Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Se prospettata come facoltativa e non obbligatoria, e tanto più in cambio di incentivi e sconti sul premio per invogliarne l’accettazione,  non può considerarsi vessatoria la clausola contenuta nel contratto di assicurazione che impone all’assicurato di rivolgersi, per le riparazioni alla vettura consegnanti ad un sinistro stradale, solo ad officine o carrozzerie convenzionate con la compagnia assicurativa in questione.

Lo ha chiarito la Cassazione, con l’ordinanza n. 23415/22 depositata il 27 luglio 2022, che ripropone con forza la necessità per gli assicurati, prima di mettere nero su bianco la propria firma sulla polizza Rc-Auto, di valutarne attentamente tutte le condizioni, meglio se con l’ausilio di esperti. 

Un automobilista cita la sua compagnia per il risarcimento per i danni da grandine all’auto

Un’automobilista aveva citato in causa avanti il giudice di Pace di Torino UnipolSai chiedendone la condanna al pagamento della somma di 902,60 euro a titolo di integrazione dell’indennizzo dovutole per i danni da grandine subìti dalla sua auto. La vettura era stata assicurata per l’appunto con la compagnia assicurativa in questione con una polizza che garantiva il ristoro dei pregiudizi provocati da eventi naturali e fenomeni atmosferici. A seguito della grandinata, la vettura aveva subìto danni stimabili in 4.514 euro e la danneggiata aveva ceduto il credito ad una carrozzeria di sua fiducia non convenzionata con la società di assicurazione, la quale aveva provveduto alla riparazione. UnipolSai tuttavia aveva offerto la minor somma di 3.160 euro, cosicché il carrozziere aveva revocato la cessione del credito e preteso il pagamento del residuo.

Indennizzo decurtato perché la danneggiata si era rivolta a un’officina non convenzionata

Per motivare la ridotta offerta la compagnia aveva invocato l’operatività della cosiddetta clausola “Riparazione Comfort”, descritta nelle condizioni generali di assicurazione illustrate nel fascicolo informativo e richiamata nella polizza da lei sottoscritta, la quale consentiva all’assicurato di fruire di una riduzione del premio a fronte dell’impegno di far riparare il veicolo danneggiato da un carrozziere convenzionato con la società, ma stabiliva anche – per il caso in cui tale impegno non fosse stato onorato e l’assicurato si fosse rivolto ad un carrozziere di sua fiducia pretendendo dalla compagnia l’indennizzo per equivalente anziché in forma specifica – un aumento della franchigia dal 10% al 30%. L’automobilista aveva quindi chiesto la declaratoria di nullità o di inefficacia della clausola contrattuale e la condanna di UnipolSai al pagamento della differenza (pari a 902,60 Euro) tra l’indennizzo erogatole (calcolato sulla franchigia del 30%) e l’indennizzo dovutole, calcolato sulla minor franchigia del 10%. 

 

La clausola “Riparazione confort” non è vessatoria

Il Giudice di pace tuttavia aveva rigettato la domanda e il Tribunale di Torino, con sentenza del 2018, aveva respinto la sua successiva impugnazione della decisione di prime cure. Secondo i giudici territoriali, la clausola in questione non era vessatoria, né ai sensi dell’art. 1341 c.c. né ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), poiché non avrebbe comportato alcuna limitazione della responsabilità dell’assicuratore né alcun significativo squilibrio tra le parti del rapporto contrattuale: anzi, la sottoscrizione della clausola avrebbe attribuito dei vantaggi all’assicurato (consistenti nel diritto ad un sensibile sconto sul premio e alla riparazione del danno in forma specifica, immediata e veloce, senza anticipazione di costi), a fronte dei quali la sua scelta di rivolgersi ad altri riparatori non poteva gravare sull’altro contraente adempiente, ossia l’impressa di assicurazione.

Era facoltativa e liberamente sottoscritta

Secondo il tribunale, attraverso la libera sottoscrizione, nel prospetto di polizza, della dichiarazione di conoscere e di accettare specificamente le disposizioni della “Linea Comfort” riportate nelle condizioni di assicurazione contenute nel relativo fascicolo informativo, l’assicurata avrebbe validamente ed efficacemente espresso il suo consenso alla stipula del contratto con accettazione di tale clausola, “atteso, per un verso, che le condizioni generali di contratto, ove, come nella specie, venivano espressamente richiamate nel documento firmato (ed illustrate nel fascicolo informativo), contribuiscono a determinare l’oggetto del contratto medesimo – per citare la sentenza – e, considerato, per l’altro, che la firma della parte su un documento che richiama expressis verbis il contenuto di altro documento equivale ad accettare quel contenuto

 

L’assicurato contesta la trasparenza e la contraddittorietà del contratto

La danneggiata tuttavia ha ritenuto di ricorrere anche per Cassazione con cinque motivi di doglianza, nel primo dei quali lamentava la non conoscibilità, in base al prospetto di polizza, delle specifiche condizioni contenute nella clausola che stabiliva la riparazione in forma specifica, da ritenersi, pertanto, inefficace. Secondo la ricorrente, essa prevedeva una limitazione della responsabilità dell’assicuratore, concedendogli, per il caso di mancata riparazione presso una carrozzeria di sua fiducia, la possibilità di applicare uno scoperto aggiuntivo del 20%; per l’assicurata, l’intera regolamentazione contrattuale sarebbe stata contraddittoria sul punto e pertanto essa avrebbe dovuto essere interpretata a favore della contraente debole. 

L’automobilista sosteneva poi che la clausola contrattuale impugnata incideva sulle modalità di adempimento dell’obbligazione avente ad oggetto la corresponsione dell’indennizzo assicurativo, introducendo, per citare il ricorso, “limitazioni della garanzia” ed “oneri a carico dell’assicurato”, e pertanto avrebbe potuto produrre effetti solo se specificamente approvata dal contraente: la mancata esplicitazione del contenuto della clausola nel prospetto di polizza avrebbe determinato una violazione dei principi di buona fede e correttezza nella formazione del contratto, nonché degli obblighi di pubblicità, chiarezza e trasparenza cui è tenuto l’assicuratore. L’attribuzione a quest’ultimo della facoltà di provvedere alla riparazione in forma specifica gli avrebbe consentito per un verso di sottrarsi all’operatività del principio indennitario e all’obbligo di eseguire il pagamento in denaro, per l’altro di effettuare una scelta riservata dalla legge al danneggiato. 

 

Sotto accusa anche la sperequazione tra vantaggi (scarsi) e svantaggi per l’assicurato

Ancora, la ricorrente ha criticato la sentenza impugnata per avere omesso l’esame della circostanza (a suo dire decisiva e controversa) che nel prospetto di polizza non era associato alcuno sconto in relazione alla garanzia per i danni provocati dai fenomeni naturali, mentre l’esplicitata relazione tra il premio applicato e le riduzioni previste dalla tariffa “Riparazione Comfort”, pari al 3 per cento, evidenziava l’inesistenza di una proporzione tale da preservare il sinallagma contrattuale, dato che allo sconto del 3 per cento seguiva un aumento della franchigia (e dunque una decurtazione del risarcimento) del 20 per cento. Secondo l’automobilista il Tribunale non avrebbe chiarito in merito quale prova o argomento di prova avesse offerto la compagnia assicurativa al fine di superare la sua contestazione relativa all’assenza di sconti e, comunque, per dimostrare la relazione tra lo sconto del 3 per cento sul premio e l’aumento degli scoperti in fase di liquidazione dell’indennizzo, nonché per provare che lo sconto applicato era idoneo a controbilanciare le limitazioni della garanzia introdotte dalla clausola. La ricorrente ha altresì evidenziato il “disvalore” della clausola anche alla luce del disposto di cui al neo-introdotto art. 148, n.11 bis, del Codice delle assicurazioni, deducendo anche l’illiceità delle controprestazioni di fare in relazione alle polizze inerenti al ramo danni in cui sarebbe ricompresa quella contro gli eventi naturali, e ha censurato la pronuncia nella parte in cui avrebbe omesso di chiarire le ragioni per le quali la sostituzione di una prestazione fungibile (come il pagamento di una somma) con una infungibile fondata sull’intuitus personae (come la riparazione in forma specifica), avrebbe costituito un vantaggio per l’assicurato. 

La ricorrente ha anche imputato ai giudici di avere fatto malgoverno della regola di riparto dell’onere della prova, in base alla quale ella avrebbe dovuto ritenersi onerata della dimostrazione dell’esistenza del contratto assicurativo e della fondatezza degli addotti motivi di censura (desumibili dal fascicolo informativo offerto in comunicazione e dalla prima pagina della polizza, da lei debitamente prodotta, in cui era integralmente disciplinata la garanzia “fenomeni naturali”), mentre sarebbe spettato alla società convenuta la prova di avere ottemperato agli obblighi di informazione e trasparenza di cui si era assunta la violazione: l’incontestata circostanza che ella aveva sottoscritto la dichiarazione di conoscere e di accettare le disposizioni della “Linea Comfort” riportate nelle condizioni di assicurazione e illustrate nel fascicolo informativo sarebbe stata invece inidonea a costituire prova del consapevole consenso dell’assicurata in ordine alla clausola.

Secondo la Cassazione, tuttavia, i motivi di doglianza sono tutti in parte inammissibili e in parte infondati, quindi da rigettare. Inammissibili perché “non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata. La censura di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale spiegano gli Ermellini – si mostra infatti del tutto estranea alle rationes decidendi della sentenza impugnata”. Inoltre, sostengono i giudici del Palazzaccio, si tratta di “censure che non concernono vizi della decisione impugnata ma ragioni di illiceità o di inadempimento asseritamente ravvisabili nella condotta della controparte contrattuale, le quali, riguardando profili estranei alle rationes decidendi della sentenza oggetto di ricorso per cassazione, devono ritenersi, per principio generale, inammissibili, ove non vengano formulate unitamente all’allegazione e alla prova che le stesse fossero già state sottoposte al giudice del merito e che da questi siano state illegittimamente pretermesse o taciute”. 

Ma secondo la Suprema Corte i motivi sono inammissibili anche nella parte in cui deducono omesso esame del fatto decisivo e controverso che nel prospetto di polizza non fosse associato alcuno sconto in relazione alla garanzia per i danni provocati dai fenomeni naturali. “Da un lato, infatti, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la circostanza storica relativa allo sconto sul premio è stata specificamente tenuta presente dal giudice del merito, il quale, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, ha ritenuto che esso costituisse il corrispettivo, nel sinallagma contrattuale, dell’assunzione, da parte dell’assicurato, dell’impegno di far riparare il veicolo presso una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore, sicché non assumeva rilievo, in tale prospettiva, l’omessa formale associazione dello sconto alla garanzia “fenomeni naturali” – prosegue la Cassazione –  Dall’altro lato, nel contestare la prova che il giudice di appello ha tratto della sussistenza dello sconto medesimo, nonché le inferenze sulla valida ed efficace formazione del consenso che lo stesso giudice ha tratto dall’omessa produzione della seconda pagina del prospetto di polizza, le censure formulate dalla parte ricorrente, ad onta del formale richiamo alla regola di ripartizione dell’onere della prova, nella sostanza non contestano che il tribunale abbia attribuito tale onere a una parte diversa da quella che ne risultava onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni, ma criticano, inammissibilmente, l’apprezzamento che il giudice del merito ha compiuto dei predetti elementi ai fini istruttori; apprezzamento che, in quanto debitamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità”.

 

La clausola non è “limitativa” della responsabilità dell’assicuratore

Ma secondo gli Ermellini, ed è qui la parte che più preme, i motivi del ricorso sono anche infondati nella parte in cui, “deducendo la violazione degli artt. 1341 e 1342 c.c., nonché degli artt. 33, 34, 35 e 36 del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo), contestano le rationes decidendi della sentenza impugnata, dubitando della legittimità, in base alle predette norme, del giudizio espresso dal giudice di appello sulla non vessatorietà della clausola contrattuale e sulla valida ed efficace formazione del consenso su di essa”. La Cassazione infatti intende dare continua anche nella circostanza al principio secondo il quale, nel contratto di assicurazione contro i danni, “la clausola con cui si pattuisce che l’assicurato sia indennizzato mediante la reintegrazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (ad es., mediante riparazione del veicolo presso una carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell’art. 1341 c.c., ma delimitativa dell’oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento e non esclude, ma specifica il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato. Infatti, premesso che, nell’ambito del contratto ci assicurazione, sono da considerare limitative della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c., le clausole che circoscrivono le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre, al contrario, attengono all’oggetto del contratto quelle che concernono il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito, deve escludersi che siano soggette all’obbligo della specifica approvazione preventiva per iscritto le clausole che si limitano a prevedere, in luogo del risarcimento per equivalente, l’obbligo, per l’assicuratore, di provvedere alla riparazione in forma specifica (eventualmente, come nella specie, attraverso la previsione della riparazione del veicolo presso una carrozzeria convenzionata), la quale costituisce una forma di risarcimento o di indennizzo che consente al danneggiato di ottenere il ristoro del pregiudizio subìto mediante la diretta rimozione delle conseguenze dannose e la restitutio in integrum del medesimo bene che costituiva il punto di riferimento oggettivo dell’interesse leso”.

E non determinerebbe uno squilibrio tra diritti e obblighi del contratto

In sostanza, secondo i giudici del Palazzaccio, con questa clausola “non viene imposto al contratto di assicurazione un peso che rende eccessivamente difficoltosa la realizzazione del diritto dell’assicurato né si consente all’assicuratore di sottrarsi in tutto o in parte alla sua obbligazione o si assoggetta la soddisfazione dell’assicurato all’arbitrio dell’assicuratore e ai tempi da questo imposti per la definitiva liquidazione della somma dovuta; piuttosto, senza determinare alcun significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione (ma, anzi, attraverso una libera stipulazione intesa ad ottenere specifici vantaggi contrattuali a fronte dell’assunzione dell’impegno di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con l’assicuratore), viene specificato l’oggetto del contratto stesso e vengono pattuite le modalità e la forma con cui l’assicuratore è tenuto a rivalere l’assicurato del danno prodottogli dal sinistro. 

Dunque, secondo la Cassazione la clausola in questione “non rientra tra quelle limitatrici della responsabilità dell’assicuratore e non richiede per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto del contraente per adesione ai sensi dell’art. 1341 c.c.. 2.2.c. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – la quale sembra considerare il risarcimento per equivalente maggiormente satisfattivo per il creditore rispetto a quello in forma specifica – va altresì puntualizzato, in termini generali, che, sebbene la scelta tra le due forme risarcitorie spetti al creditore (art.2058, primo comma, c.c.), tuttavia, se il debitore offre il risarcimento in forma specifica, l’eventuale rifiuto di tale offerta sarebbe contrario a buona fede, perché precluderebbe al debitore di conseguire un risultato utile che non comporta per il creditore un apprezzabile sacrificio e che è, anzi, normalmente più adeguato al fine risarcitorio e, dunque, al soddisfacimento dell’interesse creditorio (art.1174 c.c.). Proprio su tali presupposti la dottrina ammette che danneggiato e danneggiante possono validamente ed efficacemente accordarsi sul risarcimento in forma specifica, anche in via preventiva: tale accordo, infatti, integra un contratto innominato avente causa risarcitoria, diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico

In conclusione, “la clausola contrattuale diretta a prevedere siffatta forma risarcitoria, predisposta unilateralmente dal debitore, non determina uno squilibrio in suo favore dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto: la concreta operatività di tale istituto, ove sia materialmente possibile, trova infatti un limite, non già nelle esigenze di tutela del creditore (il cui interesse viene, al contrario, pienamente reintegrato), ma nelle esigenze di tutela del debitore, il quale può liberarsi mediante il risarcimento per equivalente, ove quello in forma specifica risulti per lui eccessivamente oneroso (art.2058, secondo comma, c.c.)”. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Contenziosi con Aziende

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content