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Ai fini del bonus prima casa, nei 240 metri quadrati di superficie entro i quali l’immobile deve rientrare per beneficare dell’agevolazione vanno computati anche murature, pilastri, tramezzi, vani di porte e finestre e, in sostanza, tutta la superficie utile complessiva, perché ciò che conta è l’utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti.

A chiarire la norma la Cassazione, con l’ordinanza n. 22690/2022 depositata il 20 luglio 2022, a cui è opportuno dare ampia diffusione onde evitare brutte sorprese per tanti ignari contribuenti che invece sono convinti, vista anche la complessità e la non facile interpretazione della normativa in questione (anche da parte delle stesse Commissioni Tributarie territoriali)  che tali elementi non andassero ricompresi nel conteggio. 

L’Agenzia delle Entrate chiede un “surplus” d’imposta a una contribuente 

Com’è capitato a una contribuente reggiana a cui lAgenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di liquidazione per “riprese” (ossia differenze date dall’applicazione della normativa fiscale)  relative all’imposta di registro ed all’Iva riguardanti un atto di compravendita concluso e in ordine al quale essa aveva usufruito dell’aliquota agevolata per l’acquisto della prima casa: secondo l’agenzia fiscale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la donna non avrebbe avuto diritto all’agevolazione in quanto l’immobile avrebbe superato la superficie di 240 metri quadrati oltre la quale non si parla più di prima casa ma di “abitazione di lusso”. 

La contribuente aveva impugnato il provvedimento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia che, con sentenza del 2015, aveva accolto il suo ricorso; l’Agenzia aveva quindi proposto appello avanti la Commissione Tecnica Regionale dell’Emilia Romagna che, con decisione del 2019, aveva rigettato il gravame. 

 

La superficie dell’immobile acquistato sarebbe sotto i 240 mq, legittimo il bonus prima casa

La Commissione aveva concluso che, secondo un calcolo favorevole alla proprietaria elaborato dall’Agenzia del territorio, la superficie dell’immobile in questione sarebbe rimasta contenuta entro i 240 metri quadrati, con conseguente insussistenza del presupposto della metratura per la decadenza dal beneficio e che, in ogni caso, la normativa relativa alle caratteristiche di lusso o meno di un immobile imponeva di considerare anche ulteriori elementi, quali l’ubicazione, la presenza o meno dell’ascensore e, più in generale il classamento catastale dell’edificio.

L’Agenzia delle Entrate tuttavia non se n’è data per intesa e ha proposto ricorso anche per cassazione, affidato a due motivi. La ricorrente ha lamentato il fatto che la Commissione Tributaria regionale non avrebbe fatto corretto riferimento, ai fini dell’individuazione delle caratteristiche identificative delle abitazioni di lusso, ai criteri definiti nel D.M. 2.8.1969, considerando necessaria, a tal fine, la presenza di altri elementi (quali ubicazione classamento, finiture di pregio), travisando i mezzi di prova prodotti in causa.

 

Conta la superficie utile complessiva, l’utilizzabilità e non l’effettiva abitabilità degli ambienti

La Suprema Corte le ha dato ragione. In tema di agevolazioni cosiddette “prima casa”, al fine di stabilire se un’abitazione sia di lusso e, come tale, esclusa da tali benefici, “occorre fare riferimento – avuto riguardo al momento dell’acquisto dell’immobile originante la ripresa per cui è causa – alla nozione di “superficie utile complessiva” di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici n. 1072 del 1969” spiegano gli Ermellini. 

Il decreto, “premesso che viene in rilievo la sola utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti“, puntualizzano i giudici del Palazzaccio, stabilisce che detta superficie debba essere determinata “escludendo dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina”. Ma i giudici del Palazzaccio chiariscono poi che, “costituendo parametro idoneo la “utilizzabilità” degli ambienti (a prescindere dalla loro effettiva abitabilità), a titolo esemplificativo, i vani, pur qualificati come cantina e soffitta ma con accesso dall’interno dell’abitazione (e, quindi, assimilabili a un soppalco) e ad essa indissolubilmente legati, sono computabili nella superficie utile complessiva”; del pari, “rientra nella superficie utile il sottotetto, trattandosi di locale non compreso nella predetta elencazione tassativa; in definitiva, “ciò che assume rilievo – in coerenza con l’apprezzamento dello stesso mercato immobiliare – è la marcata potenzialità abitativa dello stesso e, più precisamente, l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana”. 

 

Vanno computati anche muri perimetrali e divisori, pilastri, tramezzi e vani di porte e finestre 

Arrivando quindi al dunque, la Cassazione aggiunge anche che, ai fini dell’imposta di registro, l’art. 6 del d.m. n. 1072 del 1969, deve essere interpretato nel senso che “è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto auto, rientrando nel calcolo dei 240 metri quadrati anche le murature, i pilastri, i tramezzi e i vani di porte e finestre”. In ultima analisi, quindi,  l’articolo 6 cit. va interpretato nel senso “di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie “utile” dell’immobile, indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo, gli ambienti di cui si è detto e non l’intera superficie non calpestabile”. 

Ragion per cui, va a concludere la Suprema Corte, la Commissione Tributaria Regionale, non si è, dunque, attenuta a tali principi, “così falsamente interpretando la normativa contenuta nel richiamato D.M., laddove: non ha tenuto in debito conto, ai fini del computo della superficie “utile”, i muri perimetrali e divisori, pure pacificamente riportati nella perizia dell’Ufficio provinciale del Territorio allegato all’avviso di liquidazione; ha considerato necessaria, ai fini della qualificazione dell’abitazione come di lusso, altri elementi (quali l’ubicazione, la presenza o meno dell’ascensore e, più in generale il classamento catastale dell’edificio) non richiesti dalla norma”.

Secondo la Cassazione, peraltro, non rileva, in senso contrario a quanto detto, che la prassi anteriore alla sentenza n. 21287 del 2013 della stessa Suprema Corte escludesse dal computo della superficie “utile” i muri perimetrali e divisori”, come sostenuto nel controricorso della contribuente. “Premesso, infatti – osservano i giudici del Palazzaccio – che le allegazioni difensive di parte controricorrente confondono e sovrappongono i concetti di prassi (amministrativa) e di mutamento dell’orientamento giurisprudenziale (quasi ad invocare, a conferma della illegittimità della ripresa, l’esistenza di un “overruling” sfavorevole al contribuente), la questione appare del tutto nuova, non essendovene traccia nella decisione impugnata né, tantomeno, avendo parte ricorrente chiarito se, dove, come e quando essa fu proposta nei precedenti gradi di merito”. 

In ogni caso, conclude la Cassazione, “i principi in tema di overruling presuppongono un mutamento imprevedibile della giurisprudenza su una regola del processo, che comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte e non trovano applicazione, al contrario, rispetto a norme attributive di diritti, rispetto ai quali i titolari non possono vantare aspettative d’immutabilità giuridica riguardo alla giurisprudenza”.

Il ricorso è stato pertanto accolto, con la conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio alla Corte Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, per il riesame della vicenda.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenzioso con Pubblica Amministrazione

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