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È legittimo il licenziamento del lavoratore part time che rifiuta di svolgere la formazione obbligatoria, in materia di sicurezza, in orario diverso da quello previsto dal proprio contratto. E una sentenza di assoluto rilievo sul versante antinfortunistico e del diritto del Lavoro quella, la n. 20259/2023, depositata dalla Cassazione il 14 luglio 2023.

Lavoratore licenziato perché si rifiuta di seguire il corso sulla sicurezza fuori orario di lavoro

Il caso di cui si sono occupati gli Ermellini è quello di un dipendente a tempo parziale di un’impresa il quale aveva citato il suo datore di lavoro chiedendo che fosse accertata la nullità-illegittimità del suo licenziamento per giustificato motivo intimatogli dall’azienda nel 2018 e motivato con l’impossibilità da parte della società di avvalersi delle sue prestazioni a causa del suo rifiuto di completare, in orario non corrispondente a quello concordato nel contratto – pari a venti ore settimanali articolate su una prestazione effettuata per cinque giorni lavorativi, dalle ore 6 alle ore 10, con riposo a scorrimento – le residue quattro ore del corso obbligatorio di formazione di base sulla sicurezza sul lavoro, della durata complessiva di otto ore: il lavoratore aveva infatti rifiutato reiteratamente di completare la partecipazione al corso dichiarandosi indisponibile nelle sei convocazioni successive disposte a tal fine dalla società, anche in relazione a corsi organizzati ad hoc, in orario concordato con il suo difensore di fiducia.

 

Il dipendente part time impugna il licenziamento per giusta causa e arriva fino in Cassazione

La domanda era stata accolta in primo grado ma la Corte d’Appello di Roma, in totale riforma della decisione di prime cure, con sentenza del 2019 l’aveva rigettata. I giudici di secondo grado, esclusa l’esistenza del motivo ritorsivo del recesso datoriale, che era stata invece affermata dal primo giudice, aveva ritenuto che il lavoratore fosse comunque tenuto all’effettuazione della formazione nell’orario a tal fine stabilito dalla società, qualificando tale partecipazione, ai fini della relativa remunerazione, come prestazione di lavoro straordinario, esigibile dalla società.

A questo punto l’ex dipendente ha proposto ricorso per Cassazione con diversi motivi di doglianza, ma il nocciolo della censura riguardava la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 12, d. Lgs. n. 81/2008, il Testo Unico. Secondo il ricorrente, la disposizione in questione, nel prescrivere che la formazione deve avvenire durante l’orario di lavoro, oltre che senza oneri economici a carico dei lavoratori, implicava, in ipotesi di lavoro a tempo parziale, la necessità dell’espletamento dei corsi di formazione in orario corrispondente a quello concordato in sede contrattuale tra le parti, il quale nello specifico, come detto, prevedeva una prestazione articolata su cinque giorni alla settimana, dalle ore 6.00 alle ore 10, in modo fisso e senza clausole di flessibilità.

Di più, il lavoratore asseriva che la disciplina previgente al d.lgs. n. 81 limitava fortemente la potestas variandi datoriale in materia, consentendola solo con le modalità e alle condizioni previste dalla contrattazione collettiva, e regolava con rigore anche il ricorso al lavoro supplementare, consentito solo con il consenso del lavoratore e nei casi e nei limiti previsti dalla contrattazione collettiva. Rigore della disciplina che sarebbe stato mantenuto anche dal legislatore del 2015, che ammetteva le “clausole elastiche” solo nei limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva o con patto individuale assistito e soggetto a precisi limiti, e conteneva in vario modo la possibilità di lavoro supplementare.

La Suprema Corte, dopo aver richiamato la varie norme e disposizione, ribadisce ovviamente il “carattere ineludibile” per il soggetto datore di lavoro dell’obbligo di assicurare ai dipendenti una adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, “tema che intercetta” quello fondante la questione sottoposta allo scrutinio del giudice di legittimità, rappresentata dalla “verifica della esigibilità da parte del datore della partecipazione del dipendente ad un corso di formazione che si tenga in orario non corrispondente a quello ordinario”.

In particolare, proseguono i giudici del Palazzaccio, in caso di lavoratore a tempo parziale, bisognerà verificare se la formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro debba necessariamente essere impartita in orario corrispondente a quello concordato tra le parti in sede di contratto o anche successivamente, o, invece, ed in che limiti, possa avvenire in orario non coincidente con la normale articolazione oraria della prestazione. Ebbene, per la Suprema Corte a tale quesito va data risposta positiva.

 

La formazione sulla sicurezza può avvenire anche in orario di lavoro non “ordinario”

Innanzitutto la Suprema Corte confuta l’interpretazione data dal lavoratore della legge, avallando la “ragionevolezza di una lettura meno rigida di quella propugnata dal lavoratore della espressione di “orario di lavoro”, da intendersi quindi come comprensiva anche dell’orario relativo a prestazioni esigibili al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, di legge o previsto dal contratto collettivo, per i lavoratori a tempo pieno, e di quello concordato, per i lavoratori a tempo parziale”.

Inoltre, prosegue la Cassazione, “nel rapporto di lavoro a tempo parziale è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario, così come definito dall’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 66 del 2003. Nel rispetto di quanto previsto o dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata”.

E nel caso specifico, “premesso che parte ricorrente non ha allegato ed ha anzi negato che il contratto collettivo applicabile contenesse previsioni relative al lavoro supplementare, la fattispecie deve essere ricondotta all’ambito regolato dal comma 2 dell’art. 6, il quale facoltizza il datore di lavoro a chiedere l’espletamento di una prestazione di lavoro supplementare nel rispetto del limite del 25% dell’orario di lavoro; in tali limiti temporali diviene quindi esigibile dal datore di lavoro la collaborazione del prestatore di lavoro al fine dell’adempimento dell’obbligo formativo. Tale limite non è stato in concreto superato atteso che la richiesta datoriale di effettuazione delle ulteriori quattro ore destinate al completamento del corso di formazione base, è inferiore al 25% del complessivo orario settimanale, pari a venti ore”.

 

A fronte di tale richiesta il lavoratore non poteva opporre un “generico” rifiuto

Ne consegue, conclude la Suprema Corte respingendo definitivamente il ricorso, che alla – legittima – richiesta datoriale di seguire il corso di formazione in orario corrispondente a quello astrattamente destinabile al lavoro supplementare, il lavoratore non poteva opporre un generico rifiuto, ma solo allegare e dimostrare, a giustificazione di esso, “comprovate esigenze, lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale, come, viceversa, non avvenuto, secondo quanto accertato, con affermazione rimasta incontrastata, dalla sentenza impugnata e, come del resto smentito dalla circostanza che per ben sei volte il lavoratore aveva per il tramite del suo legale acconsentito alla effettuazione della formazione  in orari secondo un piano concordato, seppure sottraendosi ogni volta al rispetto degli accordi intervenuti in tal senso”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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