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Come si conteggiano gli interessi sulla somma ottenuta a titolo di risarcimento del danno nel caso in cui vi sia stato, medio tempore, il pagamento di un acconto? Al quesito risponde una volta per tutte, con chiarissime istruzioni operative, la Cassazione, III Sezione Civile, con la recente sentenza del 20 aprile 2017, n. 9950.

Il fatto. Un minore, mentre attraversava la strada, veniva investito da un auto, con conseguenti danni fisici. A seguito del procedimento penale, che si concludeva con la condanna dell’investitore, veniva avviato il procedimento civile. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, liquidando il risarcimento in via equitativa, discostandosi dalle Tabelle Milanesi, e concedendo gli interessi (dal sinistro) solo sulla differenza tra il credito e l’acconto medio tempore versato dalla compagnia assicurativa. Contra questa decisione, confermata dalla Corte d’Appello con rigetto del gravame proposto, il danneggiato proponeva ricorso in Cassazione sulla base di due distinti motivi.

Con il primo motivo, in particolare, il danneggiato rilevava come il Tribunale avesse provveduto ad effettuare la liquidazione del danno biologico temporaneo in base a valori inferiori rispetto a quelli previsti dalle c.d. Tabelle Milanesi.

La Cassazione ha accolto questo motivo, ribadendo un principio oramai ripetutamente affermato: “il danno alla salute, temporaneo o permanente, in assenza di criteri legali va liquidato in base alle tabelle diffuse dal Tribunale di Milano, salvo che il caso concreto presenti specificità tali – che il giudice ha l’onere di rilevare, accertare ed esporre in motivazione – che consiglino od impongano lo scostamento dai valori standard del risarcimento”.

La ratio del principio, pienamente condivisibile, è rinvenuta nella necessità di garantire una parità di trattamento ai soggetti lesi (e pertanto un’attuazione uniforme della liquidazione equitativa ex art. 1226 del Codice Civile -, con specifico riferimento alla “traduzione” delle conseguenze dannose “biologiche” in un equivalente monetario), mancando ancor oggi una Tabella unica nazionale.

Proprio per ovviare a tale carenza legislativa, onde dare concrete indicazioni al Giudice di merito nell’effettuazione della liquidazione equitativa, la Cassazione ha riconosciuto una valenza generale alle cosiddette Tabelle Milanesi, pubblicate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano.

Giova peraltro evidenziare come queste Tabelle siano assimilate a “precedenti giurisprudenziali” (escludendo, di conseguenza, la necessità di una loro apposita produzione in giudizio) e sia, ulteriormente, prevista la necessità di applicare le Tabelle vigenti al momento della liquidazione, ossia, ad oggi, quelle stabilite dall’Osservatorio nella riunione in data 19.06.2014 (c.d. Edizione 2014).

La Cassazione ha inoltre confermato con queste pronuncia anche l’altro aspetto della valutazione equitativa: l’applicazione delle Tabelle non è tassativa, potendo il Giudice decidere diversamente qualora la situazione concreta suggerisca l’adozione di un criterio diverso. Tale possibilità (resa dalla necessità, sempre ex 1226 c.c., di valutare la specificità del caso concreto) deve però essere dal Giudice di merito rilevata, accertata ed esposta nella motivazione. E, realisticamente, prima ancora deve essere esposta ed argomentata dalla parte che richiede lo scostamento dalle Tabelle Milanesi.

Con il secondo motivo, il danneggiato lamentava invece (e appunto) l’erroneità del conteggio effettuato dalla Corte d’Appello, che riconosceva gli interessi di mora unicamente sulla differenza tra il valore del credito (liquidato all’attualità e poi devalutato al momento del sinistro) e l’acconto erogato medio tempore (anche esso devalutato al momento del sinistro).

La Cassazione accoglieva anche questo motivo, esponendo con il principio di diritto utili precisazioni operative in ordine alla liquidazione del danno da ritardato adempimento di una obbligazione di valore (ex art. 1223 c.c.) qualora sia intervenuto il pagamento di un acconto.

In tali casi occorrerà: devalutare sia l’acconto sia il credito liquidato alla data dell’illecito; calcolare la differenza; individuare il saggio degli interessi compensativi, con scelta equitativa da parte del Giudice di merito; effettuare un primo conteggio degli interessi (dalla data del sinistro sino al pagamento dell’acconto), e in tal caso si considererà come capitale l’intero credito devalutato (rivalutato anno per anno); effettuare un secondo conteggio degli interessi (dalla data del pagamento dell’acconto sino al saldo): in tal caso invece si considererà come capitale solo la differenza (rivalutata anno per anno).

Queste importanti “istruzioni” discendono dalla nota pronuncia Cass., Sez. Un., 17.02.1995 n. 1712, che impone al debitore di riversare al creditore-danneggiato il cosiddetto lucro cessante finanziario, ossia “i frutti che il denaro dovutogli a titolo di risarcimento sin dal giorno del sinistro avrebbe prodotto, in caso di tempestivo pagamento”.

Pertanto, onde calcolare l’ammontare dei detti interessi, nel caso di pagamento di un acconto, la posizione del creditore-danneggiato dovrà essere bipartita: dal sinistro sino al pagamento dell’acconto, nulla avendo ricevuto, lo stesso ha sostanzialmente perso la possibilità di conseguire frutti dall’intera somma di denaro dovuta – conseguentemente gli interessi compensativi andranno conteggiati sull’intera somma di denaro liquidata a titolo risarcitorio (senza portare in detrazione l’acconto); dal pagamento dell’acconto in avanti, avendo ricevuto una parte del capitale (ossia del risarcimento liquidato), invece il creditore danneggiato ha perso solamente la possibilità di far fruttare la differenza (tra il credito e l’acconto) – pertanto gli interessi compensativi andranno conteggianti solo sulla detta quota (e non più sull’intero valore del risarcimento).

La tesi alternativa seguita dalla Corte d’Appello, che prevedeva il conteggio degli interessi sempre e solo sulla differenza tra il credito e l’acconto, viene superata, con relativa critica al diverso orientamento giurisprudenziale, peraltro fondato esclusivamente sulla mera “maggiore semplicità” di calcolo.

Con questa pronuncia, in conclusione, viene confermato il diverso principio, già espresso dalla Cassazione, che garantisce l’integralità del ristoro in favore del creditore danneggiato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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