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Danno da perdita parentale

Risarcimento legittimo anche senza legame di sangue

Il risarcimento del danno da perdita parentale (e non soltanto alla sua perdita) va riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva. E ciò indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non abbia alcun vincolo di consanguineità naturale, ma che abbia comunque con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nello stesso, quel sentimento di protezione e di sicurezza insito – nel caso di specie – nel rapporto padre-figlio.

Il danno da perdita parentale, inoltre, deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi causa interrompa il rapporto, che non dev’essere necessariamente la morte del padre (sempre in riferimento al caso de quo) . E quando manca il pregiudizio alla salute, il danno non patrimoniale va comunque valutato sotto il duplice aspetto della sofferenza morale e delle ripercussioni sulla vita quotidiana del soggetto.

Sono questi i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente e interessante ordinanza n. 20835, del 21 agosto 2018, in ordine ad una controversia dove una madre aveva convenuto in giudizio un’Azienda ospedaliera per ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti dal figlio a seguito dell’errata esecuzione dell’esame del Dna.

Mentre inizialmente era stato accertato che il padre del bambino fosse un uomo con cui, per alcuni anni, la donna aveva intrattenuto una relazione, a seguito di ulteriore esame, e a distanza di anni, era stato poi constatato come quest’ultimo non fosse il vero padre.

La donna, giungendo sino in Cassazione, contestava la sentenza con cui la Corte d’Appello, pur riconoscendo il legame affettivo da parte del bambino verso il presunto padre, aveva tuttavia negato la liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale (tra il bambino ed il presunto padre), per la ragione che quest’ultimo fosse ancora vivente e non legato al minore da alcun effettivo vincolo di sangue.

Secondo la Cassazione, la motivazione della decisione impugnata deve essere corretta ex articolo 384 quarto comma, nel senso che il danno da perdita del rapporto parentale spetta quando vi sia la rottura di un rapporto instaurato anche con soggetto non consanguineo, ma che rappresenti per il danneggiato – come nella specie – la identica figura del padre, e che la lesione del rapporto parentale può essere determinata anche da un evento diverso dalla morte.

In altre parole, secondo la Suprema Corte sbaglia la Corte d’Appello laddove sostiene che il danno da perdita del rapporto parentale potrebbe configurarsi solo nel caso di morte di un prossimo congiunto: nessun risarcimento dunque spetterebbe perché si è accertato che l’uomo non ha legami di sangue con il bambino e non in quanto manca la prova di un’intensa relazione interpersonale tra loro. Ciò che conta, invece, sono l’affetto, le consuetudini di via e abitudini che infondono nel danneggiato quel sentimento di protezione e sicurezza insito nel rapporto tra genitore e figlio. In conclusione, la lesione parentale di configura per la rottura del rapporto con una figura che per il danneggiato rappresenta “l’identica figura del padre”, anche se non sono consanguinei.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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