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Se il proprio affittuario restituisce l’immobile locato in condizioni disastrose, con danni ben al di là di quelli giustificati dal normale utilizzo, si ha il diritto di pretendere non solo le spese per gli interventi di riparazione, ma anche le mensilità di affitto perdute per la sua mancata disponibilità.

A ribadire e chiarire l’importante principio la Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, con l’interessante ordinanza n. 6596 del 7 marzo 2019.

 

L’immobile fu concesso in locazione alla Provincia di Catanzaro

La vicenda. La proprietaria originaria dell’immobile, situato a Catanzaro, nel 1973 lo aveva concesso in locazione alla Provincia perché fosse destinato a sede del Provveditorato agli studi.

Nel 2007 i suoi eredi proposero ricorso per accertamento tecnico preventivo, con finalità conciliativa, ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c., per accertare i danni arrecati all’immobile dall’amministrazione, nonché le opere, le riparazioni e gli oneri tecnici necessari per ripristinare lo stato dei luoghi.

Dall’Atp era effettivamente emersa l’esistenza di gravi danni, arrecati dall’amministrazione provinciale catanzarese che ne era la conduttrice.

Gli eredi chiesero pertanto la condanna della Provincia al risarcimento dei danni, oltre ad una indennità per il mancato utilizzo dei locali durante il tempo che sarebbe stato necessario per l’esecuzione dei lavori, indicato dal consulente tecnico d’ufficio in nove mesi.

 

Primo grado e Corte d’Appello

Il Tribunale di Catanzaro accolse la domanda, rideterminò in quattro mesi il periodo di tempo occorrente ai proprietari per il restauro dell’edificio e accordò loro anche gli interessi e la rivalutazione sulle somme ad essi liquidate con decorrenza dalla domanda.

La Provincia, tuttavia, appellò la sentenza e la Corte d’Appello di Catanzaro accolse parzialmente l’appello, asserendo – per quel che qui interessa – che non spettava ai proprietari alcun risarcimento o ristoro della perduta possibilità di locare l’immobile a terzi durante il tempo occorrente per il restauro e questo perché essi non avevano dimostrato che, “nell’ipotesi in cui l’immobile fosse stato riconsegnato nelle condizioni dovute, la parte proprietaria avrebbe potuto dar corso all’immediata nuovo locazione così realizzando l’acquisizione di ulteriore prestazione patrimoniale”.

 

Il ricorso in Cassazione

Ed è appunto questa sentenza che gli eredi hanno impugnato in Cassazione.

Con il primo motivo di doglianza, quello che interessa in particolare, i ricorrenti hanno lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1175, 1177 e 1590 c.c., ritenendo che la Corte d’appello avesse errato addossando loro l’onere di provare che, durante il tempo necessario per il restauro dell’immobile, avrebbero perduto i frutti ricavabili dalla sua locazione.

E hanno sostenuto che, quando il conduttore restituisca un immobile, al termine della locazione, in condizioni tali da richiedere un restauro, il danno sarebbe in re ipsa, e il locatore non dovrebbe affatto provare di aver perduto la possibilità di stipulare un vantaggioso contratto di locazione nel tempo necessario per il restauro.

 

L’affitto perduto per l’indisponibilità dell’immobile

Un motivo che gli Ermellini hanno giudicato pienamente fondato.

“Nella giurisprudenza di questa Corte, infatti – recita l’ordinanza – è pacifico che “qualora, in violazione dell’art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l’immobile locato presenti danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l’obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto per tutto il periodo necessario per l’esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest’ultimo riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto – da parte di terzi – richieste per la locazione, non soddisfatte a causa dei lavori”.

E’ pertanto palese, ricorda ancora la Cassazione, che, ogni qual volta il locatore per colpa del conduttore non può disporre della cosa locata, lo stesso ha diritto a conseguire “il corrispettivo convenuto”, nonché eventuali danni, ulteriori, ove ne dimostri l’esistenza.

E si ha la “mancata disponibilità” della cosa locata non solo quando, scaduto il termine per la restituzione, il conduttore non vi provveda, ma anche tutte le volte in cui, per fatto imputabile al conduttore, il locatore non può trarre, dalla cosa, alcun vantaggio, “come ad esempio, nell’ipotesi in cui l’immobile presenti, alla riconsegna (e quindi dopo la restituzione, eventualmente ritardata a norma dell’art. 1591 c.c.) danni eccedenti il degrado dovuto a normale uso dello stesso, con conseguente sua inutilizzabilità per tutto il periodo per il quale si protraggono i lavori di ripristino”.

Insomma, in caso di anormale usura dell’immobile, il locatore ha diritto al risarcimento del danno consistente “sia nella somma di denaro occorrente per l’esecuzione delle riparazioni imposte dai danni all’immobile provocati dal conduttore, sia nel mancato reddito ritraibile dalla cosa nel periodo di tempo necessario per l’esecuzione dei lavori di riparazione”.

 

Danno in re ipsa o danno da ritardata restituzione

Con un’unica precisazione da parte della Suprema Corte: il risarcimento dovuto al locatore in conseguenza della mancata disponibilità del bene durante il periodo occorrente per il restauro non costituisce un danno in re ipsa: “il periodo di indisponibilità dell’immobile reso necessario dall’urgenza del restauro, è dalla giurisprudenza di questa Corte equiparato quoad effectum alla ritardata restituzione dell’immobile, con la conseguenza che spetterà per tale periodo al proprietario “il corrispettivo convenuto”, ai sensi dell’art. 1591 c.c., salva la prova del maggior danno, che grava sul locatore”.

La sentenza per il motivo in questione è stata pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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