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I medici hanno il dovere d’informare. Qualora non vi fosse il consenso informato, il paziente dovrà essere risarcito anche se l’intervento chirurgico fosse riuscito. Per i giudici della terza sezione civile della Corte di Cassazione violare questo obbligo è un danno autonomo da risarcire anche se la salute non ha subito dei danni.

La vicenda nasce a fine 2002, quando una donna citò in giudizio un professore e la casa di cura di Piacenza per ottenere il risarcimento del danno conseguenti a un intervento chirurgico. Nove anni prima, nel 1993, a causa di alcune crisi di cefalee di cui soffriva sin dalla tenera età, si era rivolta allo specialista che le aveva consigliato di sottoporsi a un intervento chirurgico. L’operazione non solo non aveva guarito la paziente ma la situazione si era complicata ancor di più, comportando a dei problemi di respirazione, un calo dell’olfatto, infiammazioni e sintomi depressivi. La donna, dunque, chiese un risarcimento di un milione di euro per tutti i danni non patrimoniali patiti da lei, dal marito e dalla figlia. A quel punto, il medico chiese che il contraddittorio fosse allargato anche a Ras Assicurazioni, ovvero la compagnia della casa di cura dove l’intervento fu eseguito.

Il Tribunale di Piacenza accolse la domanda della paziente, nonostante l’operazione fosse stata eseguita in modo corretto e senza errori ma la terapia non era adeguata e non era stata informata dei rischi a cui sarebbe potuta andare incontro. Come responsabili furono individuati lo specialista e la casa di cura.

Ma la vera battaglia fu su come liquidare il danno, accertato a mezzo di Ctu, ossia la consulenza tecnica: 18 per cento per quello biologico (un anno di invalidità temporanea, sei mesi al 50 per cento e altrettanti al 25 per cento), giudicandoli esaustivi e comprensivi della sofferenza morale patita dalla donna. L’indennizzo avvenne sulla base delle cosiddette tabelle di Milano, con interessi computati a decorrere da una data intermedia tra il fatto e la sentenza. Lo stesso Tribunale di Piacenza rigettò la domanda risarcitoria della donna perché ritenuta infondata e lo stesso fece per il chirurgo verso la compagnia Ras.

La Corte d’Appello di Bologna confermò la decisione ma la donna ricorse in Cassazione considerando errate le sentenze del merito laddove non ravvisano come autonoma e distinta voce di risarcimento la mancanza di informazione e di consenso informato.

Sentenza ribaltata dalla Corte di Cassazione perché “è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, “ex ante”, necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, “ex post”, integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento. Infatti in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’“id quod plerumque accidit”, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo”.

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Dott. Nicola De Rossi

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