento in questione.

Motivi però tutti infondati ad avviso della Suprema Corte. “Secondo la consolidata nomofilachia – argomento l’ordinanza – la rivalsa dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, per la responsabilità civile da circolazione dei veicoli, è da riferire, per quanto qui rileva, sia al conducente, nella specie contraente, sia al proprietario del veicolo – sempre che il mezzo non abbia circolato contro la sua volontà, come qui neppure allegato – in quanto responsabili civili e titolari dell’interesse esposto al rischio (Cass., 20/07/2017, n. 17963, pagg. 3-4; Cass., 02/12/2014, n. 25421, pagg. 6-7). Ciò sia ai sensi dell’art. 18 della legge n. 990 del 1969, “ratione temporis” applicabile, sia ai sensi del successivo e al riguardo sovrapponibile art. 144, codice assicurazioni private.

Ancora. “Il conducente, come rilevato in contro-ricorso, non ha proposto appello incidentale condizionato sul punto della discussa operatività della polizza, già ritenuta dal tribunale che pure aveva escluso la sua legittimazione passiva alla rivalsa. Con conseguente giudicato ostativo quanto alla sua posizione. Quanto all’altra posizione, vale ciò che segue. La clausola in parola, riportata nel ricorso in ossequio al requisito dell’autosufficienza e quindi specificità del motivo, escludeva l’operatività della polizza «nel caso di veicolo guidato da persona in stato di ebbrezza…, ovvero alla quale sia stata applicata una sanzione ai sensi degli articoli 186 e 187 del codice della strada». La corte territoriale ha implicitamente quanto univocamente interpretato il patto nel senso di escludere la necessità di un giudizio penale, e dunque accertando essa stessa la sussistenza dell’ipotesi, in ragione del più volte richiamato verbale di polizia giudiziaria. Ciò posto, deve darsi seguito alla costante nomofilachia con cui è stato chiarito che le censure relative all’ermeneutica negoziale non possono in ogni caso risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione della parte ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr., da ultimo, Cass., 28/11/2017, n. 28319). È evidente la plausibilità della lettura offerta dal collegio di merito, quale basata sul semplice rilievo che se si fosse voluto imporre il previo accertamento del giudice penale lo si sarebbe enunciato nel contratto. D’altra parte lo stesso riferimento all’applicazione di sanzioni, nel caso pacificamente applicate in sede amministrativa, segue il richiamo alla corrispondente ipotesi fattuale che la corte di appello ha ritenuto suscettibile del suo accertamento. In questa cornice, non risulta violato neppure il canone della interpretazione contro il predisponente, avendo la corte di seconde cure implicitamente ma plausibilmente escluso, come visto, il dubbio che ne costituisce il presupposto normativo. Ciò a riscontro della prevalenza delle regole ermeneutiche strettamente interpretative, quale quella ex art. 1362, cod. civ., sulle regole propriamente integrative, tra cui rientra quella riversata nell’art. 1370, cod. civ. (cfr. Cass., 24/01/2012, n. 925). Da quanto sopra consegue che la corte territoriale non si è basata sul “mero dato di fatto”, bensì ha legittimamente proceduto, quale giudice civile, a un accertamento incidentale finalizzato a vagliare l’operatività della copertura assicurativa”

Di qui il rigetto del ricorso.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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