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Se la propria auto viene danneggiata o, peggio ancora, rubata mentre si trova in un parcheggio a pagamento, ma incustodito, è possibile chiedere i danni alla società che gestisce il park?

Con l’ordinanza n. 8601/22 depositata il 16 marzo 2022 la Cassazione ha affrontato una questione di estrema attualità, considerati gli innumerevoli casi sul genere che si verificano ogni anno, e, soprattutto, ha stabilito un principio basilare: se si tratta di un cosiddetto parcheggio scambiatore, realizzato su area comunale, il fatto che sia dichiaratamente “incustodito” non lascia spazio a richieste di risarcimento; altro discorso, invece, se si tratta di un park non solo gestito da privati ma anche su area privata, che, in caso di furti o vandalismi sul veicolo, non è di per sé assimilabile alla prima casistica ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile con specifico riferimento al riconoscimento o meno dell’obbligazione di custodia del mezzo rubato e della conseguente responsabilità ex recepto del gestore.

Il proprietario di un’auto rubata dal park dell’aeroporto chiede i danni al gestore

La vicenda. Il proprietario di una vettura aveva lamentato di aver subito il furto del mezzo  mentre era posteggiata nel parcheggio multipiano dello scalo dell’aeroporto di Roma Fiumicino e aveva convenuto in giudizio la società Adr S.p.a., che lo gestisce, affinché ne venisse accertata e dichiarata la responsabilità civile, con conseguente condanna al risarcimento del danno e delle spese di lite. il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza del 2008, dopo aver rilevato che si trattava di un parcheggio meccanizzato, aveva qualificato il contratto concluso inter partes come contratto atipico per la cui disciplina occorreva far riferimento alle norme sul deposito, con conseguente obbligo del depositario alla custodia del bene. Pertanto il primo giudice aveva accolto la domanda e condannato Adr al risarcimento del danno, liquidato in 17.772,72 euro oltre interessi, nonché al pagamento delle spese di lite.

La domanda, accolta in primo grado, viene rigettata in appello

La società, tuttavia, aveva appellato la decisione, lamentando l’erronea qualificazione giuridica del negozio intervenuto tra le parti, l’erronea valutazione sull’an debeatur, l’infondatezza della domanda e la mancanza di prove in ordine al preteso furto. E la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2017, aveva riformato la sentenza di prime cure, accogliendo l’appello proposto, sulla base della pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 14319/2011.

Le quali hanno affermato il principio di diritto secondo cui l’area di sosta a pagamento non comporta l’assunzione dell’obbligo del gestore di custodire i veicoli su di essa parcheggiati se l’avviso “parcheggio incustodito” è esposto in modo adeguatamente percepibile prima della conclusione del contratto: questo perché l’esclusione attiene all’oggetto dell’offerta al pubblico ex art. 1336 cod. civ. (senza che sia necessaria l’approvazione per iscritto della relativa clausola, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., non potendo presumersene la vessatorietà), e l’univoca qualificazione contrattuale del servizio, reso per finalità di pubblico interesse, normativamente disciplinate, non consente, al fine di costituire l’obbligo di custodia, il ricorso al sussidiario criterio della buona fede ovvero al principio della tutela dell’affidamento incolpevole sulle modalità di offerta del servizio stesso (quali, ad esempio, l’adozione di recinzioni, di speciali modalità di accesso ed uscita, di dispositivi o di personale di controllo).

 

Per i giudici decisivi il cartello “parcheggio incustodito” e l’interesse pubblico del servizio

Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva rilevato che il servizio offerto da Adr, anche se gestito da soggetto privato, assolveva a finalità di interesse pubblico, e che nel giudizio di primo grado la società aveva provato per testi che prima dell’ingresso, alle pareti di tutti i parcheggi, vi era un cartello, visibile e leggibile, nel quale si indica che il parcheggio non era custodito. Pertanto, sulla scorta di queste considerazioni, il giudice del gravame aveva sussunto il rapporto tra le parti entro la figura della locazione atipica e non, invece, del deposito, condannando pertanto l’automobilista a restituire la somma versata da Adr in esecuzione della sentenza impugnata.

Il derubato censura in Cassazione l’assimilazione di attività privata a quella su area pubblica

Il derubato a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione contestando la sentenza impugnata per aver ritenuto l’attività di parcheggio gestita da Adr per scopo di lucro su area privata, senza che per il privato fosse possibile rinvenire un’area per la sosta non a pagamento, assimilabile all’attività di parcheggio gestita su area demaniale, anche in concessione, di cui all’art. 7 comma 1, lett. f) del d.l.gs. n. 285/1992. Inoltre, il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte territoriale avesse posto a fondamento della decisione una circostanza, ossia, la presenza del cartello recante la scritta “parcheggio non custodito”, mai dedotta dalla società, ma riferita da un teste (peraltro di dubbia credibilità, in quanto dipendente di Adr) su richiesta del giudice, senza che egli avesse avuto la possibilità di contraddirla.

E quindi la mancata applicazione del contatto di deposito con relativi obblighi

Ancora, l’automobilista censurava la sentenza d’appello per aver sussunto la fattispecie entro la figura del contratto di locazione atipico, e non entro quella del deposito, laddove il contratto di parcheggio differirebbe da quello di locazione sotto il profilo causale, non essendo l’area oggetto di posteggio concessa in godimento continuato del locatario, e anche per non aver ritenuto la clausola di esclusione dell’obbligo di cauzione vessatoria o comunque nulla ai sensi dell’art. 33 Codice del consumo, nonostante il consumatore fosse privo dell’effettiva possibilità di scelta, essendo tutti i parcheggi dell’aeroporto di Fiumicino gestiti dalla stessa società. Infine, i giudici di merito avrebbero omesso l’esame di un fatto decisivo, non avendo valutato le dichiarazioni di un teste, il quale aveva riferito della presenza di telecamere di sorveglianza all’interno delle aree di parcheggio, fatto determinante ad avviso del ricorrente in quanto tale da qualificare in termini univoci il servizio reso come comprensivo della custodia delle autovetture parcheggiate.

 

Il parcheggio su aree pubbliche o date in convenzione: quello custodito e non custodito

Per la Cassazione, le doglianze sono fondate. La Suprema Corte, ricordano gli Ermellini, nella già citata pronuncia a Sezioni Unite n. 14319/2011, “ha identificato puntualmente la fattispecie alla quale applicare il principio di diritto ivi enunciato”. In primo luogo, chiarisce la Cassazione, è stato evidenziato che la legge cosiddetta Legge Tognoli, mira a ovviare al problema della paralisi della circolazione stradale attraverso la realizzazione e l’organizzazione di un servizio essenziale per le città e per i loro abitanti mediante la creazione di aree di parcheggio dei veicoli privati finalizzate all’interscambio con sistemi di trasporto collettivo. “A tal fine, la legge ha previsto che i Comuni interessati al perseguimento di detta finalità possano provvedere alla progettazione ed alla realizzazione di dette aree, anche attraverso imprese convenzionate, avvalendosi del finanziamento pubblico fornito dalla Cassa Depositi e Prestiti.

Inoltre, i suddetti interventi sono stati coordinati con la disciplina del Codice della Strada, mediante l’introduzione, con l’art. 15 della legge Tognoli, della disposizione, poi sostanzialmente recepita nell’art. 7, comma 1 lett. f) d.lgs. 285/1992, a tenore del quale nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco, stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le aree urbane”.

I giudici del Palazzaccio puntualizzano altresì che le Sezioni Unite hanno sottolineato che “il complesso di tali norme attesta la chiara volontà del legislatore di rimettere la regolamentazione della sosta e del parcheggio e il pagamento per il tempo di sosta al potere deliberante della giunta comunale e del Sindaco in considerazione del pubblico interesse sotteso alla realizzazione di dette aree”. Un assetto normativo ritenuto “conforme alle norme e ai principi costituzionali”.

Sulla base di questo quadro normativo, “la Corte – prosegue la Cassazione – ha poi ravvisato la possibilità di configurare due diverse discipline applicabili al contratto di autoparcheggio la cui scelta è rimessa all’utente”: con la prima si privilegia, oltre all’intenzione di utilizzare l’area comunale di sosta, “anche l’interesse del conducente alla conservazione e restituzione del veicolo nello stato in cui è stato consegnato, con conseguente affidamento in custodia dello stesso“. In tal caso, ovviamente, “appare fondatamente invocabile la disciplina del deposito” spiegano gli Ermellini.

La seconda disciplina invece “privilegia esclusivamente l’interesse dell’utente all’uso di uno spazio per lo stazionamento del veicolo in prossimità di luoghi di interscambio con sistemi di trasporto collettivo a cui intende accedere velocemente e senza incorrere in violazioni del codice della strada, pagando la somma corrispettiva della prestazione di messa a disposizione dell’area, senza alcun trasferimento della detenzione del veicolo, purché l’avviso dell’esclusione della custodia sia posto in modo ben visibile prima della conclusione del contratto”.

Nel caso deciso dalle Sezioni Unite, con la pronuncia 14319/2011, era stato appunto ritenuto che “l’istituzione dell’area di sosta a pagamento era regolata dalla normativa pubblicistica sin qui esaminata e la Corte ha concluso per la ravvisabilità delle caratteristiche del contratto di parcheggio senza obbligo di custodia”.

 

L’area gestita dalla società è privata e non pubblica

Ma la fattispecie oggetto del ricorso nel caso specifico, osserva la Suprema Corte, presenta “indici di diversità rispetto a quella esaminata in detta pronuncia delle Sezioni Unite, tali da rendere non immediatamente applicabile il principio di diritto ivi enunciato, con conseguente fondatezza della censura di falsa applicazione della normativa pubblicistica

Infatti, ed è il discrimine fondamentale, l’area gestita da Adr “risulta essere privata e non comunale, né formalmente destinata a finalità assimilabili a quelle considerate dalla legge n.122/1989, la c.d.Legge Tognoli, ed attuate in coordinamento con l’art.7 comma 1 lett. f) Codice della Strada”. In secondo luogo, prosegue la Suprema Corte, “Adr ha precisato solo nel controricorso che il parcheggio in questione insiste sull’area demaniale e non privata dell’aeroporto, area oggetto di concessione risalente al 1974 in forza della quale ha assunto la gestione degli Aeroporti di Fiumicino e di Ciampino.

A fronte di ciò si osserva che risulta dalla sentenza impugnata che aveva invece allegato di svolgere un’attività di parcheggio in forma di impresa, con la conseguenza che quanto sopra evidenziato costituisce profilo nuovo, non oggetto di contraddittorio e di esame nel merito e non apprezzabile dal giudice di legittimità”.

 

Non si può pertanto escludere l’applicabilità della disciplina del contratto di deposito

In conclusione, secondo la Cassazione appare “effettivamente ingiustificata”, sulla scorta di tali differenze, la qualificazione operata dalla Corte d’appello del contratto di parcheggio in questione come “contratto di locazione di area sulla scorta dell’assunta finalità pubblica (decongestionamento dell’area) del servizio offerto con esclusione dell’applicabilità della disciplina del deposito ex art. 1766 e ss. cod. civ., non ricorrendo indici oggettivi e normativi a sostegno della conclusione formulata” .

La sentenza è stata pertanto cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché riesamini il gravame del ricorrente alla luce del principio di diritto affermato nella circostanza:

Il principio di diritto

La struttura privata destinata al parcheggio di veicoli posta nelle adiacenze di un aeroporto e gestita da un soggetto privato, nel caso di furto dell’automezzo ivi posteggiato, non è di per sé assimilabile, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile con specifico riferimento al riconoscimento o meno dell’obbligazione di custodia del mezzo rubato e della conseguente responsabilità ex recepto del  gestore, alla fattispecie configurabile nel caso di furto di autoveicolo posteggiato nel c.d. parcheggio scambiatore realizzato su area comunale di sosta istituito ai sensi della Legge n. 122/1989 e dell’art. 7, comma 1, lett. f) del codice della strada”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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