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E’ una delle principali preoccupazioni da parte di chi compra un’auto usata, il contachilometri “taroccato” per far risultare che il veicolo in questione abbia percorso meno km di quelli che in realtà ha macinato. Ma in questi casi, se la “truffa” viene scoperta, chi ne deve rispondere? Si può essere risarciti e da chi?

A tutte queste domande molto frequenti, vista la dimensione del mercato dell’usato in Italia, ben risponde la Cassazione con l’ordinanza n. 12606/22 depositata il 20 aprile 2022, con cui la Suprema Corte ha condannato definitivamente il venditore a risarcire l’acquirente gabbato, spiegando anche che nello specifico non si tratta di difetti “facilmente riconoscibili” tali da poter far scattare l’esenzione di responsabilità da parte di chi vende, ma di un “vizio” il cui accertamento comporta verifiche tecniche di tale complessità da esulare dall’onere di diligenza richiesto all’acquirente. Dunque, una sentenza che tutela i diritti e gli interessi dei consumatori.

Una causa per una vettura di cui si è scoperta la contraffazione dell’effettivo chilometraggio

La vicenda. Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 2013, in accoglimento della domanda proposta da un concessionario di auto usate di Massafra, la Smia spa, nei confronti di un privato che le aveva venduto una vettura usata, aveva dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita, condannando il venditore al pagamento della somma di 12.099 euro, oltre ad interessi e spese di lite. Ma i giudici avevano accolto anche la domanda di rivalsa formulata da quest’ultimo nei confronti di un altro concessionario, la Radicchio srl di San Giorgio Ionico, dalla quale aveva a sua volta acquistato il veicolo, condannando pertanto questa seconda società a pagare la somma che egli doveva al primo autosalone.

La Radicchio aveva quindi appellato la sentenza avanti la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, la quale, con sentenza del 2016, aveva rigettato il gravame confermando nella sostanza la decisione di primo grado, con un’unica riforma, peraltro in accoglimento del ricorso incidentale della Smia, limitatamente alla mancata previsione, nella regolazione delle spese di lite, degli “oneri borsuali”.

L’oggetto del contendere era, per l’appunto, la manomissione del contachilometri della macchina e la decisione della Corte territoriale era stata motivata dalla non facile riconoscibilità da parte della Smia di questa “contraffazione”, per quanto essa operasse nel settore dell’acquisto e della vendita di autoveicoli, e dalla considerazione che non incombesse sulla stessa parte, in maniera automatica, l’onere di verificare la condizione della merce con apposite attrezzature. Secondo i giudici di merito, la mera possibilità di svolgere tali indagini non trasformava i “vizi non riconoscibili” in “vizi apparenti”.

 

La rivendita di auto usate ricorre puntando sull’onere di diligenza di chi compra

La Radicchio srl tuttavia non si è data per vinta e ha proposto ricorso anche per Cassazione, tornando a dedurre con forza il presunto omesso esame di un “fatto storico”, ossia la particolare competenza della società acquirente nell’ambito del mercato delle auto usate: secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe affrontato sbrigativamente le censure alla sentenza di primo grado riguardanti le questioni dell’agevole riconoscibilità del vizio redibitorio e dell’onere di peculiare diligenza imposto all’operatore professionale nel settore della commercializzazione di autoveicoli usati.

Secondo la società, l’art. 1491 c.c., costituendo esplicazione del principio di autoresponsabilità, predicherebbe l’osservanza di un onere di diligenza a carico del compratore il cui grado non potrebbe essere definito in astratto, ma andrebbe valutato ed apprezzato in concreto, avendo riguardo alle peculiari circostanze della compravendita, alla natura e alle caratteristiche del bene che ne sia oggetto e alle qualità personali dell’acquirente. Dal momento che la SMIA operava proprio nel settore dell’acquisto e della vendita di veicoli usati, avrebbe dunque avuto tutte le caratteristiche per effettuate essa stessa “controlli di routine”, che invece aveva fatto eseguire solo subito dopo il perfezionamento dell’acquisto.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, il ricorso è infondato. Con l‘occasione gli Ermellini fanno chiarezza sulla questione partendo da un “necessario e preliminare” inquadramento della fattispecie all’interno del quadro normativo di riferimento: l’art. 1491 c.c., rubricato “Esclusione della garanzia”. Il quale, per citarne il testo, dispone che “Non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.”. La Cassazione cita inoltre l’art. 1494 c.c. in ordine al “Risarcimento del danno”, che aggiunge: “In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa”.

L’art. 1491 c.c., dunque, fanno notare i giudici del Palazzaccio, prevede l’esenzione da ogni responsabilità per i difetti “facilmente riconoscibili“, “in quanto l’acquirente li avrebbe potuti appurare con una verifica della relativa condizione, eventualmente anche con opportuna assistenza tecnica. L’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 c.c., costituisce applicazione del principio di auto-responsabilità e consegue all’inosservanza dell’onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione”.

 

L’onere di diligenza del compratore non può spingersi a indagini specialistiche “penetranti”

La Suprema Corte aggiunge tuttavia che, per costante giurisprudenza, “sebbene il grado della diligenza esigibile non possa essere predicato in astratto, ma debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell’acquirente”, essa è tuttavia da escludere “laddove l’onere di diligenza del compratore debba spingersi sino al punto di postulare il ricorso all’opera di esperti o l’effettuazione di indagini penetranti ad opera di tecnici del settore, al fine di individuare il vizio. Inoltre, ai fini dell’esclusione della garanzia per i vizi della cosa venduta, l’art. 1491 c.c. non richiede il requisito dell’apparenza, ma quello della facile riconoscibilità del vizio”.

E’ appunto questo onere che può essere richiesto al compratore, ai sensi dell’art.1491 c.c., “il quale non postula una particolare competenza tecnica, né il ricorso all’opera di esperti, ma è circoscritto alla diligenza occorrente per rilevare i difetti di facile percezione da parte dell’uomo medio”.

 

Perché scatti l’esclusione della garanzia il vizio deve essere facilmente riconoscibile

In questo caso, invece, arriva al dunque la Cassazione, “il ricorso all’esperto segna il discrimen tra le ipotesi in cui sia prevista la garanzia e quelle in cui sia esclusa, e cioè, se il vizio sia o meno facilmente riconoscibile”. La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con la motivazione della sentenza impugnata che, a giudizio degli Ermellini, si profila “adeguata e logica in relazione alla valutazione degli accertamenti di fatto operati”, aveva “congruamente” rilevato che, a seguito della stipula del contratto di compravendita intervenuto nell’ottobre 2011 fra la SMIA, quale acquirente, e il soggetto che l’aveva a sua volta acquistata dalla Radicchio srl poco più di un anno prima, “era rimasto comprovato che il vizio lamentato, costituito dalla importante alterazione del contachilometri, era emerso solo a seguito di apposito accertamento tecnico, avvalendosi dell’opera di esperti e di macchinari altamente tecnologici; né la Radicchio aveva sconfessato i dati riportati nella scheda esibita, avendo scelto di rimanere contumace”.

La Corte territoriale, peraltro, aggiungono i giudici del Palazzaccio, aveva evidenziato che la natura di tale vizio, “il quale non era immediatamente percepibile dagli acquirenti nella loro effettiva e sostanziale portata all’atto della compravendita”, era rimasta riscontrata all’esito delle stesse risultanze della consulenza.

In conclusione, sulla base delle appurate circostanze di fatto, “la Corte distrettuale – sancisce la Cassazione – ha esattamente ritenuto, in punto di diritto, che, nella fattispecie, non poteva escludersi l’operatività della garanzia ex art. 1491 c.c, poiché tale eventualità può verificarsi solo quando l’acquirente sia posto nella condizione (e, quindi, abbia l’immediata possibilità, in virtù di una mera ricognizione superficiale del bene compravenduto, o per esserne reso edotto dalla parte venditrice) di conoscere o riconoscere la reale ed esatta entità dei vizi o difetti, condizione questa che non si era configurata nel caso in questione al momento della compravendita, ma che si era venuta a realizzare soltanto successivamente a seguito di appositi approfondimenti tecnici effettuati dall’ultima acquirente”.

Una decisione in perfetta linea con la giurisprudenza di legittimità la quale, conclude la sentenza, ha, in materia, statuito che “il discrimen è rappresentato proprio dalla necessità o meno dell’utilizzazione dell’esperto per l’esclusione della garanzia, ai sensi dell’art. 1491 c c. Pertanto, sebbene il grado della diligenza esigibile da parte dell’acquirente debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, compresa la stessa qualità dell’acquirente, tuttavia non può spingersi sino al punto di postulare il ricorso ad indagini con mezzi altamente specialistici, come, in effetti, verificatosi nel caso di specie, senza, che peraltro, i venditori avessero reso edotta l’acquirente finale delle reali condizioni del bene”.  Il ricorso è stato pertanto rigettato, con la definitiva condanna della Radicchio srl.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenziosi con Aziende

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