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Colpa medica grave o imperizia.
Come stabilirla?

Per stabilire se la condotta di un medico sia o meno sussumibile nell’ambito della colpa per imperizia, il giudice deve necessariamente indicare le ragioni della sua valutazione sia in relazione alla fonte (linee-guida o buone pratiche), sia in relazione alla natura della regola di condotta. Solo in tal modo, infatti, è possibile valutare correttamente la possibilità di applicare retroattivamente la disciplina dettata dalla legge Gelli a ipotesi verificatesi durante la vigenza del decreto Balduzzi.

Sono queste le indicazioni fornite dalla Corte di cassazione nella recente sentenza numero 37794/2018 IN MERITO ALLA COLPA MEDICA GRAVE, depositata il cancelleria il 6 agosto, con la precisazione che l’articolo 6 della legge Gelli “attiene al profilo squisitamente tecnico-scientifico dell’arte medica, e dunque regola la sola colpa per imperizia, consentendo al sanitario di conoscere quali saranno i parametri di valutazione del suo operato professionale qualora il caso concreto sia suscettibile di essere inquadrato in procedure prescritte da linee-guida ufficiali o da buone pratiche clinico-assistenziali“.

Nel caso in questione, la vicenda riguardava un paziente che, lamentando forti dolori all’addome e agli organi genitali e vomito, si era recato al pronto soccorso ed era stato dimesso con diagnosi di sospetta torsione del testicolo; era quindi stata richiesta una consulenza chirurgica dopo la quale l’uomo era stato dimesso come paziente asintomatico con prescrizione di un successivo controllo presso il medico generico.

I dolori, tuttavia, non si erano arrestati, tanto da indurre il paziente a consultare un urologo che, al momento della visita, rilevava tramite ecografia la torsione del testicolo sinistro alla quale seguiva un’operazione d’urgenza. Il paziente si era quindi rivolto alla giustizia lamentando che la condotta omissiva del primo medico aveva comportato la perdita dell’uso di un organo o l’indebolimento permanente. Il medico aveva subito una condanna penale sia in primo che in secondo grado, ma secondo la Cassazione i giudici del merito, secondo quanto sancito nella sentenza, avrebbero disposto una condanna non supportata da una motivazione chiara.

Nel dettaglio, la Cassazione ha contestato la scelta del giudice del merito di non procedere a un accertamento rigoroso della fonte delle regole di comportamento che il sanitario avrebbe dovuto seguire dinanzi alla sintomatologia lamentata dal paziente e la circostanza che la stessa è stata motivata con affermazioni apodittiche. La distinzione del grado della colpa quale discrimine tra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante, invece, “avrebbe imposto un’analisi critica circa la corrispondenza della condotta concretamente individuata come rimproverabile alla colpa grave previa verifica dell’effettiva pertinenza nel caso concreto delle linee guida indicate dai periti ed, in ogni caso, dello scostamento della condotta del sanitario dalle predette linee guida e dalle buone prassi“.

 

La Corte d’appello, di conseguenza, dovrà tornare nuovamente a pronunciarsi sulla questione, tenendo conto di quanto precisato dalla Cassazione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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