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L’attività stragiudiziale ha piena dignità e va riconosciuta economicamente secondo le tariffe forensi.

Con la sentenza n. 17.685/19 depositata il 2 luglio 2019, la Corte di Cassazione entra su una tematica quella delle spese sostenute dai danneggiati nella fase antecedente alla causa, che spesso i tribunali sono restii a riconoscere, e chiarisce alcuni principi che restituiscono il giusto valore a questo fondamentale lavoro di patrocinio.

 

Le spese stragiudiziali sono voce del danno emergente

La Suprema Corte si è trovata a deliberare sul ricorso presentato da un automobilista pugliese contro una sentenza del 2017 del Tribunale di Taranto che, confermando il pronunciamento del Giudice di Pace della stessa città, aveva a suo dire erroneamente ripartito al 50% la responsabilità relativa ad un sinistro nel quale egli era rimasto coinvolto.

Tra i motivi di doglianza espressi dal ricorrente vi erano anche la conseguente ripartizione al 50% delle spese di c.t.u. e la compensazione delle spese di lite, così come la decurtazione della liquidazione delle spese stragiudiziali operata dal Tribunale. Al di là del caso specifico, quel che qui preme è che la controversia dà modo agli Ermellini di approfondire la questione.

La Cassazione premette innanzitutto che “le spese legali sostenute, dalla parte risultata poi vittoriosa, nella fase precedente all’instaurazione del giudizio, divengono una componente del danno da liquidare e, come tali, devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali, non ostandovi la disposizione dell’art. 9, comma 2, del d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, emanato in attuazione dell’art. 150, comma 1, del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 – peraltro non applicabile alla fattispecie in cui l’offerta dell’assicuratore è stata ritenuta insufficiente dal danneggiato”.

La sua interpretazione costituzionalmente orientata all’art. 24 della Costituzione, infatti, “non preclude la risarcibilità delle spese ulteriori sostenute dal danneggiato per ottenere il risarcimento del danno: trattandosi di una voce di danno emergente, la spesa per tale attività professionale deve porsi in nesso di strumentalità necessaria rispetto all’esercizio del diritto al risarcimento dei danni, dovendo risultare, quindi, una conseguenza diretta e necessaria dell’eventum-damni ex art. 1223 c.c.: verifica, questa, che va condotta considerando, in relazione all’esito della lite su tale aspetto, se la spesa sia stata necessitata e giustificata al fine dell’esercizio del diritto al risarcimento anche nella fase stragiudiziale”.

 

E vanno liquidate secondo le tariffe forensi

Ma la Suprema Corte asserisce, soprattutto, che, “pur non essendo assimilabili le spese di assistenza legale stragiudiziale a quelle giudiziali vere e proprie, avendo natura di danno emergente, tuttavia, la loro liquidazione, in quanto riferibile ad attività svolta dal professionista legale, è disciplinata egualmente dalle tariffe forensi, ed è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali”.

Pertanto, stabilisce la Suprema Corte, ne consegue che, “se l’attività stragiudiziale presenta carattere di autonoma rilevanza rispetto alla successiva attività giudiziale, la stessa deve essere liquidata in base ai parametri tabellari dalla tariffa forense, che al n. 25 intitolato “prestazioni di assistenza stragiudiziale”, individua in relazione allo scaglione del valore della causa l’importo “medio” ed “onnicomprensivo” (ai sensi dell’art. 18 e dell’art. 19, ultima parte, del DM n. 55/2014) delle prestazioni professionali svolte in sede stragiudiziale, in relazione ad ogni attività inerente all’affare”.

E la quantificazione del compenso dovuto per tale attività, conclude la sentenza, “se determinata in misura compresa tra i minimi e i massimi tariffari, costituisce oggetto di apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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