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Non si deve tenere conto della pensione di reversibilità nella liquidazione del danno patrimoniale da morte del familiare: non si dovrà operare, dunque, alcuna detrazione a quanto già percepito a titolo di reversibilità dal congiunto del defunto, poiché l’erogazione previdenziale non riveste una natura risarcitoria ed ha, altresì, diverso titolo rispetto al fatto illecito.

Lo ha definitivamente chiarito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella fondamentale sentenza n. 12564/2018 con la quale ha accolto il ricorso di una vedova a cui i giudici di merito avevano negato il pieno risarcimento a causa della perdita del proprio marito provocata da un incidente stradale.

La donna ha affidato al Supremo consesso la sua richiesta di chiarimenti circa la possibilità (o meno) che il danno patrimoniale patito dal coniuge di persona deceduta, consistente nella perdita dell’aiuto economico offerto dal defunto, dovesse essere liquidato detraendo dal credito risarcitorio il valore capitalizzato della pensione di reversibilità accordata al superstite dall’Inps (in foto, la sede di Roma).

La Cassazione offre una disamina esaustiva della complessa e delicata materia, evidenziando, in particolare, come sul punto si siano registrati nel tempo due orientamenti contrastanti.

Il primo, più risalente e prevalente, esclude che dall’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno patrimoniale da morte del familiare vada detratto quanto già percepito dal coniuge a titolo di pensione di reversibilità. Tale conclusione trova fondamento sia sulla natura non risarcitoria di tale erogazione previdenziale, sia sull’inapplicabilità, in ragione della diversità di titolo dell’attribuzione patrimoniale pensionistica rispetto al fatto illecito, della compensatio lucri cum damno.

Invece, un secondo e più recente orientamento ha affermato l’opposto principio, ritenendo che dall’ammontare del risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui vada sottratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto. Conclusione, questa, che valorizza funzione indennitaria assolta da tale trattamento, rivolto a sollevare i familiari dallo stato di bisogno derivante dalla scomparsa del congiunto, con conseguente esclusione nei limiti del relativo valore, di un danno risarcibile.

Le Sezioni Unite, tuttavia, ritengono di non dare seguito a questo secondo assunto, sottolineando come, nel caso in esame, si sia in presenza di un duplice rapporto bilaterale.

Da un lato, c’è la relazione creata dal fatto illecito, permeata dalla disciplina della responsabilità civile che garantisce, dopo il decesso della vittima primaria a causa del sinistro stradale, il risarcimento del danno patrimoniale sofferto da familiari per la perdita del sostentamento economico loro assicurato in vita dal congiunto.

Dall’altro, c’è la relazione discendente dalla legislazione previdenziale che, attraverso la pensione di reversibilità, assicura a quei medesimi familiari un trattamento economico alla morte del titolare della posizione previdenziale anche quando il decesso dipenda dall’illecito di un terzo cumulo.

I giudici ritengono che il computo della pensione di reversibilità, in differenza alle conseguenze negative che derivano dall’illecito, non possa essere consentito poiché quel trattamento previdenziale non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde a un diverso disegno attributivo causale.

Nel dettaglio, la causa più autentica di tale beneficio è stata individuata nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge, ovvero tutti fattori che configurano una serie causale indipendente e assorbente rispetto alla circostanza occasionale e giuridicamente irrilevante che determina la morte.

L’occasione materiale del decesso, ossia l’illecito altrui, resta del tutto confinata all’esterno di questa erogazione previdenziale e scomputarne l’importo quando per evenienza il decesso abbia origine da un illecito civile produrrebbe conseguenza di dubbia costituzionalità. La reversibilità, infatti, si ricollega a un sacrificio economico del lavoratore e non a un vero e proprio lucro.

Pertanto, concludono i giudici, le due prestazioni sono cumulabili, come confermato dal principio di diritto secondo cui: “dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui, non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall’Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto“.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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