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Se manca l’autorizzazione specifica con la precisa indicazione del mezzo utilizzato, il conducente di un trasporto eccezionale non può evitare la sanzione amministrativa prevista per tale violazione.

L’utilizzo di un veicolo diverso rispetto a quello autorizzato è ammessa solo nel caso limite in cui quest’ultimo rimanga in avaria e sia quindi necessario e urgente provvedere altrimenti, anche per la sicurezza degli altri utenti della strada. A chiarire il principio la Cassazione, seconda sezione civile, che con una delle sue prime ordinanze del nuovo anno, la n. 3/2023, depositata il 2 gennaio 2023, si è occupata di questo particolare ma frequente tipo di trasporto di merci su strada che eccedono (per necessità) i limiti di sagoma, massa o sicurezza dettati dal Codice della Strada e che, come tale, deve essere corretto di tutti i permessi.

 

Un autotrasportatore e l’azienda impugnano una sanzione per un trasporto eccezionale

Ad avviare il contenzioso era stata un’azienda di logistica ed un suo autotrasportatore a cui la polizia stradale di Torino aveva contestato, in qualità di conducente di un complesso veicolare composto da un trattore stradale e un semirimorchio, la violazione dell’art. 10 comma 18 del Codice della Strada, ossia, per l’appunto, superamento del limite di massa del carico trasportato.

Il camionista e la società per la quale lavorava avevano proposto opposizione al verbale di accertamento della Polstrada, ma il giudice di Pace di Ivrea l’aveva respinta e lo stesso aveva fatto il Tribunale cittadino, quale giudice di seconde cure, con sentenza del 2020, rigettando il gravame.

Nella decisione di appello, ribadito il difetto di legittimazione attiva da parte dell’azienda, già sancito in primo grado, dal momento che la società non era stata destinataria dell’ingiunzione, bensì il suo autotrasportatore, aveva negato nello specifico la esimente di cui all’art. 3 legge n. 689/81: le circostanze addotte dagli appellanti, infatti, non avrebbero integrato i requisiti del caso fortuito o della forza maggiore e, anzi, il loro comportamento sarebbe stato, per citare la sentenza, “improntato ad un sostanziale disinteresse rispetto alla comunicazione della variazione delle modalità di trasporto e “connotato sotto un profilo soggettivo quanto meno dal requisito della colpa”.

Il ricorso in cassazione in cui si fa appello alla buona fede scaricando la colpa sull’Anas

La ditta di trasporto e il suo dipendente hanno quindi proposto ricorso anche per Cassazione, sostenendo in primis la tesi che sarebbe stata erronea la declaratoria di difetto di legittimazione nei confronti della società, proprietaria dei mezzi e dunque solidalmente responsabile per il pagamento della sanzione pecuniaria, nonché direttamente interessata in previsione del fermo amministrativo.

Nel merito, poi, i ricorrenti hanno lamentato il fatto che il tribunale sarebbe incorso nel “vizio di sussunzione”, avendo escluso fatti materiali in una disposizione astratta di legge, che invece li prevedeva e disciplinava e che avrebbe dovuto condurre al riconoscimento dell’esimente della buona fede. L’azienda e il suo camionista, infatti, asserivano che sarebbe stata fornita la prova rigorosa che essi avevano operato diligentemente ed adottato ogni opportuna cautela onde evitare la violazione denunciata, che si era verificata unicamente per un fatto imputabile all’Anas.

Ma per la Cassazione entrambi i motivi sono infondati. Quanto al primo, gli Ermellini hanno inteso dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale per il quale la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione emanata ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, spetta, anche in caso di eventuale responsabilità sanzionatoria con vincolo di solidarietà, “esclusivamente al destinatario dell’ingiunzione al quale viene addebitata la violazione amministrativa, in quanto tale giudizio, sebbene abbia ad oggetto un rapporto giuridico avente fonte in un’obbligazione di tipo sanzionatorio, è formalmente strutturato quale impugnazione di un atto amministrativo, sicché non è consentita in esso la partecipazione di soggetti diversi dall’amministrazione ingiungente e dall’ingiunto, trovando la legittimazione a ricorrere fondamento nell’esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto”. Nello specifico, come si è già detto, la violazione amministrativa non era stata stata addebitata alla società e d’altronde, osservano ancora gli Ermellini, “l’interesse paventato dalla ricorrente, e legato alla prospettiva della sanzione accessoria della sospensione della carta di circolazione non è attuale, risolvendosi in una mera eventualità”.

 

La sostituzione del rimorchio andava comunicata e autorizzata

Quanto alla seconda doglianza, che preme di più, la Cassazione rammenta che l’art. 3 comma 2 della legge n. 689/1981 stabilisce che “nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa”. Ora, però, evidenza la Suprema Corte, secondo la stessa prospettazione del ricorso, “i ricorrenti erano ben coscienti di dover comunicare la sostituzione del rimorchio, atteso che il trasporto di convogli di dimensioni straordinarie, cosiddetto “trasporto eccezionale”, può avvenire, ai sensi dell’art. 10 del codice della strada, solo previo rilascio di apposita autorizzazione, a meno che non si tratti della sola urgente rimozione di un veicolo in avaria, costituente pericolo per la circolazione degli altri veicoli”. Dunque, un “errore sul fatto” non può essere configurato.

Esclusi anche il caso fortuito, la forza maggiore, come l’avaria, e la buona fede

Residuano – concludono gli Ermellini –  le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore (art. 45 c.p.c.), oltre alla ricorrenza della buona fede, che in tema di sanzioni amministrative, rileva come causa di esclusione della responsabilità quando sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e quando l’autore medesimo abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva”.

Tuttavia, concludono i giudici del Palazzaccio, “sia la forza maggiore ed il caso fortuito sia la buona fede sono state motivatamente escluse dal Tribunale, che ha esaustivamente richiamato gli elementi di fatto che deponevano per la sussistenza di un profilo soggettivo di colpa”. D’altronde, l’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede “è a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione”. Dunque, ricorso respinto e sanzioni amministrative confermate.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenzioso con Pubblica Amministrazione

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